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Privacy online: internet non dimentica?

Quando condividiamo qualcosa su internet stiamo dando il consenso per l’utilizzo dei nostri dati, ma spesso non tuteliamo la nostra privacy online

Di Vincenzo Paternoster

Pubblicato il 27 Giu. 2022

Aggiornato il 01 Lug. 2022 12:17

La privacy indica la vita personale, privata, dell’individuo o della famiglia, costituisce un diritto e va perciò rispettata e tutelata; questa definizione vale anche per la privacy online ma con una piccola eccezione, dopo aver condiviso dei propri dati in rete non sono più in nostro possesso.

 

La privacy online è un tema delicato e attuale che, nonostante abbia acquisito molta rilevanza per i vari scandali che si sono susseguiti in questi anni (e.g., Cambridge Analytica), non ha prodotto nessuna effettiva modifica nei comportamenti degli utenti online. La poca attenzione data a una tematica così sensibile può provocare una serie di conseguenze negative dirette al futuro utilizzo di internet per ognuno di noi. A questo punto è importante chiedersi perché le persone tendono a dare poca importanza a un problema che le interessa direttamente?

Cosa si intende con privacy e con privacy online?

La privacy, secondo la Treccani (2022), indica la vita personale, privata, dell’individuo o della famiglia, in quanto costituisce un diritto e va perciò rispettata e tutelata. È possibile traslare questa definizione anche per la privacy online ma con una piccola eccezione, dopo aver condiviso dei propri dati in rete non sono più in nostro possesso. La tutela, il rispetto e il diritto vengono totalmente violati, ma con il nostro consenso.

Infatti, ogni qual volta accediamo su un sito o ci registriamo su una piattaforma ci compaiono delle scritte (e.g., “accetta le condizioni” o “accetta termini e condizioni” oppure “ accetta e chiudi”) che ci consentono di scegliere se accettare e continuare il nostro “navigare” oppure fermarci e leggere l’informativa sulla privacy. Chiaramente nessuno ha il tempo e la voglia di leggere articoli, commi e condizioni quindi tutti noi decidiamo di accettare e andare avanti.

Ogni volta che accettiamo non facciamo altro che dare il nostro consenso ai siti per i trattamenti dei nostri dati. Questi dati possono essere utilizzati dai siti che visitiamo per personalizzare la nostra esperienza (cookie di prime parti) oppure possono essere venduti e usati da altri siti (cookie di terze parti). Dopo lo scandalo di “Cambridge Analytica” ci sono stati dei cambiamenti in favore di una maggiore tutela dei dati degli utenti, ma si è ancora molto lontani dalla definizione citata inizialmente.

Navigare e visitare qualche sito non è l’unico modo di fornire dati. Ogni volta che condividiamo una foto, un video, un articolo o ci registriamo per ottenere la “carta fedeltà” non stiamo facendo altro che dare il consenso per l’utilizzo dei nostri dati a chi fornisce il servizio di cui vogliamo usufruire. Tutte queste informazioni, una volta condivise online, non ci appartengono più. Infatti, nonostante il cosiddetto diritto all’oblio (European Commission, 2014) la cancellazione dei dati non implica la completa eliminazione delle nostre informazioni da internet.

Per questo, prima di condividere qualcosa online, bisogna ricordare che internet non è altro che una rete fatta di una fitta unione di collegamenti e nodi che distribuiscono i dati in tutto il mondo online. Quindi anche se l’informazione non è più presente in una specifica sezione di internet, non vuol dire che non sia reperibile (in forma disgregata) in altre zone online.

Se l’uso di internet è così pericoloso perché, ancora oggi, tendiamo a prendere decisioni che vanno contro la nostra stessa sicurezza?

La risposta a questa domanda deriva dagli studi della psicologia e dell’economia decisionale.

Kahneman (2001) durante i suoi studi con Tversky e Smith ha descritto il nostro processo decisionale come diviso in due sistemi. Il sistema 1 (veloce e intuitivo) che ci consente di elaborare velocemente le informazioni, con un minimo consumo delle risorse cognitive, ma che non ci assicura sempre il miglior risultato e il sistema 2 (analitico) che è più lento, consuma molte più risorse, ma è completo nell’elaborazione. I due sistemi collaborano insieme per darci la possibilità di prendere le migliori decisioni ma non va sempre tutto nel verso giusto. Infatti, si possono presentare degli errori che vanno a precludere la correttezza delle decisioni.

