David Dunning incominciò alcune sperimentazioni insieme a Justin Kruger e pubblicarono insieme il lavoro “Unskilled and Unaware of It: How Difficulties In Recognizing One’s Own Incompetence Lead to Inflated Self-Assessments” (1999): era nato l’Effetto Dunning Kruger.
Il 6 gennaio 1995 (Errol Morris, 2010) Wheeler McArthur rapinò due banche di Pittsburgh, la Fidelity Savings Bank e la Mellon Bank. Lo fece in pieno giorno ed a volto scoperto. Il video venne trasmesso nel Pittsburgh Crime Stoppers. Meno di un’ora dopo, McArthur, con sua grande sorpresa, fu catturato dalla polizia. Dopo essere stato arrestato disse: “ma io indossavo il succo”. Ma perché McArthur aveva compiuto le rapine senza nemmeno cercare di nascondere il volto?
McArthur si era cosparso di succo di limone, convinto che la “geniale” mossa lo avrebbe reso invisibile alle telecamere di sorveglianza. Per testare la sua teoria prima delle rapine, si era finanche scattato una foto con una Polaroid. Non vedendosi nella foto, si era convinto ancora di più della bontà della sua teoria. Evidentemente, con il succo di limone negli occhi, aveva puntato la macchina fotografica in maniera errata.
Lo strano avvenimento suscitò l’interesse di David Dunning, professore di psicologia sociale alla Cornell University, il quale pensò: “se Wheeler era troppo stupido per essere un rapinatore di banche, forse era anche troppo stupido per sapere che era troppo stupido per essere un rapinatore di banche – ciò significa che la sua stupidità lo ha reso inconsapevole della sua stessa stupidità”.
David Dunning incominciò quindi alcune sperimentazioni insieme a Justin Kruger, suo allievo alla Cornell University. Nel 1999 pubblicarono insieme il lavoro “Unskilled and Unaware of It: How Difficulties In Recognizing One’s Own Incompetence Lead to Inflated Self-Assessments” (Justin Kruger, David Dunning, 1999): era nato “L’Effetto Dunning Kruger”.
I due ricercatori avevano testato le capacità dei partecipanti alla sperimentazione (studenti della Cornell University) in tre campi: humour, grammatica e ragionamento logico. Era poi stato richiesto ai partecipanti di effettuare una auto-valutazione sui risultati dei test effettuati. L’autovalutazione era quindi stata messa a confronto con i risultati effettivi. Ne era emerso, in una scala da 1 a 100, che coloro che erano nel primo quartile (da 1 a 25) si valutavano in maniera molto superiore ai risultati reali. Ad esempio, nello humor, alcuni che si erano piazzati al 12° percentile, ritenevano di essere nel 58°, quindi anche ad un livello superiore alla media.
Di contro, coloro che si piazzavano nel quartile top (da 75 a 100) sottostimavano le proprie capacità. Nel ragionamento logico, ad esempio, alcuni studenti che si erano piazzati all’86° percentile ritenevano di essere nel 68°.
I risultati, quindi, mostrano che gli incompetenti (c.d. “bottom performers”), valutano in maniera erronea le proprie capacità. I competenti (c.d. “top performers”), di contro, valutano in maniera errata le capacità degli altri. I top performers, non avendo avuto grosse difficoltà a compiere un determinato compito, ritengono che gli altri si siano trovati nella stessa situazione.
Quindi, mentre i bottom performers rientrano nella casistica della “illusione della superiorità” (David Lacko) i top performers sono affetti dalla c.d. “teoria del falso consenso” in quanto ritengono che gli altri abbiano le loro stesse capacità.
I bottom performers, in particolare, sono così inesperti in un determinato campo che sono incapaci nel riconoscere la loro incapacità. Sono quindi affetti da quella che è chiamata “metaignoranza” (David Dunning, 2011), nel senso che la loro ignoranza rende impossibile per loro comprendere che sono ignoranti.
Ciò significa che i bottom performers non solo ritengono di essere al di sopra della media, ma che la loro incompetenza li rende incapaci di vedere la loro stessa ignoranza. In pratica le capacità (Jan Feld, Jan Sauerman, Andries De Grip, 2017) che permetterebbero di agire in maniera corretta sono le stesse che permetterebbero di valutare l’adeguatezza della propria azione.
I bottom performers, inoltre, non solo si valutano in maniera molto lusinghiera ma non hanno idea dell’ampiezza del settore in cui ritengono di essere esperti. È quindi la non conoscenza della propria non conoscenza che risulta dannosa.
In un famoso discorso sulla situazione dell’intelligence americana, tenuto quando era Segretario di Stato alla Difesa, Donald Rumsfeld (Michael Shermer, 2005) disse “ci sono cose che sappiamo di sapere, ci sono cose che sappiamo di non sapere e ci sono cose che non sappiamo di non sapere”.
Questo discorso suscitò molte polemiche, ma successivamente si comprese meglio il senso della sue parole. Sono le cose che non sappiamo di non sapere che sono le più pericolose. Si pensi ad esempio ad un medico generico che non “passa” il paziente allo specialista ed insiste nel cercare di risolvere un problema di salute dell’assistito. È evidente che il medico generico potrebbe non essere a conoscenza di uno strumento diagnostico o di una cura che invece lo specialista conosce. In questo caso la non conoscenza della propria non conoscenza (o si potrebbe anche dire dei propri limiti) risulta dannosa (per il paziente).
Ma come si può risolvere il problema? È possibile fare in modo che i bottom performers si avvedano della propria incompetenza? Qui, come evidenziato più volte (David Dunning, Kerri Johnson, Joyce Ehrlinger, Justin Kruger, 2003) si ha un paradosso: per fare in modo che i bottom performers si avvedano della propria incompetenza devono essere resi più competenti. Il fatto di essere (anche leggermente) più competenti permette loro di comprendere l’ampiezza del settore in cui ritengono (o, a questo punto, ritenevano) di essere esperti.
Quindi, anche se in alcuni settori (Oliver j. Sheldon, David Dunning, Daniel R. Ames, 2013) risulta difficile fare in modo che i bottom performers intraprendano azioni di auto-miglioramento, è attraverso una azione di consapevolezza, autocritica e volontà di miglioramento che i bottom performers potranno comprendere i loro limiti e smettere di avere una grossa fiducia nelle loro capacità.
Ma i bottom performers si ritengono sempre più bravi di quanto non siano veramente? È stato visto che in linea generale dipende dal settore di indagine, anche se non vi sono significative differenze tra persone più istruite e meno istruite. Ad esempio, in un’indagine in un’azienda americana, il 42% dei manager riteneva di essere nel 5% dei manager più bravi, cosa matematicamente impossibile (David Dunning, 2011).
Non sono poi state osservate grosse differenze collegate al genere. In taluni campi, come la matematica, peraltro, le donne sono meno fiduciose delle proprie capacità rispetto agli uomini, anche se, in realtà non si riscontrano grosse differenze nelle performance (David Dunning, 2011).
In ogni caso, come evidenziato dagli stessi autori nello studio originario (Justin Kruger, David Dunning, 1999) i risultati emersi “non stanno a significare che le persone sono sempre inconsapevoli della propria incompetenza. Dubitiamo che qualcuno dei nostri lettori oserebbe sfidare Michael Jordan in un ‘uno contro uno’, Eric Clapton in una sessione di chitarra o Tiger Woods in una sfida sul green”.
Certo, qualcuno può anche pensare di essere un grande cantante, ed essere così negato da essere invitato a cantare allo stadio di fronte ad un grande pubblico, come è successo tempo fa a Warren Wald.