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EMDR e dolore cronico. Quando a parlare è il corpo (2022) – Recensione

I cambiamenti affettivi legati all’EMDR hanno permesso di estenderne l’uso al trattamento del dolore cronico, come spiegato nel libro EMDR e dolore cronico

Di Debora Pannozzo

Pubblicato il 28 Apr. 2022

Il testo EMDR e dolore cronico intende fornire delle linee guida sull’utilizzo dell’EMDR al trattamento del dolore cronico, in quanto, sebbene ne sia ormai riconosciuta la natura multifattoriale, la psicoterapia non rappresenta ancora la strada maestra per curare tale disturbo.

 

L’EMDR, acronimo di Eye Movement Desensitization and Reprocessing, è un approccio terapeutico scoperto dalla ricercatrice americana Francine Shapiro nel 1989. Basato sulla desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari, l’EMDR viene impiegato per il trattamento di traumi e stress psicologici di entità severa.

A livello procedurale, al paziente viene chiesto di fornire un quadro descrittivo e quantificativo dei propri disturbi, rievocando il ricordo da cui desiderano ottenere un sollievo, rappresentato dall’immagine peggiore associata all’evento o dalla prima traccia mnestica dello stesso.

Dopo aver identificato l’unità soggettiva di disagio (SUD), lungo una scala da 0 a 10, dove 0 equivale a nessun disturbo e 10 al peggior livello di disturbo esperito, si procede alla fase di desensibilizzazione, richiamando la cognizione negativa e prestando attenzione alla stimolazione bilaterale (movimenti delle dita, tapping o stimolazione uditiva), procedura nota come Dual Attention Stimulus.

Shapiro ha diviso le cognizioni negative in 3 temi: mancanza di sicurezza/vulnerabilità, mancanza di controllo/potere e responsabilità/difettosità. Se il dolore è di origine traumatica, la cognizione negativa è più probabile sia basata su un tema di sicurezza/vulnerabilità, mentre se il dolore è correlato a cause mediche, la cognizione negativa è più probabile che rifletta mancanza di controllo/potere e/o sentimenti di difettosità.

La richiesta fatta al paziente è semplicemente di “notare” e “lasciare che succeda quello che deve succedere”. In seguito a tale processo è interessante notare le affermazioni di stupore sulla riduzione del disagio e dell’angoscia: il problema viene descritto come “più lontano”, “non più così importante”.

Nel momento in cui il disagio raggiunge un SUD di 1 o 0, si installa la cognizione positiva, che viene valutata rispetto alla percezione di veridicità su una scala da 1 a 7.

I cambiamenti affettivi associati all’EMDR hanno permesso di estenderne l’utilizzo al trattamento del dolore cronico, un contesto prioritariamente somatico.

Sono emersi importanti punti di affinità tra dolore cronico e Disturbo da Stress Post Traumatico (PTDS): all’origine di entrambi vi sarebbe un evento causale di natura traumatica, a cui farebbe seguito una risposta fisiologica che, sebbene di natura differente, svolge la medesima funzione, ovvero indurre il soggetto ad evitare situazioni che rievocano l’evento traumatico.

Il testo intende fornire delle linee guida sull’utilizzo dell’EMDR al trattamento del dolore cronico, in quanto, sebbene ne sia ormai riconosciuta la natura multifattoriale, la psicoterapia non rappresenta ancora la strada maestra per curare tale disturbo.

Tradizionalmente il dolore è stato considerato come conseguente ad una lesione fisica e le percezioni dolorose persistenti, in assenza di lacerazioni cutanee o, comunque, continuative oltre il tempo di guarigione, sembravano inspiegabili.

Il dolore si distingue in acuto e cronico: nel primo caso esso consegue ad una lesione quale una frattura o una lacerazione muscolare, da cui originano segnali nervosi, volti a proteggere l’area danneggiata; col tempo la lesione guarisce e il dolore scompare. Il dolore acuto è limitato nel tempo e generalmente gestibile. Al contrario, il dolore cronico, che si sviluppa in seguito ad una malattia o ad una lesione, si rivela prolungato nel tempo e non rispondente ai trattamenti.

