L’utilizzo della mindfulness potrebbe essere un fattore protettivo per gestire alcuni processi disfunzionali basati sulle emozioni, come l’evitamento delle situazioni, la soppressione dei pensieri, il rimuginio e la ruminazione, tutti elementi che risultano essere presenti nel disturbo da abuso di sostanze.
Le difficoltà con la regolazione delle emozioni sono considerate dei grandi fattori di rischio per lo sviluppo e il mantenimento del disturbo da abuso di sostanze (Cavicchioli et al., 2019). Molti studi empirici, infatti, hanno dimostrato che gli individui che abusano di sostanze hanno una consapevolezza emotiva compromessa, oltre ad avere delle difficoltà a controllare i propri impulsi mentre esperiscono emozioni negative. In queste persone, inoltre, sono molto frequenti l’intollerabilità e l’incapacità di accettare le emozioni negative. È stato osservato come gli individui che soffrono di disturbo da abuso di sostanze usino frequentemente delle strategie di regolazione emotiva disfunzionali, come il tentativo di sopprimere l’esperienza emozionale. Infine, in alcune ricerche cliniche, l’affettività negativa è stata ripetutamente associata al craving, all’uso di sostanze e alla ricaduta.
Il ruolo della mindfulness nel trattamento del disturbo da sostanze
Sono numerosi i trattamenti che hanno come componente centrale la prevenzione di ricadute e il supporto dell’astinenza a lungo termine, e tra i molti vi sono anche alcuni percorsi che hanno come nucleo principale l’utilizzo della pratica della mindfulness. Nonostante i differenti approcci teorici esistenti e le varie metodologie di intervento utilizzate, i meccanismi che sono coinvolti nell’operazionalizzazione della pratica della mindfulness, e di come essa possa giocare un ruolo chiave nel favorire un cambiamento terapeutico, sono fondamentalmente due: il primo elemento è l’autoregolazione, ovvero la capacità di controllare e gestire i comportamenti del proprio corpo; il secondo elemento è l’accettazione non giudicante e non reattiva verso ciò che accade nel momento presente (Cavicchioli et al., 2019).
Alcune ricerche condotte finora
Witkiewitz e colleghi (2013) sostengono che le pratiche legate alla mindfulness aiutino l’individuo a migliorare la regolazione attentiva, l’accettazione e l’abitudine di vivere con un assetto non giudicante le esperienze emozionali e il craving, con un duplice risultato sia top-down, influenzando il controllo inibitorio e il monitoraggio del conflitto, sia bottom-up, influenzando la reattività della risposta allo stress (Witkiewitz et al., 2013). Tutti questi elementi risultano essere fondamentali nella gestione della dipendenza da sostanze (Witkiewitz et al., 2013).
Inoltre, Karyadi e colleghi (2014) hanno dimostrato delle relazioni significativamente negative tra alcune componenti della mindfulness che riguardano l’accettazione (come l’atteggiamento non giudicante e non reattivo) e l’agire con consapevolezza con l’utilizzo di alcool e tabacco, in individui appartenenti a campioni clinici e non clinici (Karyadi et al., 2014). Similmente, l’utilizzo della mindfulness potrebbe essere un fattore protettivo per gestire alcuni processi disfunzionali basati sulle emozioni, come l’evitamento delle situazioni, la soppressione dei pensieri, il rimuginio e la ruminazione, tutti elementi che risultano essere presenti nel disturbo da abuso di sostanze (Cavicchioli et al., 2019).
I limiti della mindfulness
I trattamenti basati sull’integrazione della mindfulness che sono stati implementati nel trattamento per i disturbi da abuso di sostanze hanno mostrato risultati davvero promettenti (Rosenthal et al., 2021). Tuttavia, alcune meta-analisi hanno riportato come trattamenti che prevedono l’utilizzo della mindfulness non dimostrino un’efficacia superiore rispetto ai trattamenti che già vengono utilizzati (come i trattamenti farmacologici o i percorsi di psicoterapia). L’efficacia della mindfulness sembra inoltre dipendere dal grado di intensità della dipendenza. È stato osservato come gruppi di partecipanti con una dipendenza da sostanza di lieve intensità riescano più facilmente a trarre beneficio dall’utilizzo della mindfulness rispetto ad individui con una forte dipendenza. Inoltre, un altro fattore importante sembra essere la quantità di tempo che i pazienti riescono a dedicare alla mindfulness. Infatti, è stato notato come gli individui che non riescono a praticare la mindfulness quotidianamente hanno una maggiore difficoltà a risolvere il disturbo.
Sembra quindi che la mindfulness sia una pratica efficace che può portare benefici se integrata nel percorso terapeutico (Rosenthal et al., 2021). Tuttavia, le ricerche cliniche non sono ancora sufficienti per confermare la totale solidità di questa pratica. Ulteriori ricerche dovrebbero concentrarsi sul reclutamento di numerosi campioni di popolazione e trovare partecipanti che abbiano la possibilità di praticare la mindfulness quotidianamente.