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Il fenomeno del malingering: l’intenzionalità del soggetto di ingannare

La principale caratteristica del malingering, cioè della simulazione di sintomi, è l’ottenere un vantaggio esterno, aspetto assente nei disturbi fittizi

Di Sara Cutrale

Pubblicato il 28 Lug. 2022

Aggiornato il 21 Dic. 2023 12:10

Gli elementi costitutivi del malingering sono due: l’intenzionalità del soggetto di ingannare producendo sintomi falsi e il raggiungimento di incentivi o vantaggi esterni.

 

Il malingering e la simulazione

 Il termine simulare deriva dal latino simulatio e significa ingannare, fingere che qualcosa sia ciò che non è (Ciallella e Rinaldi, 2009). All’interno della simulazione distinguiamo dei fenomeni di faking: il faking bad, ossia l’alterazione in senso peggiorativo, e il faking good, per mostrare un’immagine di sé migliore rispetto a quella reale (Ellingson e McFarland, 2011). Nella letteratura scientifica il faking bad è conosciuto con il termine, di derivazione militare, “malingering”, che va ad indicare l’atto per cui il soldato richiede di essere sottoposto a visita medica e viene così riconosciuto dal medico tra i malati.

La simulazione è quindi un processo psicologico caratterizzato dalla decisione cosciente di un individuo di riprodurre dei sintomi fisici o psicologici falsi e di mantenere tale imitazione per un tempo più o meno lungo, fino al conseguimento di uno scopo prefissato (Callieri e Semerari, 1959). L’obiettivo, di solito, è quello di ottenere determinati benefici, come un compenso finanziario, oppure evitare la scuola o il lavoro, ottenere droghe e sostanze o avere condanne penali più leggere (Pancheri e Cassano, 1999; Fornari, 2018).

Il DSM-5 (APA, 2013), tuttavia, non annovera la simulazione tra le diagnosi, ma la riporta come una condizione, ossia come “simulazione di malattia”.

Perciò, gli elementi costitutivi del malingering sono due: l’intenzionalità del soggetto di ingannare producendo sintomi falsi e il raggiungimento di incentivi o vantaggi esterni (Ferracuti, Parisi e Coppitelli, 2007).

Il tema della simulazione è legato a quello della dissimulazione. Secondo Ekman (1995) simulazione e dissimulazione rappresentano due strategie attraverso cui un soggetto mente e si differenziano in quanto chi dissimula nasconde delle informazioni senza dire nulla di falso; chi simula, invece, presenta un’informazione alterata come se fosse vera.

Simulazione, sindrome di Ganser e disturbi fittizi

Vi sono alcune patologie che, apparentemente, possono avere degli elementi comuni con la simulazione, ma in realtà sono differenti da essa.

Tra queste abbiamo la sindrome di Ganser, che prende il nome proprio dallo psichiatra tedesco che la descrisse per la prima volta nel 1898. Essa è definita come uno “stato crepuscolare isterico”, il cui sintomo fondamentale è il “rispondere di traverso” (Ganser, 1897; Carney et al., 1987). La sindrome di Ganser è classificata dal DSM-5 (APA, 2013) come “disturbo dissociativo con altra specificazione” (Ferracuti, Parisi e Coppotelli, 2007) e viene distinta dalla simulazione, come avviene nell’ICD-10 (WHO, 1992).

La differenza fondamentale tra la simulazione e la sindrome di Ganser risiede nello stato di coscienza. Il simulatore, infatti, è completamente o quasi completamente lucido; mentre nella sindrome di Ganser la componente intenzionale sembra essere più sfumata e prevarrebbe quella dissociativa, con evidenti e accentuati aspetti crepuscolari e confusionali (Latcham, White e Sims, 1978).

A distinguersi dalla simulazione vi sono anche i disturbi fittizi, che vengono categorizzati dal DSM-5 (APA, 2013) come “simulazione di malattia, provocata a sé o ad altri”, caratterizzata dalla falsificazione di sintomi fisici e/o psichici che l’individuo produce o simula intenzionalmente con lo scopo di mostrarsi malato, o di mostrare agli altri come un’altra persona sia malata, sempre per motivazioni interne e non legate ad una finalità medico-legale (Slick e Sherman, 2012; Ferracuti, Parisi e Coppotelli, 2007). In poche parole, gli individui “scelgono” di rendersi malati per una loro “necessità psicologica”, ma non per ottenere dei vantaggi riconoscibili (Eisendrath, 1996; Ferracuti, Parisi e Coppotelli, 2007).

Quindi, a differenza del malingering, in alcuni disturbi fittizi l’incentivo sta semplicemente nello svolgere il ruolo di paziente, piuttosto che nell’ottenere un incentivo esterno (Pankratz, 1981), aspetto che rappresenta la principale distinzione dalla simulazione.

Una forma peculiare dei disturbi fittizi è la sindrome di Münchausen (APA, 2013), caratterizzata da frequenti ricoveri, dove questi pazienti di solito arrivano lamentando malattie e sintomi inesistenti. Componenti essenziali di tale sindrome sono il mentire in maniera patologica e, soprattutto, consapevole, e l’autolesionismo (Pankratz, 1981).