Il dolore cronico può presentarsi sotto diverse forme, quali mal di schiena, fibromialgia, sciatalgia, emicrania, disturbo da somatizzazione e chiama maggiormente in causa le aree coinvolte nella memoria e nelle emozioni.

Il moderno approccio al trattamento del dolore cronico vede il suo precursore in Pierre Janet che, alla fine del XIX secolo, ha sottolineato come i sintomi fisici inspiegabili fossero frutto della dissociazione, un modo per riprodurre il trauma o lo stress, quando il sistema nervoso centrale viene sopraffatto, conducendo ad una separazione tra conscio e inconscio:

Le tracce di memoria del trauma permangono come idee fisse inconsce che non possono essere “liquidate” fintanto che non siano state tradotte in una narrazione personale e che invece continuano a intrudere nella forma di percezioni terrificanti, preoccupazioni ossessive ed esperienze somatiche. La capacità di adattamento collassa e il paziente finisce in uno stato di impotenza cronica che si esprime attraverso sintomi sia psicologici sia somatici.

L’approccio Cognitivo Comportamentale (CBT) rappresenta l’orientamento elettivo nel trattare il dolore cronico, riconducendo a pensieri, emozioni e comportamenti negativi il persistere della sintomatologia dolorosa. Il target del trattamento divengono allora le convinzioni del paziente sul proprio dolore, considerati il vero fattore di mantenimento: attraverso il rinforzo positivo il soggetto convalida le proprie teorie ingenue e per mezzo del rinforzo negativo evita le situazioni e circostanze che innescano o esacerbano il dolore stesso.

Ciononostante la CBT riesce ad ottenere un effetto debole, non sollevando dal dolore persistente.

Il trattamento tramite EMDR è in grado di modificare le dimensioni sensoriali ed emotive del PTDS e del dolore, favorendo la diminuzione dell’arousal fisiologico e del disagio emotivo, incrementando il rilassamento e conducendo ad un distanziamento dal problema. Sfruttando la neuroplasticità l’EMDR sembra determinare effetti che si mantengono nel tempo.

Gli esatti meccanismi attraverso cui l’EMDR agisce sul cervello non sono ancora chiari; Bergmann suggerisce che il trattamento del PTDS alteri la forza delle memorie episodiche mediate dall’ippocampo e l’emotività mediata dall’amigdala per mezzo di un circuito di attivazione e disattivazione della risposta di orientamento.

Le testimonianze di coloro che hanno beneficiato dell’EMDR sottolineano la maggiore lucidità mentale, la percezione di maggiore sintonia con sé stessi, nonché la capacità di creare nuove risposte e collegamenti.

Il protocollo EMDR per il trattamento del dolore, così come originariamente sviluppato per il PTDS, è un processo in 8 fasi: Raccolta della storia, Preparazione, Assessment, Desensibilizzazione, Installazione, Scansione Corporea, Chiusura e Rivalutazione. Queste 8 fasi sono progettate per essere di supporto alla procedura di “desensibilizzazione” che è il cuore dell’EMDR.

Considerando l’impatto che il trauma pregresso e gli effetti del dolore hanno sull’identità e sul funzionamento nella vita quotidiana del soggetto, occorre confrontarsi con 7 compiti chiave:

  • domare il dolore;
  • rielaborare i traumi;
  • regolare le emozioni;
  • scoprire il significato del proprio dolore;
  • far fronte agli altri fattori di stress;
  • promuovere la cura di sé;
  • favorire la reintegrazione.

Il testo comprende nella parte finale diverse risorse per il terapeuta e per il paziente da utilizzare durante il trattamento.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Grant, M. (2021). EMDR e dolore cronico. Quando a parlare è il corpo. ApertaMenteWeb.
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