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Il caso Kennedy: trappole mentali e bias cognitivi

Studiando il caso Kennedy la mente tende a saltare alle conclusioni. Chi non penserebbe che negli eventi c’è qualcosa di anomalo? Ma perché lo pensiamo?

Di Ciro D`Ardia

Pubblicato il 22 Dic. 2022

Il 22 novembre 1963, Lee Harvey Oswald assassinò John Fitzgerald Kennedy, 35° presidente degli Stati Uniti. Lo fece sparando tre colpi di fucile dal sesto piano del Texas School Book Depository Building, durante una visita del presidente a Dallas.

 

Le responsabilità dell’attentato furono ampiamente accertate già nella prima inchiesta ufficiale: quella condotta dalla Commissione Warren. L’unico colpevole era Oswald e non vi erano né complici né mandanti.

L’operato della Commissione Warren fu però ampiamente criticato e numerose teorie cospiratorie cominciarono a diffondersi. A seconda della teoria, Oswald aveva dei diversi mandanti: la mafia, la CIA, l’FBI, il KGB, il vice-presidente Johnson. Altre ipotesi prevedevano poi che oltre a Oswald ci fossero anche altri cecchini: uno, due o tre a seconda dell’ipotesi presa in considerazione.

Ma perché il fatto che il presidente fosse stato assassinato da un tiratore solitario non è mai stato accettato? Ancora oggi, molti americani non credono alla tesi di Oswald come unico esecutore dell’assassinio (Art Swift, s.d.) che costituisce senza alcun dubbio la realtà storica.

Per dare una risposta all’interrogativo bisogna capire come funziona la nostra mente.

Il pregiudizio di conferma

Il confirmation bias è stato definito come “il pregiudizio di tutti i pregiudizi” (Maria Lewicka, 1998). Esso ci porta a cercare solo le evidenze che confermano le nostre credenze. Se proprio ci imbattiamo in elementi che stridono con quello in cui crediamo, li interpretiamo comunque a nostro favore (Martin Jones, Robert Sugden, 2001)

In uno degli studi più conosciuti sul tema (Raymond Nickerson, 1998) è stato evidenziato come il pregiudizio di conferma abbia per certi versi scatenato la caccia alle streghe nei secoli dal quindicesimo al diciassettesimo. Nel momento in cui una donna veniva accusata di stregoneria, qualunque evidenza era interpretata a favore dell’accusa: nessun vero processo veniva posto in essere.

Ma come può intervenire questo pregiudizio nel momento in cui ci si approccia all’assassinio del presidente Kennedy?

Facciamo conto che non sappiamo nulla dell’argomento e sentiamo la versione super-breve: Oswald assassina il presidente, dopo due giorni Ruby spara a Oswald, uccidendolo. Chi non penserebbe: qua c’è qualcosa di strano?

Come evidenziato da Daniel Kahneman nel suo “Pensieri lenti e veloci”, la nostra mente va a due diverse andature. Vi è una parte veloce ed intuitiva, che lui chiama il sistema 1. C’è poi una parte lenta e razionale, da lui individuata come sistema 2. Siccome il sistema 1 è più veloce, le risposte intuitive vengono elaborate quasi senza sforzo. Il problema è che spesso sono sbagliate: dovrebbe quindi essere il sistema 2 (che Kahneman chiama “il controllore pigro”) a “sorvegliare” le determinazioni del sistema 1.

Inoltre, tale velocità del sistema 1 ci porta a elaborare le informazioni a nostra disposizione e a “saltare alle conclusioni” (Daniel Kahneman, s.d.) anche in presenza di pochissimi elementi.

Studiando il caso Kennedy, quindi, sentendo la “versione veloce”, la nostra mente tende a saltare alle conclusioni. Chi non penserebbe che nella sequenza degli eventi c’è qualcosa di assolutamente anomalo?

I pregiudizi però, non sono mai da soli, ma si rinforzano a vicenda. Una volta che siamo convinti che “c’è qualcosa di strano” il confirmation bias condiziona pesantemente la ricerca delle evidenze e la loro interpretazione. Siamo sicuri che ci sia stato un complotto e quindi leggiamo tutte le risultanze in quel senso, anche se in realtà provano il contrario. Ulteriore bias che può fare capolino, è il famoso “effetto Dunning-Kruger”, dal nome dei suoi “scopritori” (Justin Kruger, David Dunning, 1999).

