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Perché ci emozioniamo?

Le emozioni rispondono a stimoli interni (es. un pensiero) ed esterni (es. qualcuno che ci offende) e assolvono sia una funzione individuale che collettiva

Di Annalisa Balestrieri

Pubblicato il 20 Dic. 2022

Aggiornato il 22 Dic. 2022 12:09

Lo psicologo americano Robert Plutchik, ha elaborato la teoria psicoevoluzionistica delle emozioni, in cui le definisce delle risposte adattive all’ambiente. Si attivano istintivamente e il loro scopo è di fornirci informazioni utili a elaborare una risposta agli stimoli che ci arrivano dall’esterno.  

 

Le emozioni in psicologia

 Secondo la psicologia, le emozioni sono la reazione psicofisiologica a uno stimolo che arriva a turbare il nostro equilibrio, creando talvolta situazioni di incertezza e/o disagio. Quando ciò avviene, la natura della nostra mente ci porta a cercare spiegazioni per quello che non conosciamo, di fronte a qualcosa di ignoto cerca quindi di trovare delle risposte e queste, secondo i cognitivisti, determinano la qualità delle emozioni che proviamo.

Le emozioni sarebbero quindi risposte complesse che, di fronte a determinati stimoli, mettono in atto una serie di reazioni sia fisiche che psichiche.

Pro e contro delle risposte istintive

Possiamo dire che le nostre emozioni sono la conseguenza di un’evoluzione che dura da secoli e che le ha programmate nei nostri geni.

La loro funzione è quella di orientare il nostro comportamento fornendoci un impulso che ci prepara all’azione. Essendo generate in modo innato, non richiedono di pensare prima di agire e questo ci consente di rispondere in modo più immediato agli stimoli ricevuti: una cosa che poteva essere utilissima in passato, pensiamo per esempio a quando ci si trovava minacciati da un animale feroce, ma che a volte, nella nostra quotidianità, può creare qualche difficoltà. Immaginiamo i casi in cui controllare l’istinto e usare un po’ di sana diplomazia potrebbero farci ottenere risultati sicuramente migliori.

Emozioni per motivare il comportamento

Le emozioni rispondono a stimoli interni (per esempio, un pensiero) ed esterni (per esempio, qualcuno che ci offende), e assolvono sia una funzione individuale che collettiva.

Individualmente rappresentano una bussola che ci orienta nei processi di ragionamento, giudizio e decisione, in altre parole ci permettono di valutare la situazione per prepararci all’azione.

Da un punto di vista collettivo, servono a soddisfare un’indispensabile funzione comunicativa. La nostra percezione, esplicitata attraverso le espressioni facciali e la postura del corpo, comunica infatti agli altri importanti informazioni su quello che sta accadendo, influenzando a sua volta le reazioni di chi ci sta intorno.

I trigger

A generare le emozioni sono impulsi ambientali detti trigger. Il trigger avvia un processo automatico che si attiva al verificarsi di un determinato evento; all’innescarsi di questo processo si scatenano reazioni di due tipi:

  • emotive (frequenza cardiaca, temperatura, espressioni, attivazione muscolare, ossigeno nel sangue);
  • fisiologiche (cambiamenti verbali, tendenza all’azione, messa in atto di comportamenti specifici, valutazione della natura dello stimolo).

All’insorgere di un’emozione l’organismo organizza quindi una serie di risposte che vanno dai comportamenti specifici collegati all’emozione che si è innescata, alla postura, alla mimica facciale.

Detto questo, è facile capire come la mente possa influenzare il funzionamento del nostro organismo. Un esempio? La paura blocca la digestione. Stimoli che arrivano dal cervello influiscono sul funzionamento del corpo senza che vi sia un apparente nesso tra i due.

La funzione sociale delle emozioni

Oltre alla funzione adattiva, le emozioni hanno un’importante funzione sociale e costituiscono uno dei principali canali di comunicazione con chi ci sta intorno.

Sono esperienze intense e passeggere che forniscono occasioni di condivisione con gli altri. Confrontarci con il prossimo ci è d’aiuto per conoscere il loro punto di vista e chiarirci le idee. Ci dà modo di guardare la nostra situazione da un’altra prospettiva e ci aiuta a migliorare la nostra capacità di giudizio. Raccontare qualcosa richiede che la si elabori in modo da mettere ordine e chiarirla in primo luogo a noi stessi, di conseguenza raccontare un’esperienza ci dà la possibilità di riflettere su di essa.

Se le persone a cui ci rivolgiamo dimostrano di condividere la nostra reazione, abbiamo una conferma di essere sulla strada giusta e ci sentiamo tranquillizzati e rafforzati nel nostro senso di identità sociale, in caso contrario saremo portati a riflettere su di noi.

 Gli esseri umani hanno bisogno delle emozioni, sia di quelle che proviamo direttamente che di quelle che osserviamo negli altri, perché sono un’occasione per permettere di conoscerci e conoscere meglio chi ci sta intorno e la conoscenza del prossimo è uno dei principali interessi del genere umano.

Inoltre, le emozioni che esprimiamo servono a mandare messaggi a chi ci sta intorno affinché intervenga in modo per noi utile. Per fare alcuni esempi, manifestare tristezza farà nascere compassione e possibili azioni di accudimento nei nostri confronti. La rabbia susciterà attenzione e probabili azioni di correzione di un comportamento che ci ha infastiditi. La paura susciterà desiderio di offrire protezione, mentre la gioia susciterà piacere, darà un senso di rassicurazione e rafforzerà il legame sociale.

La cinesica e la mimica facciale

La cinesica è una scienza che si occupa di studiare il linguaggio del corpo. Conoscere i segnali che arrivano dal corpo consente a chi ci sta di fronte di capire molto di noi, a volte molto più di quanto noi potremmo volergli comunicare intenzionalmente.

I muscoli che determinano certi movimenti, posture o espressioni si attivano infatti in modo indipendente dalla nostra volontà e sono impossibili da controllare.

Secondo lo psicologo statunitense Albert Mehrabian, la comunicazione si avvale di tre fattori fondamentali: una parte verbale, una vocale e una non verbale.

La parte verbale è data naturalmente dalle parole che utilizziamo nel discorso. La parte vocale è data da inflessioni, tono, timbro e ritmo della nostra voce. La parte non verbale è quella che ci arriva nell’osservare i movimenti corporei quali postura, gesti e mimica facciale.

Mehrabian ha condotto dei noti studi sull’incidenza che questi diversi aspetti hanno sulla comunicazione. Il risultato è stato che le parole determinano solo una piccola parte dell’efficacia di una comunicazione. In particolare, su di essa incidono questi elementi:

  • le parole, che rivestono un’importanza solo del 7%;
  • il tono di voce, che incide per il 38%;
  • la comunicazione non verbale, a cui spetta ben il 55% dell’efficacia di una comunicazione.

Va detto che queste conclusioni hanno incontrato critiche in quanto gli esperimenti citati si sono concentrati esclusivamente sulla comunicazione di sentimenti e atteggiamenti e non sarebbero pertanto applicabili a contesti più complessi e variegati.

Quello che resta è che questa ricerca ha dimostrato in modo sperimentale qualcosa che fino a quel momento si basava solo su una conoscenza teorica.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Balestrieri, A., (2022), Conoscere le emozioni. Un viaggio alla scoperta di noi stessi. Milano, Independently published.
  • Plutchik, R., (1980), Emotion: a Psychoevolutionary Synthesis.  New York. Harpercollins College.
  • Mehrabian, A., (1972). Nonverbal communication. Piscataway, NJ. Aldine Transaction.
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