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Victim Blaming: il caso del terremoto dell’Aquila

Un caso particolare di victim blaming, di tipo istituzionale, è accaduto proprio ultimamente ad alcune vittime del terremoto dell’Aquila del 2009

Di Sara Cutrale

Pubblicato il 03 Nov. 2022

Aggiornato il 04 Nov. 2022 12:59

Il concetto di “colpevolizzazione della vittima” è stato coniato da William Ryan nel 1971, con la pubblicazione del suo libro “Blaming the victim” (Ryan, 1971). Un caso particolare di victim blaming, più di tipo istituzionale, è quello accaduto proprio ultimamente ad alcune vittime del terremoto dell’Aquila del 2009.

 

Il fenomeno del victim blaming

 Il victim blaming è un processo di tipo psicologico che riguarda la tendenza a colpevolizzare le vittime. La colpevolizzazione avviene, in toto o in parte, per i trattamenti e le cose successe alle stesse vittime. Tale fenomeno è maggiormente osservabile in caso di crimini di natura sessuale o violenti.

Questo fenomeno avviene come reazione molto rapida a fatti di cronaca. L’esigenza di creare questa etichetta è data dalla rapidità delle comunicazioni. Infatti, spesso queste tendono a essere sintetiche ed estremiste, portando le opinioni dei singoli ad essere totalmente a favore di una parte o dell’altra, senza compromessi. Invece, come spesso accade, la realtà è diversa ed è anche più complessa.

L’ipotesi o credenza del mondo giusto di Lerner (1980) ci aiuta a comprendere meglio tale processo psicologico. Infatti, secondo Lerner le persone hanno la tendenza a pensare che tutti ricevano ciò che si meritano, così da mantenere nella loro mente l’idea di vivere in un mondo giusto.

Di solito la maggioranza tende a prendere le parti della vittima, ma è stato dimostrato come vi siano soggetti che tendono a prendere le parti dell’aggressore o comunque a colpevolizzare la parte lesa, per l’appunto.

Il victim blaming non avviene in ogni contesto. Generalmente avviene più spesso per fenomeni di natura sessuale o violenta. Più nello specifico, di solito, si rifà a casi di cronaca come lo stupro. Quindi, l’abuso sessuale è il reato che più di tutti rischia di innescare meccanismi di colpevolizzazione della vittima. Tra gli altri accaduti che possono innescare tale fenomeno vediamo i casi di Revenge Porn, ossia la diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti (Gravelin et al., 2019).

Un caso particolare di victim blaming, più di tipo istituzionale, è quello accaduto proprio ultimamente ad alcune vittime del terremoto dell’Aquila del 2009.

Il caso del terremoto dell’Aquila

Qualche giorno fa, il 9 ottobre 2022, il Tribunale dell’Aquila ha definito una “condotta incauta” il comportamento di alcuni abitanti di una palazzina dell’Aquila, quella di via Campo di Fossa 6b. I cittadini, infatti, rimasero nelle proprie case la sera del terremoto e morirono sotto le macerie. Questo comportamento è stato definito dal Tribunale come concorso di colpa delle stesse vittime del crollo, quantificando i risarcimenti con una riduzione del 30%. Il Tribunale dichiara infatti che le vittime non sarebbero dovute restare a dormire.

Ma partiamo un po’ dall’inizio. L’edificio in questione era costituito da due palazzine gemelle che quella notte ebbero la sorte opposta: il civico 6a restò in piedi, il 6b si ridusse in polvere, sgretolandosi su sé stesso. Gli abitanti del primo civico sopravvissero tutti, nel secondo palazzo furono 27 i morti, 27 morti dei 309 che morirono l’orribile notte del 6 aprile 2009.

 La scossa che distrusse l’edificio era di magnitudo tra 5.9 e 6.3, delle 3.32. Un mainshock di uno sciame sismico iniziato già nel dicembre 2008. Infatti, nei giorni precedenti la scossa devastante delle 3.32, la preoccupazione aumentò, in quanto le scosse erano diventate molte, continue e più violente. La settimana precedente le scosse si susseguirono sempre in modo più intenso, in particolare il 30 marzo ci fu una scossa di magnitudo 4.0, la più violenta di uno sciame iniziato qualche mese prima. In quell’occasione in migliaia corsero in strada e alcuni decisero di passare addirittura la notte in macchina.

Il giorno dopo fu indetta una riunione della Commissione Grande Rischi in Abruzzo, per tranquillizzare la popolazione. Dichiararono infatti che lo sciame sismico avrebbe rappresentato una forma di rilascio graduale di energia. Quindi, la Commissione rassicurò la popolazione e dichiarò di non preoccuparsi eccessivamente, in quanto quello scarico di energia non poteva che essere positivo, permettendo di evitare una grossa scossa distruttiva.

Perciò, si potrebbe dire che la notte del 6 aprile la popolazione aquilana dormiva nelle proprie case rassicurata da una Commissione formata da scienziati e sismologi italiani, e gli stessi abitanti di via Campo di Fossa 6b non si trovavano incautamente in casa, ma rimasero al loro interno dopo le ripetute rassicurazioni degli esperti.

Nelle diverse precedenti pronunce in Tribunale del terremoto, quella del giudice Croci è l’unica a definire questo tipo di ripartizione di colpa. E, trattandosi di un giudizio di primo grado, si potrà fare ricorso ed è probabile che la decisione verrà modificata in appello.

Il problema di una sentenza come questa, che colpevolizza le vittime in questo contesto, è soprattutto di tipo politico. Infatti, incolpando i cittadini vittime di questa tragedia, ciò porta i cittadini di oggi a diffidare delle istituzioni e perciò di chi dovrebbe vigilare sulla sicurezza dei cittadini e delle infrastrutture.

La giustizia dovrebbe basarsi più sui fatti che sulle ipotesi, per garantire un risultato più giusto possibile. I tribunali, perciò, dovrebbero avere l’obiettivo di dimostrare se esiste colpevolezza oltre ogni ragionevole dubbio. Cosa che ovviamente non usa l’opinione pubblica.

Il fatto che tale fenomeno sia emerso proprio da un tribunale, che dovrebbe garantire un giusto risultato, è ad oggi preoccupante.

Questo particolare caso di victim blaming istituzionale può non essere un’eccezione, ma ci si augura che lo sia.

 

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