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Una diversa prospettiva sulla pandemia: e se avesse aiutato a far emergere la sofferenza latente?

Tendiamo a pensare che la pandemia abbia generato malessere psicologico. Ma se avesse invece accelerato il processo terapeutico?

Di Marco Schneider

Pubblicato il 07 Apr. 2022

Aggiornato il 08 Apr. 2022 11:44

Creando una situazione unica ed estrema, la pandemia può aver sottratto al sistema familiare quei fragili equilibri che consentivano alla sofferenza di sopravvivere sotterranea e ancora tollerabile. Creando l’opportunità di affrontare le nostre sofferenze, invece di fuggire da esse.

 

È innegabile che la pandemia da Covid sia stata per tutti un evento ad alto impatto. Si stima che la richiesta di aiuto psicologico sia aumentata in questo periodo di circa il 40% .

Uno studio che ha coinvolto 29 ricerche in tutto il mondo dimostra un significativo aumento di sintomi depressivi (dal 12,9% al 25,2%) e sintomi ansiosi (dal 11,6% al 27,1%) nella popolazione under 18. Fra la popolazione adulta si è osservato un sostanziale aumento di disturbi clinicamente maggiori (fonte: Consiglio Nazionale Ordine degli Psicologi CNOP).

In un rapporto pubblicato da UNICEF ad Ottobre 2021, 1 minorenne su 3 vive attualmente una condizione di disagio psicologico, 1 su 5 ha sintomi depressivi e 1 su 7 soffre di una patologia psichica strutturata.

Sembrerebbe quindi sussistere un rapporto fra pandemia e aumento generale del malessere psicologico nella popolazione. Ma come possiamo dare senso e significato a tale dato? La pandemia ha generato malessere psicologico?

E se la pandemia avesse invece accelerato il processo terapeutico?

Gli effetti della pandemia in una lettura sistemica

Nell’approccio sistemico relazionale non si parla di casualità lineare fra gli eventi ma di circolarità: le azioni all’interno di un sistema si influenzano reciprocamente; ogni azione è a sua volta causa ed effetto delle altre.

Vediamo quindi cosa può essere successo con l’arrivo della pandemia. Di fronte ad un evento di tale portata, il sistema familiare è stato costretto a riorganizzarsi. Le strategie individuali, di coppia e familiari, che sinora avevano garantito una omeostasi del sistema, non hanno più potuto funzionare come prima ma sono andate incontro a un diverso assetto.

Gli effetti immediati sul sistema familiare sono stati:

  • la riduzione delle relazioni esterne, in particolar modo la riduzione delle interazioni face-to-face con persone extrafamiliari significative (pari, educatori, colleghi, amici)
  • la riduzione della libertà di movimento
  • l’aumento delle interazioni intrafamiliari

Ognuno di tali elementi rappresenta, soprattutto in contesti di pregressa fragilità, un fattore di protezione dal malessere psicologico.

Creando una situazione unica ed estrema, la pandemia può aver quindi sottratto al sistema familiare quei fragili equilibri che consentivano alla sofferenza di sopravvivere sotterranea e ancora tollerabile.

Non solo. Rappresentando un “un nemico comune esterno”, la pandemia può aver agevolato la richiesta di aiuto, di fatto deresponsabilizzando l’individuo e rendendo il rivolgersi al terapeuta socialmente più accettabile.

Il caso di Diego: quando la pandemia “rompe il vetro” e agevola il cambiamento

Diego ha 16 anni; arriva nello studio a Gennaio 2020, inviato per una fatica scolare. Frequenta il III anno di un istituto tecnico e dall’inizio delle superiori, dopo un inizio brillante, mostra una battuta di arresto con il secondo quadrimestre con un crollo significativo del rendimento, difficoltà nelle interrogazioni, perdita di concentrazione e manifestazioni di ansia. L’inizio della III ha rappresentato un ulteriore aggravarsi delle sue difficoltà: il rendimento è stato da subito fluttuante; Diego, da sempre selettivo nelle amicizie, si è chiuso in casa e ha interrotto le poche frequentazioni precedenti; ha lasciato l’attività fisica. I genitori sono preoccupati si stia strutturando un disturbo ansioso.

La consultazione

Diego fatica a parlare di sé, si mostra sempre sorridente in modo marcato, dissimula le sue emozioni, si mostra reticente. Ha scarse frequentazioni. Ha una sorella minore, immunosoppressa per trapianto, con cui parla poco. I genitori descrivono un ragazzo a cui, da bambino, è stato chiesto di essere bravo e paziente mentre loro erano impegnati con la sorella, il cui stato di salute ha destato preoccupazioni.

La coppia genitoriale è formata da un padre sfuggente, spesso assente per lunghi periodi per lavoro, che dietro ad una parvenza di benessere si descrive come persona tesa e sotto stress. La madre, casalinga da quando è stata diagnosticata la malattia della figlia, si descrive anch’essa come una persona nervosa, impegnata in modo quasi ossessivo in palestra, sua “valvola di sfogo”.

