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L’effetto imbuto dei telomeri sui protocolli di supporto psicofisico

La lunghezza dei telomeri è sensibile a molti fattori, tra cui l’esposizione a fattori stressanti negativi, il benessere psicologico, lo stile di vita

Di Massimo Agnoletti

Pubblicato il 12 Mag. 2022

Aggiornato il 13 Mag. 2022 12:43

La scienza dei telomeri afferma che molteplici macro-fattori (nutrizionali, motori, psicologici, sociali, del sonno, etc.), seppur in maniera parzialmente indipendente, impattano nella stessa misura sulle strutture cromosomiche che determinano la nostra longevità. 

 

Una conseguenza di questa dinamica chiamata “effetto imbuto” dei telomeri (Agnoletti, 2019) è che qualsiasi intervento da parte dei professionisti del benessere psicofisico dovrebbe partire dall’analisi generale di questi macro-fattori per identificare il fattore, o i fattori, altamente vulnerabili che richiedono priorità nel percorso di supporto.

Questo paradigma emergente dallo studio dei telomeri necessita una formazione molto più integrata e trasversale rispetto ai percorsi formativi attualmente disponibili sia a livello universitario che postuniversitario, quindi è necessario implementare prima possibile queste nuove conoscenze tramite una formazione specifica dedicata.

Vediamo ora il contesto teorico- pratico di queste affermazioni.

Cosa sono i telomeri?

Per spiegare il ruolo e la funzione dei telomeri si utilizza generalmente una metafora dove i telomeri sono rappresentati dai “terminali” plastificati dei lacci delle scarpe ed i lacci stessi sono rappresentati dall’informazione genetica del nostro DNA.

La metafora aiuta a cogliere l’importanza del ruolo dei telomeri nell’evitare che il nostro contenuto genetico si “danneggi” garantendo quindi le proprietà strutturali del DNA e scongiurando di conseguenza la situazione in cui l’informazione contenuta nel nostro patrimonio genetico non sia più utilizzabile dai processi cellulari, determinando la morte cellulare stessa.

Ad ogni divisione cellulare le strutture telomeriche si accorciano progressivamente, e questo graduale e progressivo processo di accorciamento è ciò che viene comunemente chiamato “invecchiamento” cellulare.

Grazie a recenti ricerche di biologia molecolare si è anche capito che i telomeri sono supportati da uno speciale enzima, detto “telomerasi”, che parzialmente riesce a contrastare l’effetto di consumo dei telomeri aggiungendo basi alla loro struttura e limitando quindi il loro accorciamento (Andrews & Cornell, 2017; Armanios, 2013; Blackburn, 1991; Blackburn, 2010).

Quali fattori influenzano l’accorciamento dei telometri?

Mentre alcuni fattori “accelerano” l’accorciamento dei telomeri perché limitano l’azione manutentiva dalla telomerasi (pensiamo al fumare, al dormire poche ore, la sedentarietà, soffrire di distress cronico, il rimuginio frequente, la depressione, alimentarsi scorrettamente, etc.) altri fattori “rallentano” l’accorciamento standard telomerico dovuto alla replicazione cellulare perché attivano più efficacemente la telomerasi (la meditazione, una regolare attività motoria, una corretta nutrizione, una corretta qualità del sonno, etc.).

La lunghezza assoluta dei telomeri è sensibile a molti fattori quali l’esposizione a fattori stressanti negativi, il benessere psicologico, il nostro comportamento inteso come stile di vita, e molti altri fattori, inclusi anche la presenza o meno di inquinanti che contribuiscono a determinare il ritmo con il quale i nostri telomeri si accorciano (Armanios & Blackburn, 2012; Blackburn, Epel & Lin, 2015; Calado & Young, 2009; López-Otín et al. 2013).

L’obiettivo che possiamo avere anche a livello clinico è dunque quello di possedere telomeri che compiono il loro fisiologico accorciamento in maniera più lenta possibile, rafforzando la capacità di queste preziose strutture di rimanere stabili e strutturalmente efficaci in modo da prolungare il più possibile la nostra longevità residua, oltre che la qualità di vita che conduciamo (in termini anche di probabilità di sviluppare problematiche cardiocircolatorie, immunitarie, etc.) (Agnoletti, 2018a; Agnoletti, 2018b; Agnoletti, 2018c).

La lunghezza massima iniziale dei telomeri è un parametro immodificabile, ma esistono molti fattori quali lo stile di vita, le caratteristiche psicologiche, la nutrizione, la qualità della rete sociale che abbiamo e altri aspetti che influenzano la velocità di invecchiamento dell’organismo ed in ultima analisi la nostra longevità.

Per questo motivo attualmente i telomeri sono considerati il nostro orologio biologico più affidabile essendo così strettamente connesso con l’invecchiamento cellulare.

L’effetto imbuto dei telomeri

Nel 2019 ho coniato il termine “effetto imbuto” o “effetto collo di bottiglia” dei telomeri (Agnoletti, 2019) proprio per descrivere la natura convergente ed ubiquitaria di tutti i macro-fattori identificati dalla letteratura scientifica (attività motoria, nutrizione, benessere psicologico, qualità del sonno, etc.) almeno parzialmente indipendenti nei percorsi causali con i quali influenzano la lunghezza dei telomeri (più precisamente il funzionamento degli enzimi della telomerasi deputati a contrastare il “consumo” dei telomeri stessi).

