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La comunicazione in emergenza: percezione dei rischi e processi decisionali nei contesti emergenziali

In situazioni di emergenza diventa fondamentale adottare una comunicazione che favorisca un efficace scambio di informazioni tra tutte le figure coinvolte.

Di Alessandra Curtacci

Pubblicato il 16 Ott. 2019

Per affrontare l’emergenza tutto va predisposto e anche la comunicazione deve essere organizzata e affinata per poter poi intervenire velocemente e in modo coordinato.

Alessadra Curtacci – OPEN SCHOOL Studi Cognitivi San Benedetto del Tronto

Principi generali della comunicazione

Per definizione la comunicazione è quel processo dinamico che avviene tra un emittente e un ricevente: l’emittente invia al ricevente un messaggio di tipo verbale o non verbale, il ricevente lo elabora codificandolo e ne invia uno in risposta. Anche una non comunicazione (comunicazione non verbale) può essere considerata una risposta significativa. La comunicazione comprende qualunque tipo di informazione dotata di senso che gli individui scambiano nell’ambiente sociale, attraverso segni e simboli: dunque, riguarda l’emissione di messaggi tra due o più persone e coinvolge praticamente tutte le forme di contatto con gli altri esseri umani. La comunicazione è essenziale a diversi livelli e per un’ampia serie di motivazioni.

Per imparare a comunicare in modo funzionale ed efficiente occorre una buona consapevolezza:

  • della propria comunicazione interpersonale:
    • comunicazione verbale: ciò che si dice, la scelta delle parole, la costruzione logica delle frasi e l’uso di alcuni termini piuttosto che di altri;
    • comunicazione paraverbale: il modo in cui qualcosa viene detto facendo riferimento al tono, alla velocità, al timbro, al volume della voce.
    • comunicazione non verbale: sostiene e completa la comunicazione verbale e comprende una vasta gamma di segnali che integrano e a volte sostituiscono il contenuto verbale di una comunicazione.
  • della propria comunicazione intrapsichica (stati d’animo, rappresentazioni, intenzioni).

Ogni comunicazione è formata da 3 componenti:

  • emotiva/motivazionale: il perché si sta comunicando;
  • cognitiva: il cosa si sta comunicando;
  • comportamentale: in che modo si sta comunicando (verbale e/o non verbale);

Quelli appena descritti sono principi fondamentali da rispettare nell’ambito della comunicazione in un contesto emergenziale: per affrontare l’emergenza tutto va predisposto e anche la comunicazione deve essere organizzata e affinata per poter poi intervenire velocemente e in modo coordinato. La comunicazione è un’abilità che offre un contributo allo stesso processo di pianificazione, in quanto è la risorsa che permette di creare rapporti e di affrontare i momenti di difficoltà potenzialmente presenti nell’emergenza.

Comunicare in Emergenza

Le situazioni critiche sono caratterizzate da:

  • esordio improvviso ed inaspettato;
  • minaccia reale o simbolica per la vita o la salute della persona;
  • alta emotività (paura, ansia, sensazione di vulnerabilità o impotenza, ecc);
  • comportamenti impulsivi potenzialmente dannosi.

Il tipo di risposta individuale quando si è coinvolti in una situazione di stress acuto dipende da numerosi e differenti fattori come lo stato di stress preesistente, il livello di sostegno sociale sul quale poter far riferimento (familiari, amici, colleghi, ecc), la possibilità di operare un controllo su ciò che sta accadendo e il grado di preparazione rispetto all’evento (Rampin, M., Anconelli, L., 2010). La comunicazione, infatti, relativa all’ambito della gestione delle emergenze prevede 3 finalità, ognuna propedeutica all’altra:

  • Comunicazione per prevenire/informare (es: comunicazione dei rischi)
  • Comunicazione per gestire l’emergenza (es: protocolli, segnaletica, alfabeto ICAO, ecc)
  • Comunicazione per coordinare il post emergenza

Fondamentale è considerare l’aumento della complessità nel rispondere a tutta la serie di bisogni che si palesano durante un’emergenza dovuto all’estrema incertezza della situazione causata dall’alterazione della funzionalità delle vie ordinarie di comunicazione; per questo motivo è utile ed importante predisporre ed apprendere le giuste metodiche in tempo di pace focalizzando l’attenzione sul primo punto sopracitato.