La coppia mostra una parvenza di tranquillità ma emerge una immagine di reciproche solitudini e di forti tensioni: Diego riferisce di frequenti litigi quando i genitori pensano di non essere ascoltati; gli scambi verbali in seduta sono carichi di tensione ma non c’è esplicitazione di un conflitto. Emerge chiara la rappresentazione di una famiglia in cui tutto debba andar bene, in cui non vi sia spazio per esprimere e accogliere malessere, dove la richiesta esplicita è di far segreto delle sofferenze e aderire ad una aspettativa di buon funzionamento. La richiesta esplicita rivolta al terapeuta è che si aiuti Diego a tornare ad essere il “bravo bambino” che è sempre stato.

Diego sente il peso delle menzogne e al tempo stesso teme che il suo malessere possa infrangere il vetro di finto benessere dietro cui la sua famiglia nasconde le proprie difficoltà.

Arriva la pandemia

La famiglia si chiude in casa e taglia ogni rapporto con l’esterno. Lo stato di immunosoppressione della figlia impone restrizioni rigide e riattiva vissuti di preoccupazione elevata.

Diego mostra uno stato depressivo accentuato: dorme poco, ha un’importante riduzione dell’appetito, fatica a concentrarsi, si chiude nella sua camera e interrompe i pochi contatti ancor presenti con l’esterno.

Durante i colloqui Diego si mostra arrabbiato e deciso a smettere di fingere “che vada tutto bene”: i genitori litigano quotidianamente e ora in modo più acceso, data la convivenza forzata; prima della pandemia le liti si concludevano con l’allontanarsi del padre per più giorni e il ragazzo ha l’idea che il padre abbia una relazione extraconiugale. Le discussioni sono continue anche quando le sue idee sono divergenti da quelle dei genitori: aveva velleità umanistiche ma non è stato possibile far altro che seguire la carriera scolastica imposta dal padre; per ogni sua idea o bisogno chiede alla madre, la quale o media la richiesta con il padre, incassando un parere negativo, oppure convince Diego a non chiedere “per non far arrabbiare papà”. Il padre si arrabbia in modo acceso, non è violento, ma non è possibile parlare liberamente. La madre sembra far finta di nulla, si chiude in palestra e non condivide alcuna difficoltà. I figli stanno ognuno per conto proprio, in silenzio.

Il ruolo “terapeutico” della pandemia

La chiusura in casa rompe i fragili equilibri che consentivano alla famiglia di fingere benessere. I genitori interrompono le triangolazioni con l’esterno (la palestra, il lavoro, l’eventuale relazione extraconiugale). Lo stato di malessere del ragazzo diventa visibile e non eludibile, né circoscrivibile al solo ambito tollerabile della scuola. Appare evidente a tutti che il malessere è generalizzato e ha a che fare con le relazioni. E che non sia possibile “occuparsi solo di Diego” e “aggiustarlo”.

La famiglia sperimenta forse per la prima volta la possibilità di rivolgersi all’interno e di affrontare le proprie fragilità. L’obbligo di stare in casa è l’occasione per guardarsi e dirsi. Il sintomo così chiaro e urgente rende impossibile far finta.

L’opportunità offerta dal contesto terapeutico familiare agevola tale processo. Diego può finalmente dire le cose come stanno e fare una prima esperienza di sentirsi ascoltato. Sollevato dall’obbligo di aderire alla “facciata perfetta” proposto dalla famiglia, può dedicarsi alle relazioni e alla costruzione di una idea universitaria divergente dai piani paterni.

I genitori possono esplicitare apertamente il conflitto di coppia ai figli, riconoscendo come sia questo segreto di Pulcinella a generare sofferenza, più che la notizia in sé. Riescono a comprendere la loro esigenza di tenere in piedi una facciata perfetta come strumento per evitare il dolore. Possono fare individualmente ipotesi diverse per il futuro.

Conclusioni

Il caso proposto mette in evidenza il ruolo della pandemia come “acceleratore del processo terapeutico”. L’evoluzione del caso sarebbe stata la stessa senza la chiusura in casa imposta da ragioni di ordine sanitario? Probabilmente no. La prescrizione a tenere segrete le sofferenze familiari e aderire alla costruzione di una immagine esterna di famiglia perfetta avrebbe probabilmente prevalso, portando ad una interruzione del percorso terapeutico.

La pandemia ha allora assunto un ruolo positivo. Ha interrotto i fragili equilibri che continuavano a tenere insieme la coppia e a sorreggere l’immagine illusoria di perfezione. Ha reso evidente a tutti la sofferenza enorme e latente. Ha obbligato tutti a prendersene cura, ricostruendo una possibilità di dialogo e connessione nella famiglia. Ha imposto la necessità di posizioni autentiche e di esplicitazione dei bisogni.

È andata per tutti così? È probabile che ci siano state situazioni in cui le restrizioni abbiano costituito l’unico fattore di rischio esistente. Ma per mia esperienza, e in questo l’ottica sistemica mi dà ragione, la gran parte delle nuove richieste di aiuto psicologico poggiano su situazioni di sofferenza preesistente, che la pandemia ha reso visibili e ineludibili. Rompendo i fragili equilibri che ognuno di noi quotidianamente costruisce per consentirsi di andare avanti, la pandemia ha forse offerto l’opportunità di affrontare le proprie difficoltà invece che di fuggire da esse.

 

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