Si pensi, ad esempio, a quanto possa essere diversa la traiettoria d’influenza epigenetica nell’organismo umano (percorso causale) del supporto sociale o del benessere psicologico rispetto quello nutrizionale o relativo l’attività motoria.

Malgrado presentino forti diversità, tutti questi macro-fattori determinano un cambiamento finale nella medesima struttura biologica rappresentata dalla telomerasi, che a sua volta determina la lunghezza dei telomeri.

Come conseguenza di questo fatto descritto dall’effetto imbuto, il fenomeno di accelerazione o rallentamento dell’invecchiamento telomerico sembra essere almeno in parte indipendente dal tipo di percorso informazionale “a monte” che ha prodotto il cambiamento epigenetico sui telomeri.

La letteratura scientifica attualmente disponibile, infatti, non evidenzia la dominanza di una macro-fattore “a monte” (benessere psicologico, qualità del sonno, nutrizionale, etc.) più importante rispetto gli altri nell’influenzare i telomeri, ma indica un effetto quantitativo dose-dipendente per ciascuno di essi.

Ad esempio, lo stress negativo cronico, l’esposizione prolungata a sostanze chimiche usate in ambito agricolo o relativa ai metalli pesanti comportano effetti dose dipendenti molto evidenti sui telomeri (maggiore risulta l’esposizione di questi fattori di rischio, minore sarà la lunghezza dei telomeri) ma non è emerso che uno di questi fattori influenzi più degli altri queste strutture cromosomiche.

La caratteristica di tutti i fattori sociologici, psicologici, fisiologici, nutrizionali e motori di “bersagliare” in maniera convergente i telomeri, attraverso l’influenza che hanno sulla telomerasi, non solo è importante perché ci fa comprendere come queste strutture molecolari siano sensibili alle varie “esperienze” epigenetiche legate ai diversi contesti di provenienza, ma ci suggerisce anche la natura almeno parzialmente indipendente di questa convergenza.

Le implicazioni cliniche della scienza dei telomeri

Importanti e profonde implicazioni derivano dall’applicare questo nuovo concetto di “effetto imbuto” o “effetto a collo di bottiglia” dei telomeri sia per promuovere più corretti stili di vita che per essere più efficaci sotto l’aspetto clinico (Agnoletti, 2019).

Una delle principali implicazioni cliniche è che qualsiasi professionista del benessere psicofisico (psicologi, medici, fisioterapisti, etc.) non dovrebbe prescindere dall’analisi iniziale di questi macro-fattori identificati dalla scienza dei telomeri.

Il motivo di questa indicazione, che dovrebbe essere considerata nei protocolli clinici dei professionisti del settore, è che, focalizzando l’intervento esclusivamente su uno o più fattori (per esempio psicologico o nutrizionale o di qualità del sonno) e trascurando quello, o quelli, che invece influenzano più negativamente i telomeri accelerandone i processi di invecchiamento, si rischia paradossalmente di peggiorare la longevità globale del paziente, oltre che la sua qualità di vita nel medio/lungo termine.

Se è vero, infatti, quanto indicato attualmente dalla letteratura molecolare dei telomeri e descritto dall’effetto imbuto, allora ha poco senso intervenire concentrandosi unicamente per esempio a livello psicologico, o esclusivamente a livello fisiologico, o nutrizionale, o motorio, dal momento che l’impatto ed il modo di influenzare i telomeri segue una natura convergente ed in parte autonoma e quindi indipendente.

La logica che deriva dall’effetto imbuto dei telomeri è che ciascun macro-fattore influenza in maniera almeno in parte indipendente la loro struttura, quindi la metafora che potremmo e dovremmo adottare è quella di una catena dove ciascun macro-fattore rappresenta un anello e il benessere e la qualità di vita sono rappresentati dall’intera catena.

Se la metafora della catena coglie la natura convergente e parzialmente indipendente dei telomeri, ne segue che per prima cosa, per valutare la “forza” globale del nostro benessere e la nostra salute, occorre identificare l’anello, o gli anelli, più deboli perché la natura di questa architettura implica che “la catena è forte quanto il più debole dei suoi anelli”.

In altri termini i professionisti del benessere e la salute umana dovrebbero implementare nei loro rispettivi protocolli l’indicazione emergente dalla scienza dei telomeri relativa la necessità iniziale di identificare quale fattore, o quali fattori, rappresentano una maggiore vulnerabilità nei confronti delle strutture telomeriche per poi definire un percorso di supporto coerente con questa analisi.

Di conseguenza a quanto descritto, anche se in genere la formazione attuale dei professionisti continua ad essere iperspecialistica e focalizzata sullo studio delle dinamiche molecolari, vi è la necessità di integrare il prima possibile all’interno dei diversi percorsi formativi queste specifiche conoscenze trasversali caratterizzate da un approccio altamente integrato ed olistico.

 

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