 Parallelamente alla sindrome di Münchausen, vi è la sindrome di Münchausen per procura (Münchausen Syndrome by Proxy – MSbP; Meadow, 1977; Rosenber, 1987), che viene ormai denominata come “disturbo fittizio provocato ad altri”, tra i disturbi fittizi del DSM-5 (APA, 2013). Questa sindrome ha ricevuto particolare attenzione in quanto, di solito, coinvolge la figura di accudimento, la quale “fa ammalare” deliberatamente un’altra persona, di solito il proprio figlio, procurandogli o simulando un danno fisico e/o psicologico, oppure convincendo gli altri che questa persona sia malata (Carriero et al., 2020; Ferracuti, Parisi e Coppotelli, 2007).

Simulare una psicopatologia è molto difficile, in quanto i sintomi devono essere prolungati nel tempo e spesso vengono manifestati sintomi e segni incongrui (Cialella e Rinaldi, 2009).

Malingering e simulazione in ambito forense

Esistono patologie la cui simulazione è particolarmente diffusa nei contesti psicoforensi e ciò è dovuto probabilmente al fatto che alcune sindromi sono particolarmente intuitive, per le loro manifestazioni e per la disponibilità di risorse informative, e questo potrebbe facilitare la simulazione. Non potendo però controllare le variabili che portano un soggetto a simulare una patologia piuttosto che un’altra, è necessario porre almeno attenzione ai quadri clinici simulati di solito, da quelli più comuni a quelli più controversi.

La simulazione di schizofrenia è relativamente rara, e di solito si osserva in contesti psichiatrico-forensi di carattere penale, per reati gravi come omicidio. Simulare con efficacia una condizione psicotica è complicato, richiede tempo e conoscenze che oggigiorno un soggetto può aver acquisito o attraverso l’esperienza con familiari con una tale patologia simile o con precedenti ricoveri in TSO (Ferracuti, Parisi e Coppotelli, 2007).

Invece, sono molteplici le situazioni in cui sono simulate o esagerate le condizioni amnesiche. Molto spesso gli indagati o imputati possono dichiarare semplicemente di non ricordare il fatto e, meno di frequente, sostengono di non essere in grado di ricordarlo per farsi dichiarare incapaci a livello processuale. Si osserva una compromissione amnesica anche in altre patologie, per esempio di tipo neurologico, per condizioni epilettiche, etc., quindi questa enorme eterogeneità di possibili cause di sviluppo di un disturbo di memoria pone problemi di valutazione di una simulazione di amnesia (Ferracuti, Parisi e Coppotelli, 2007).

Infine, sebbene sembrerebbe che la falsificazione di sintomi di disturbo da stress post-traumatico (PTSD) sia più difficile da trovare, allo stesso modo sono stati fatti molti studi sulle motivazioni alla falsificazione di tali sintomi per motivi come il risarcimento, la vendetta, il voler attirare l’attenzione o semplicemente la sottrazione di responsabilità penale, e queste sono anche valutate nel contesto di eventi diversi, per esempio per evitare la responsabilità di un omicidio o per richiedere un risarcimento per un infortunio sul lavoro (Peace e Masliuk, 2011).

In conclusione, possiamo dire che, ad oggi, individuare la simulazione con successo è diventata una questione sempre più di crescente preoccupazione per i professionisti (McCaffrey e Weber, 1999). E, sebbene la maggior parte di questi abbia familiarità con la definizione di malingering, rimane un fenomeno complicato da identificare con precisione (Rogers et al., 2004).

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • American Psychiatric Association, APA (2013). Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (DSM-5), Fifth edition, Arlington, VA: American Psychiatric Publishing. Traduzione italiana, Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, Quinta edizione (2014). Milano: Raffaello Cortina Editore.
  • Callieri, B., & Semerari, A. (1959). La simulazione di malattia mentale. Roma: Abruzzini Editore.
  • Carney, M.W., Chary, T.K., Robotis, P., & Childs, A. (1987). Ganser syndrome and its management. British Journal of Psychiatry, 151(5), 697-700.
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  • Ciallella, C., & Rinaldi, R. (2009). Simulazione e dissimulazione di malattia mentale. In G. Giusti (Ed.), Trattato di medicina legale e scienze affini: Genetica, psichiatria forense e criminologia, medicina del lavoro (vol. 4). Padova: Cedam Editore.
  • Ekman, P. (1995).  I volti della menzogna: gli indizi dell’inganno nei rapporti interpersonali, negli affari, nella politica, nei tribunali. Firenze: Giunti Editore.
  • Ellingson, J.E., & McFarland, L.A. (2011). Understanding faking behavior through the lens of motivation: An application of VIE theory. Human Performance, 24(4), 322-37.
  • Eisendrath, S.J. (1996). When Munchausen becomes malingering: Factitious disorders that penetrate the legal system. The Bulletin of the American Academy of Psychiatry and the Law 24(4), 471-481.
  • Ferracuti, S., Parisi, L., & Coppotelli A. (2007). Simulare la malattia mentale. Torino: Centro Scientifico Editore.
  • Fornari, U. (2018). Trattato di psichiatria forense, VII edizione. Milano: UTET.
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  • World Health Organization, WHO (1992). International Statistical Classification of Disease and Related Health Problems, ICD-10, Tenth revision, Geneva: WHO.
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