In realtà, il processo decisionale è molto più complesso di come è stato descritto precedentemente, ma ciò che conta è capire che non siamo sempre analitici e razionali (sistema 2) durante la nostra quotidianità e tendiamo a prendere delle decisioni poco accurate senza tenere in considerazione tutte le informazioni necessarie (sistema 1). Per questo, ogni qual volta che ci viene chiesto online di accettare e chiudere o leggere e capire, preferiamo la prima opzione, perché è meno onerosa da un punto di vista di risorse cognitive e siamo maggiormente predisposti ad assecondare il nostro bisogno di navigare con un semplice tocco rispetto al dover posticipare il piacere per leggere e comprendere.

Un’ulteriore spiegazione alla nostra noncuranza deriva dallo studio di Tam et al (2009) che propone l’idea del compromesso di convenienza-sicurezza. Questo fenomeno descrive la propensione delle persone a preferire la convenienza alla sicurezza, in gran parte delle situazioni (e.g., preferiamo avere un login veloce rispetto a mettere tutti i dati necessari ogni volta che effettuiamo un accesso).

Chiaramente non siamo sempre attratti dalla convenienza, molto dipende dal grado di minaccia percepito dall’utente come già evidenziato da Rogers (1975) nella teoria della motivazione alla protezione. In realtà, conoscere il grado della minaccia è una condizione necessaria ma non sufficiente per reagire al pericolo. Infatti, a partire dallo studio di Johnston & Warkentin (2010) si è compreso come per l’applicazione di una buona sicurezza online è necessario avere un buon livello di autoefficacia (Bandura, 1997), cioè bisogna percepirsi come competenti e capaci nel gestire la privacy così da far fronte a qualsiasi minaccia si presenti durante la nostra navigazione.

Esiste una soluzione alla nostra difficoltà nel gestire la privacy online?

La soluzione unica e funzionale per gestire in maniera ottimale la privacy online non esiste, ma avendo visto alcune delle cause di questa nostra difficoltà è possibile intervenire durante la nostra attività quotidiana online. La soluzione, in questi casi, è la consapevolezza di ciò che si sta facendo, che può essere alimentata praticando e riconoscendo i propri errori. Infine, è vero che internet non dimentica, ma noi possiamo imparare a non fare gli stessi errori e cambiare il nostro modo di usare questo incredibile strumento che molto spesso viene sottovalutato diventando il nostro principale nemico. Infatti:

Il problema non è la tecnologia in sé, ma l’uso che se ne fa. Ogni cosa comporta dei rischi, l’importante è essere consapevoli e valutare se il prezzo che paghiamo (meno privacy) è adeguato a quanto riceviamo in cambio (Nasetti, 2021).

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Bandura, A. (1997). Self-efficacy: The exercise of control. W H Freeman/Times Books/ Henry Holt & Co.
  • European Commission (2014). Factsheet on the ‘Right to be Forgotten’ ruling (C-131/12). Consultato il 03/06/2022 qui.
  • Johnston, Allen & Warkentin, Merrill. (2010). Fear Appeals and Information Security Behaviors: An Empirical Study. MIS Quarterly. 34. 549-566. 10.2307/25750691.
  • Kahneman, Daniel. (2011). Thinking, Fast and Slow. London: Penguin Books.
  • Nasetti,S. (2021). "Fact Checking – La realtà dei fatti, la forza delle idee”. Milano: StreetLib. ISBN 9791220817578
  • Privacy. (2022). Istituto della Enciclopedia Italiana Treccani. Consultato il 03/06/2022 mediante qui.
  • Rogers, R. W. (1975). A protection motivation theory of fear appeals and attitude change. The Journal of Psychology: Interdisciplinary and Applied, 91(1), 93–114.
  • Tam, L., Glassman, M. & Vandenwauver, M. (2009). The psychology of password management: A tradeoff between security and convenience. Behaviour & Information Technology, 29, 233–244. DOI: 10.1080/01449290903121386.
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