Scopo dello studio è quello di consentire la validazione e l’adattamento in italiano dell’Internet Sex Screening Test indicato per lo screening delle attività sessuali online e quindi del cybersex.
Il fenomeno del cybersex viene attualmente considerato come un uso eccessivo ed incontrollato di internet allo scopo di ottenere una gratificazione sessuale, attraverso diverse attività come la visione di materiale pornografico, la partecipazione a chat a carattere erotico, l’utilizzo di webcam o attraverso simulatori di attività sessuali in 3D (Cooper et al. 2004; Doring, 2009; Wéry et al, 2014).
Attualmente non esiste alcuna concettualizzazione del disturbo da cybersex addiction che permetta di effettuare una diagnosi clinicamente valida nonostante diversi studi rivelino che tra il 33% e il 75% della popolazione abbia utilizzato internet per scopi sessuali (Shaughnessy et al, 2011; Albright, 2008), che ci sia un aumento del 13% delle ricerche online legate al sesso (Ogas and Gaddam, 2011) e che, solo in In Italia, nel 2018, le parole chiave Xxx sono state le più ricercate (15.100.000), seconde solo ad Amazon (24.000.000) e Libero mail (20.400.000), mentre Pornhub, uno dei maggiori portali a luci rosse mondiali, ha analizzato il traffico generato dai propri server nel 2016 evidenziando che il numero dei video visti è 91.980.225.000 che, diviso gli abitanti attuali del pianeta terra, fanno appunto 12,5 video a persona (Dettore, 2018).
Lo stesso DSM-5 non riconosce la diagnosi di disturbo da dipendenza sessuale, né di dipendenza da sesso online, sebbene la masturbazione compulsiva con videopornografia online e il coinvolgimento in giochi erotici sulla rete siano spesso associati a depressione, ansia e a difficoltà relazionali e nell’intimità (Corley, 2012; Voon et al, 2014), problemi finanziari e discontinuità lavorativa, isolamento sociale (Levin et al, 2012), sentimenti di colpa e vergogna e a comorbilità psichiatriche.
Tuttavia, questa problematica presenta le stesse caratteristiche delle addiction senza sostanza già inserite all’interno del DSM-5, come il disturbo da gioco d’azzardo o disturbo da uso di internet, inseriti nelle condizioni che necessitano di maggiori ricerche, come ad esempio perdita di controllo, che si può manifestare come un desiderio persistente di ripetere il comportamento cybersessuale, oppure come un’incapacità di controllarlo o interromperlo; pensieri intrusivi correlati alle attività online e ossessione o preoccupazione costante ed eccessiva riguardo il perpetuare o l’interrompere il comportamento; eccessivo tempo quotidiano dedicato alla masturbazione o visione di contenuti sessuali online; utilizzo del cybersesso per la regolazione dei propri stati emotivi; astinenza, manifestata attraverso stati negativi quando non vi è disponibilità di mettere in atto i comportamenti; tolleranza, manifestata attraverso la necessità di maggiore tempo prima di raggiungere una gratificazione sessuale con un nuovo contenuto erotico online (Carnes, 2000; Goodman, 2008; Kafka, 2013).
Per quanto riguarda l’Italia, il dato più recente è quello fornito dall’endocrinologo Carlo Foresta (2021); si tratta di un’indagine svolta su 5000 studenti dell’età compresa tra 18 e 21 anni che frequentano l’ultimo anno degli istituti superiori del Veneto e di altre Regioni nell’ambito del progetto DiGitPro. Le nuove abitudini di vita durante il lockdown causato dall’emergenza epidemiologica COVID-19, hanno indotto una nuova abitudine nelle ragazze: più del 30% ha dichiarato di collegarsi abitualmente a siti pornografici, rispetto a solo il 15% del 2018-2019 e un aumento parallelo dell’autoerotismo. Nei ragazzi invece la frequenza di collegamento a siti pornografici era già molto evidente negli anni passati (89%). Indagini precedenti condotte dalla stessa Fondazione Foresta rivelano che su 1914 studenti, i più (il 63%) visitano i siti hot più volte a settimana, mentre l’8% afferma di frequentare siti porno almeno una volta al giorno, restandovi in media tra i 20 e i 30 minuti.
Quando la necessità di visionare materiale porno raggiunge certi livelli, a partire da quelli di chi lo fa più volte a settimana, ci sono ricadute sensibili nella vita reale: il 25,1% dei casi mostra comportamenti sessuali ‘compromessi’ e che si possono considerare vere e proprie disfunzioni (contro il 19% di quelli che ne fanno un consumo più moderato).
Data quindi la rilevanza clinica della problematica descritta, si rende necessaria la validazione di uno strumento che sia in grado di rilevare quando i comportamenti sessuali legati all’uso di internet diventano clinicamente problematici.
L’ISST (Internet Sex Screening Test) è uno dei questionari maggiormente utilizzati nello screening delle attività sessuali online. L’obiettivo del lavoro è fornire un primo contributo per l’adattamento e la validazione di questo strumento in una popolazione italiana adulta per fornire non solo un modello di valutazione, ma permettere anche un’adeguata cornice di cura.
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