La comunicazione dei rischi

Si parte dal presupposto che ogni tentativo di produrre un cambiamento nell’equilibrio di un organismo crea una resistenza e conseguentemente un probabile conflitto a seconda della questione che viene trattata e dalla tipologia di situazione critica in cui si interviene. Scopo di tale tipo di comunicazione è superare le diffidenze e inserire nozioni utili a facilitare il cambiamento o il processo di adattamento ad esso. Affinché una persona modifichi il suo comportamento in seguito ad una comunicazione trasmessa (Rampin, M., Anconelli, L., 2010) è possibile:

  • convincerla: usando argomentazioni che devono essere accettate come vere utilizzando i principi della logica (esempio: dimostrazione statistica o matematica);
  • persuaderla: proponendo argomenti che non fanno riferimento alla razionalità ma alle emozioni.

Per applicare interventi efficaci circa la comunicazione del rischio su un determinato evento critico si devono superare 4 difficoltà (Sbattella, F., 2009):

  • L’illusione di certezza: ossia l’idea che sia possibile avere la certezza dell’evento che si sta descrivendo al 100%. Opportuno risulta promuovere il principio che nulla è realmente certo a prescindere dalle ricerche;
  • L’ignoranza del rischio: che corrisponde alla consapevolezza dell’esistenza delle incertezze relative al verificarsi di un evento (comunicazione scorretta o dati nascosti);
  • La comunicazione scorretta del rischio: promozione della consapevolezza dei rischi ma la popolazione riscontra difficoltà nel trarre insegnamento dalle informazioni ricevute;
  • Il pensiero annebbiato: chiara informazione sui rischi ma difficoltà a trarne conclusioni.

Curare i processi comunicativi prima e durante una crisi vuol dire occuparsi del:

  • reperimento ed organizzazione delle informazioni relative all’evento,
  • realizzare azioni di distribuzione delle informazioni alle fasce di popolazione più indicate,
  • facilitare il coordinamento delle azioni in atto,
  • facilitare la percezione ed il mantenimento del controllo.

Percezione dei rischi e processi decisionali

 Un aspetto di grande rilevanza riguarda la comprensione di come si innescano determinate modalità di comportamento che provocano un avvicinamento o un allontanamento dalle situazioni potenzialmente pericolose (sopravvalutazione o sottovalutazione del rischio, indifferenza verso i messaggi di allarme e non attivazione di misure di autoprotezione, ecc) e come la comunicazione dei rischi attuata in fase di prevenzione possa influire in questo processo (Sbattella, F., 2009).

Si definisce rischio l’eventualità di subire un danno connessa a circostanze più o meno prevedibili (è quindi più tenue e meno certo di un pericolo) che viene rappresentata a livello mentale e valutata in modo tale da riuscire a prendere una decisione basata sulla considerazione di esperienze pregresse e conoscenze generali, eventuale ricerca di altre informazioni, stima delle probabilità, e gestione delle emozioni. Proprio la componente emotiva e relazionale potrebbe avere un ruolo cruciale nella valutazione del rischio, immaginando ad esempio le conseguenze della decisione intrapresa. Riguardo la componente della cognizione (Ruminati e Bovini, 2001) coinvolta nelle strategie decisionali umane si fa riferimento ai procedimenti euristici, un metodo di approccio alla soluzione dei problemi che non segue un chiaro percorso, ma che si affida all’intuito e allo stato temporaneo delle circostanze, al fine di generare nuova conoscenza (Tversky e Kahneman, 1974). In particolare:

  • l’euristica della rappresentatività: la probabilità dell’evento viene stimata in base alle caratteristiche tipiche della categoria a cui appartiene;
  • l’euristica della disponibilità: si tende a stimare la probabilità di un evento sulla base e l’impatto emotivo di un ricordo, piuttosto che sulla probabilità oggettiva.
  • l’euristica dell’ancoraggio: la stima di probabilità di un evento è influenzata da un termine di paragone.

