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Regole, natura e sviluppo del linguaggio

Lo sviluppo del linguaggio è un processo maturazionista che evolve secondo un programma di carattere filogenetico seguendo diverse fasi uguali per tutti

Di Manuel Trasatti

Pubblicato il 26 Lug. 2022

Il linguaggio è una forma di comunicazione superiore, caratterizzata da semanticità (ogni segno linguistico ha un suo suono e un suo significato), arbitrarietà (il significato di un suono viene appreso e tramandato culturalmente) e convenzionalità (i significati dipendono da regole condivise da varie culture).

 

Il linguaggio ha un certo grado di intenzionalità e si configura come una forma di comunicazione consapevole, con una duplice funzione: la dislocazione, consente di discutere di oggetti, stimoli, persone ed eventi concretamente assenti alla percezione di chi parla; e la generatività infinita, permette di produrre un infinito numero di combinazioni di frasi, sintagmi e testi a partire da un numero finito di vocaboli.

Le regole del linguaggio

Il linguaggio si imposta su cinque regole fondamentali:

  • fonologia, cioè l’insieme di tutti i suoni esistenti in natura e le loro possibili combinazioni. Il fonema costituisce la fondamentale unità di suoni di un linguaggio, l’unità più piccola di un suono che ne influenza il significato.
  • morfologia, cioè la struttura e della forma delle parole, dei processi di formazione e dei cambiamenti nelle forme. Il morfema indica l’unità minima di significato.
  • sintassi, cioè il modo in cui le parole si dispongono per formare delle frasi accettabili, dei sintagmi di senso compiuto, cioè delle unità autonome grammaticalmente corrette.
  • semantica, che si riferisce al significato delle parole e alla corrispondenza tra parole e significato.
  • pragmatica, la disciplina che studia l’uso contestuale della lingua, cioè l’uso appropriato del linguaggio a seconda del contesto; la pragmatica indaga la parola come azione concreta.

Lo sviluppo del linguaggio

Lo sviluppo del linguaggio è un processo maturazionista che evolve secondo un programma di carattere filogenetico.

Alla nascita, i bambini tendenzialmente esternano il loro sentire attraverso il pianto e suoni gutturali come “gu”, “cu” o “uu”; tra le due e le tre settimane dopo la nascita compaiono le prime vocalizzazioni di natura vegetativa, come gli sbadigli. Tra i 2 e i 3 mesi compaiono le prime forme di associazioni tra vocali e consonanti e le prime imitazioni vocaliche, mentre tra il 4° e il 6° mese subentra la lallazione, cioè una sequenza di sillabe – consonante e vocale – che viene reiterata due o più volte per formare parole bisillabiche, ad esempio “mamama” o “papapa”. Nei bambini nati sordi, la lallazione si presenta sotto forma di gesti. Intorno al 10° mese compare la lallazione variata: le sillabe si fanno più lunghe e complesse (ad esempio “bama”, “dadu”).

Tra gli 8 e i 12 mesi i bambini cominciano ad utilizzare i primi gesti comunicativi, cioè gesti deittici o performativi, come indicare, mostrare o richiedere. Questi gesti esprimono un’intenzione comunicativa, si riferiscono a un oggetto o uno stimolo esterno preciso, tipicamente segnalato attraverso l’uso dell’indice, sono distali, cioè prodotti a distanza, e si svolgono nel contesto di un’interazione triadica, che prevede la presenza del bambino, del caregiver e dell’oggetto in questione. Il pointing, per esempio, è un importante gesto deittico con funzione richiestiva e dichiarativa e di origine strumentale. A quest’età i bambini iniziano anche a comprendere le prime parole; la prima di queste compare intorno ai 10-15 mesi generalmente. Le prime parole sono termini indicanti nomi di cibi, bevande, animali domestici, veicoli, giocattoli, oggetti di casa o persone per lui importanti. A 13 mesi i bambini comprendono 50 parole, ma non riescono a pronunciarle tutte prima dei 18 mesi. A 16 mesi il bambino produce le combinazioni transmodali, cioè è capace di associare ad una parola un gesto. A 18 mesi avviene l’esplosione del vocabolario (vocabulary spurt): i bambini sono in grado di pronunciare circa 200 parole. Tra i 18 e i 24 mesi il bambino passa dall’utilizzo di olofrasi a un linguaggio telegrafico. L’olofrase, detta frase monometrica, è composta solo da una parola e il suo significato implicito coincide con quello di una frase intera (es. “voio” per “voglio”). Il discorso telegrafico, invece, prevede la presenza di due parole o espressioni molto brevi e semplici, sprovviste di elementi grammaticali come articoli, congiunzioni e verbi ausiliari (es. “no lupo”, “tutto buio”).

