L’alessitimia è definita da Sifneos (1973) come un disturbo affettivo-cognitivo che comporta una estrema difficoltà nell’identificare, esprimere ed interpretare le emozioni proprie ed altrui.
Alessitimia e disturbi psicosomatici
Il legame tra il costrutto dell’alessitimia e l’insorgenza di disturbi psicosomatici è stato ipotizzato da Nemiah e colleghi (1976) e da allora numerosi studi hanno confermato questo legame.
Fra le caratteristiche cliniche dei pazienti psicosomatici, si possono annoverare: significativa difficoltà a identificare, descrivere e interpretare le emozioni; marcata inconsapevolezza nel distinguere il proprio stato emotivo rispetto alle percezioni fisiologiche; limitata capacità nell’individuare le cause delle proprie emozioni; forte preoccupazione riguardante aspetti concreti del proprio corpo e dell’ambiente esterno; stile di pensiero cristallizzato su stimoli esterni; scarsa capacità di elaborazione emotiva; incapacità di usare il linguaggio come veicolo delle proprie emozioni; tendenza ad agire fisicamente piuttosto che tramite il dialogo (Taylor, 1992; Taylor et al.,1997).
Nell’elaborazione scientifica il rapporto tra alessitimia e disturbi psicosomatici è stato interpretato come un malfunzionamento dei processi corporei, influenzati negativamente dagli stati di emotional arousal non adeguatamente modulati, che sono dovuti a un deficit nella capacità di rappresentare le emozioni (MacLean, 1949).
Secondo il modello biopsicosociale (Engels, 1977), la salute generale e lo sviluppo di una patologia o malattia sono influenzati dall’interazione tra fattori biologici, psicologici e socio-culturali. Partendo da questo modello teorico, l’approccio psicosomatico riconosce che salute e malattia possono essere condizionate da molteplici fattori fisiologici, psicologici, comportamentali e sociali, e che lo stato di malattia genera una serie di comportamenti tipici della condizione di “malato”, che comprendono l’esperienza soggettiva dei sintomi fisici e l’espressione comportamentale del dolore e delle limitazioni fisiche dovute alla propria condizione di disabilità (Luminet et al., 2018).
Per esempio: l’alessitimia può contribuire alla comparsa di sintomi somatici attraverso l’attivazione di uno stato di arousal fisiologico prolungato, che può portare a un’alterazione generale del funzionamento fisiologico e persino, come accennato in precedenza, a cambiamenti tissutali. Differentemente, l’alessitimia come esito di un trauma infantile può comportare deficit nello sviluppo affettivo e l’adozione di comportamenti non salutari lungo il corso della vita, come il fumo, l’abuso di alcol o droghe e la sovralimentazione, che gli individui alessitimici traumatizzati spesso utilizzano per regolare gli stati emotivi angoscianti, senza essere consapevoli della loro origine (Luminet et al., 2018). Infatti, è emerso come essere stati vittime di un trauma precoce abbia diverse conseguenze biologiche tra cui: svariate alterazioni funzionali e/o strutturali nelle aree cerebrali tra cui l’ippocampo e l’amigdala, disregolazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA), l’aumento dei marcatori infiammatori in età adulta e modifiche epigenetiche (Nemeroff & Seligman, 2013). Un’altra possibile spiegazione è la tendenza di molti soggetti alessitimici a focalizzarsi eccessivamente, e quindi amplificare conseguentemente, le sensazioni corporee associate all’emotional arousal; questo comporta che gli individui alessitimici interpretino queste sensazioni corporee erroneamente come sintomi di malattia, così da sentire come necessario un consulto medico (Maunder et al., 2017).
Alcuni autori hanno evidenziato come lo stile di risposta alessitimica presenti un blocco fisiologico in situazioni affettive intense, ma che queste persone possono comunque riferire alti livelli di affetti negativi. Questo quadro si traduce nella constatazione, relativamente coerente, di un mancato allineamento tra i sistemi di risposta alle emozioni, che potrebbe essere associato alla loro tendenza a confondere le sensazioni fisiche con i segni di malattia (Christos & Panayiotou, 2018).
Alessitimia e depressione
Inoltre, è stata dimostrata la presenza di un legame significativo tra alessitimia e depressione (Foran & O’Leary, 2013; Picardi et al., 2011). L’ipotesi è che gli individui con alti livelli di alessitimia abbiano appreso la tendenza a evitare sistematicamente esperienze interne, ad alto contenuto emotivo, poiché altamente disturbanti e attivanti. Secondo gli autori la scarsa capacità di identificazione e interpretazione delle emozioni nel costrutto alessitimico è di fatto uno sforzo fisiologico atto a evitare un’esperienza emotiva disturbante e proprio questa tendenza, in ultimo, favorisce lo sviluppo di patologie fisiche e mentali (Panayiotou et al., 2015).
Un recente studio del 2021 di Liu e colleghi ha indagato il rapporto tra gravi sintomi depressivi, evitamento e alessitimia: i risultati di questo studio hanno evidenziato un legame significativo tra i fattori appena citati. Partendo dal presupposto che il campione indagato era composto da giovani universitari, poco meno di un quarto del campione ha affermato di aver subito abusi in infanzia. È importante sottolineare come proprio questa fetta di campione abbia totalizzato i punteggi più significativi per quanto riguarda i costrutti indagati in questo studio, ovvero, alessitimia, evitamento, ideazione suicidaria, autolesionismo. Inoltre, l’effetto dell’alessitimia in relazione a sintomi depressivi gravi, quali ideazione suicidaria e autolesionismo, è risultato significativo; allo stesso modo anche l’evitamento è risultato un fattore intermediario importante nel rapporto tra alessitimia e sintomi depressivi.
In sintesi, si può affermare che, posta un’esperienza traumatica infantile come fattore di vulnerabilità per lo sviluppo di sintomatologia depressiva, anche un non adeguato riconoscimento e la ridotta capacità di regolazione emotiva sono risultati fattori importanti, sebbene siano necessari ulteriori studi per confermare la direzionalità di questo rapporto; inoltre, l’evitamento potrebbe essere, conseguentemente, un fattore aggravante.