Tale pregiudizio, molto nominato ma altrettanto spesso equivocato, riguarda la capacità delle persone di autovalutarsi. Lo studio originario (Justin Kruger, David Dunning, 1999), ha infatti messo in luce che spesso le persone sono incapaci di autovalutarsi (c.d. “metaignoranza”); ciò in quanto le competenze per valutarsi adeguatamente sono le stesse richieste per avere una buona performance.

Ulteriori studi (David Dunning, Kerri Johnson, Joyce Ehrlinger, Justin Kruger, 2003) hanno però evidenziato che l’effetto Dunning-Kruger contiene un paradosso: per rendersi conto della propria ignoranza, bisogna essere un po’ meno ignoranti, in modo da comprendere l’ampiezza dell’argomento di cui ci si sta occupando.

Il “circolo vizioso” nel caso Kennedy

Nello studio del caso Kennedy, quindi, è molto facile che si venga a creare un circolo vizioso, molto difficile da rompere. Sono convinto che ci sia stato un complotto, quindi ricerco solo elementi che lo confermano. Se mi arrivano evidenze che invece provano il contrario, le interpreto comunque in maniera favorevole alle mie credenze. Inoltre, considerato che non sono consapevole dell’ampiezza dell’argomento, ritengo anche di essere abbastanza informato sullo stesso.

Per rompere tale circolo vizioso, bisognerebbe porre in evidenza l’ampiezza della produzione documentale sul caso Kennedy. I libri sull’assassinio sono migliaia, la maggior parte dei quali di stampo complottista. Sterminata è poi la produzione di video e articoli sull’assassinio del presidente. Quindi, si fa spesso fatica ad orientarsi ed è facile “cascare” in una delle tante teorie sull’assassinio del Presidente.

JFK di Oliver Stone

Quando, nel 1991, usci il film di Oliver Stone “JFK: un caso ancora aperto”, vi fu un’ondata di reazioni indignate non solo negli Stati Uniti, ma anche nel resto del mondo. Il film, infatti, promuoveva l’idea che il presidente fosse stato vittima di un complotto, attingendo a piene mani dalle varie teorie cospiratorie formulate fino a quel momento. Moltissimi si convinsero che il complotto fosse stato provato al di là di ogni dubbio.

Uno studio (Lisa D. Butler, Chetyl Koopman, Philip G. Zimbardo, 1995) ha evidenziato che il film di Stone fu capace di indurre una modificazione molto forte nelle credenze degli spettatori, inducendoli a credere nel complotto. Lo studio, inoltre, rilevava che tale modificazione riguardava anche il comportamento sull’impegno politico e sulla beneficenza.

La “confusione” creata dai complottisti

Abbiamo prima evidenziato che il materiale sul caso Kennedy è veramente di un’ampiezza impressionante. Molta documentazione è disponibile gratuitamente, come il Rapporto della Commissione Warren.

Il problema è che c’è sempre qualcuno pronto ad alzare la polvere per non far comprendere la realtà dei fatti. C’è sempre qualcuno che vuole vendere un libro o qualcosa di simile e quindi propugna le teorie più fantasiose.

Come evidenziato da Diego Verdegiglio nel suo “Ecco chi ha ucciso John Kennedy”, (pag. 153): “Alcune tesi sulla cospirazione meriterebbero, più che un’analisi critica, un esame psicopatologico del loro autore”.

Riflessioni finali

Quali considerazioni possiamo fare su quanto abbiamo detto? La nostra mente è meravigliosa, ma spesso ci inganna. Quando discutiamo di una questione per noi importante dobbiamo fare attenzione a non cadere nelle trappole cognitive che ci tende il nostro cervello. Abbiamo quindi ragionato sul caso Kennedy, ma tali ragionamenti possono essere allargati a qualunque argomento per noi di interesse.

Il pregiudizio di conferma è sempre pronto ad influenzarci in maniera occulta e a farci prendere decisioni irrazionali. Tale bias, inoltre, risulta più forte in quanto alimenta, ed è alimentato, anche dai ragionamenti “veloci“ del nostro cervello e dall’effetto Dunning- Kruger.

Bisogna quindi fare uno sforzo, ed essere sempre i maggiori critici di noi stessi. Dobbiamo essere in grado da riconoscere queste trappole cognitive in modo da riuscire a compiere ragionamenti più razionali. Quanto detto, dunque, al fine di evitare condizionamenti inconsapevoli dei nostri pregiudizi occulti.

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