La differente percezione del rischio può inoltre essere supportata da altri processi di ordine psicologico come la capacità di controllare l’ansia, lo stile di coping attivato, il senso di efficacia personale e la capacità di gestione le emozioni negative derivate dalle proprie decisioni. (Mann, L., Burnett, P.C., Radford, M., Ford, S., 1997).

Il ruolo delle Emozioni

Attivare progetti di prevenzione vuol dire anche limitare potenziali disagi emotivi nella popolazione individuando rischi, creando scenari e previsioni promuovendo la resilienza. Nella comunicazione dei rischi un ruolo chiave lo giocano le emozioni: evidenziare pericoli o rischi collegati ad un luogo o un’attività solleva paura ed ansia, entrambe emozioni negative dalle quali ognuno cerca di difendersi, nonostante esse possano avere una funzione adattiva.

Una comunicazione preventiva efficace deve sollevare un livello di allerta tollerabile dei soggetti che ottengono le informazioni. Se questo non avviene le nozioni riportate potrebbero essere perse in pochi istanti o neanche ascoltate. Controproducente sarebbe la promozione di una forte sensazione di ansia, la quale potrebbe implicare anche una mancata o difficoltosa comprensione del messaggio, rendendo vano il lavoro svolto e soprattutto mettendo in pericolo l’utente.

Accade anche che queste informazioni riguardino eventi che le persone possono non aver mai sperimentato (es: eruzione vulcaniche piuttosto che un incidente stradale), lasciando spazio a fantasie e rappresentazioni generiche. A tal proposito, affinché le informazioni di prevenzione siano fruibili da tutti, è utile creare una concreta rappresentazione della realtà (es: testimonianze dei sopravvissuti). Coinvolgere la popolazione in attività il più possibile pratiche e reali permette di lavorare sul loro sistema cognitivo e percettivo migliorando l’apprendimento delle buone prassi espresse generalmente in maniera verbale. Inoltre accanto agli elementi di pericolo devono essere evidenziate le risorse e i punti di forza presenti nello scenario emergenziale.

Quanto appena detto può essere spiegato dal fatto che durante un’emergenza c’è un elevato coinvolgimento a livello percettivo, corporeo, cognitivo ed emotivo, diverso da quello che si ha in una semplice dimostrazione visiva.

Conclusioni

L’impatto psicologico e sociale delle emergenze può produrre effetti a breve termine, ma può anche compromettere a lungo termine il benessere psicosociale delle popolazioni colpite, quindi una delle priorità è quella di tutelare e promuovere la salute mentale delle persone coinvolte. Proprio per la natura così delicata di tale intervento sono state messe a punto importanti indicazioni per il supporto psico-sociale in condizioni di emergenza, che consistono in strategie concrete, rivolte alle popolazioni, utili a trattare o prevenire i disagi mentali sia prima che dopo la fase acuta dell’emergenza.

Appare quindi fondamentale avere nozioni per una comunicazione efficace da applicare nei contesti emergenziali, sia per operare in maniera ottimale in prima persona, sia per essere in grado di relazionarsi con le varie figure che notoriamente intervengono in situazioni del genere: dalle Istituzioni, ai soccorritori di altri corpi o associazioni, ai sopravvissuti e/o ai familiari delle vittime.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Mann, L., Burnett, P. C., Radford, M., Ford, S., (1997). The Melbourne decision making questionnaire. An instrument for measuring patterns for coping with decisional conflict. Journal of Behavioural Decision Making, 10, 1–19.
  • Rampin, M., Anconelli, L., (2010). Gestire la crisi. Tecniche Psicologiche e comunicative in emergenza. Edizioni libreria militare: Milano.
  • Ruminati, R., Bonini, N., (2001). Psicologia della decisione. Bologna: Il Mulino.
  • Sbattella, F., (2009). Manuale di psicologia dell’emergenza. Milano: Franco Angeli.
  • Tversky, A., Kahneman, D., (1974). Judgment under uncertainty: heuristics and biases. Science, (Vols. 185, pp. 1124-1131).
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