 In sintesi, si può dire che esistano tre fondamentali tipologie di comunicazione: una comunicazione preintenzionale (0-8 mesi) che presuppone la presenza di movimenti, gesti e suoni senza un’intenzione comunicativa; una comunicazione intenzionale (8-12 mesi), che invece prevede la presenza di un’intenzione comunicativa e in particolare l’utilizzo di gesti con funzione richiestiva e dichiarativa; e infine una comunicazione linguistica (dal 12 mese in poi), composta da olofrasi, linguaggio telegrafico, domande, risposte e saluti.

A partire dai 2 anni, i bambini diventano abili a combinare le parole, a costruire frasi complesse, a utilizzare articoli, preposizioni, dimostrativi, possessivi e il plurale. Cominciano a scarabocchiare, a notare le rime, a coniugare correttamente i verbi e a definire le sillabe. Cominciano a esprimersi utilizzando anche il lessico psicologico, ovvero l’insieme di termini e vocaboli che esprimono uno stato interno di carattere cognitivo, fisiologico (“fa schifo”), percettivo (“ho visto”), volitivo (“desidero”), emotivo (“sono triste”). Mentre a 3 anni sviluppano competenze sintattiche, in quanto diventano capaci di costruire frasi nucleari complete, cioè composte da soggetto, verbo e complemento. A 4 anni si assiste anche a un miglioramento delle abilità pragmatiche, in quanto i bambini apprendono regole di conversazione, imparano a modulare lo stile di discorso a seconda del contesto in cui si trovano e diventano bravi a parlare di oggetti e stimoli assenti alla loro percezione (displacement). A quest’età il bambino inoltre impara a scrivere correttamente il proprio nome in stampatello e a 5 anni è capace di copiare sia lettere che parole brevi e di inventare ortografie. La lettura è una capacità che si sviluppa nel corso di diversi anni e comprende tre processi cognitivi: l’atto di comprendere la dimensione fonetica della parola, l’atto di decodificare la parola convertendo il segno in suono, cioè l’intenzione comunicativa in vero e proprio atto linguistico, e infine l’atto di accedere al significato intrinseco della parola stessa e di crearsi una sua rappresentazione mentale. L’età scolare ed epoche successive all’interno del periodo evolutivo portano graduali e ulteriori affinamenti di tutte queste abilità linguistiche: per esempio, durante l’adolescenza l’individuo impara a utilizzare il pensiero astratto, la lingua diventa più raffinata, ma si arricchisce anche di espressioni gergali, ironiche, satiriche e argute, compare l’uso della metafora e dello slang.

La natura del linguaggio

Si è a lungo discusso circa la natura del linguaggio e in particolar modo numerosi studiosi, linguisti e psicologi, nel corso degli anni, si sono prodigati per comprendere se fosse una funzione mentale innata o acquisita.

Il linguista Noam Chomsky sosteneva che lo sviluppo del linguaggio fosse un processo innato e teorizzò due concetti molto importanti, cioè la GU (Grammatica Universale) e il LAD (Language Acquisition Device, un dispositivo interno per l’acquisizione del linguaggio). L’idea di Chomsky è che tutti gli individui possiedano una Grammatica Universale, cioè siano biologicamente predisposti fin dalla nascita ad apprendere la lingua. La GU si configura come uno schema innato, contenente principi, postulati, concetti e conoscenze che spiegano e regolamentano il modo in cui funzionano tutte le lingue naturali e comuni esistenti: la concettualizzazione della GU si fonda sul fatto che esistano costrutti linguistici e aspetti grammaticali talmente intuitivi ed evidenti, come ad esempio il modo in cui si assembla una frase, che non possono essere messi in discussione né necessitano di essere appresi.

Il LAD, invece, è una dotazione biologica e innata che consente di assimilare e acquisire le principali caratteristiche e le regole del linguaggio, tra cui la fonologia, la sintassi e la semantica, tutti elementi tramite cui è possibile costruire un numero infinito di frasi. Il LAD agisce in maniera autonoma, indipendentemente dallo sviluppo cognitivo, dal livello di intelligenza e dalle competenze del bambino. La teoria di Chomsky, pertanto, spiega il motivo per cui i bambini imparano a parlare rapidamente, perché il loro linguaggio è più ricco e variegato di quello a cui tipicamente sono stati esposti e per quale motivo le tappe di sviluppo siano identiche a livello universale.

Diametralmente opposta è la posizione interazionista di Jerome Bruner, secondo cui l’interazione socioculturale e in particolar modo il contributo di genitori e insegnanti promuove lo sviluppo di un sistema di supporto per l’acquisizione del linguaggio (LASS). Secondo Bruner il LASS è un processo dinamico a basi neurobiologiche, di carattere esperienziale, prodotto da regolari interazioni socioculturali, e quindi lo sviluppo del linguaggio è largamente condizionato dalla qualità e soprattutto dalla quantità della conversazione che il bambino intesse con figure educative di riferimento.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Chomski, N. (1965). Aspects of Theory of Syntax. The MIT Press.
  • Santrock J. W. (2017). Psicologia dello sviluppo. McGraw-Hill
  • Caselli, M.C. e Casadio P. (2002). Il primo vocabolario del bambino. Franco Angeli.
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