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L’ipotesi del cervello matematico. Non soltanto lettori, ma anche matematici per natura

Le strategie di calcolo possono costituire una competenza non appresa con zone cerebrali destinate: si ipotizza la presenza di un cervello matematico innato

Di Marta Rebecca Farsi

Pubblicato il 23 Mar. 2022

Aggiornato il 25 Mar. 2022 12:46

Esiste davvero una zona del cervello deputata, in maniera specifica, al riconoscimento delle quantità analogiche? Esiste davvero una capacità semantica innata, atta a distinguere quantità numeriche differenti, pur non avendo alcuna familiarità con la conoscenza numerica? Esiste davvero un “cervello matematico”?

 

In ambito neuropsicologico si è di spesso fatto riferimento alla capacità innata – tipica del genere umano- di apprendere la lingua parlata, intesa come la capacità di interpretare elementi di un codice linguistico da utilizzare nel contesto sociale. La teoria innatista del linguaggio (Chomsky, 1969) costituisce la testimonianza più consolidata di questa ipotesi. Al contempo si è costruita l’ipotesi circa l’esistenza di un instinct reading, una capacità non appresa grazie alla quale i soggetti sarebbero in grado di decodificare un contenuto linguistico in maniera quasi istintiva, senza necessità di apprendimento approfondito. Tutto ciò ha lasciato ipotizzare che esistano delle zone cerebrali direttamente coinvolte nell’espressione linguistica innata e nella sua trasmissione genetica. Recenti studi neuropsicologici hanno cercato di estendere questa capacità anche in ambito matematico, sostenendo come, analogamente a quanto avviene per la lettura e la lingua parlata, anche le strategie di calcolo possano costituire una competenza non appresa, ed occupare zone cerebrali funzionalmente destinate al loro utilizzo e al loro sviluppo. In poche parole si è ipotizzata la presenza di un “cervello matematico” innato.

La teoria piagetiana e i nuovi studi sulla competenza matematica dei bambini

Piaget (1964) afferma che la conoscenza dei numeri viene acquisita intorno ai 6/7 anni, nel periodo c.d. preoperatorio, e che in precedenza non sia possibile riscontrare alcuna competenza di memorizzazione, comprensione e riproduzione numerica.

Studi più recenti hanno ravvisato la possibile erroneità di tale assunto, rilevando che la presenza della consapevolezza numerica, e dunque dell’intelligenza matematica, sia in realtà molto antecedente alla soglia evolutiva sostenuta da Piaget.

Wynn (1992) ha dimostrato come già nei bambini di pochi mesi sia presente una sorta di istinto matematico che si esplicita con attenzione selettiva e sostenuta verso insiemi numerici più o meno numerosi. Un istinto innato, e dunque non appreso, che testimonia come la presenza di un cervello matematico in grado di far percepire le differenze quantitative potrebbe addirittura precedere l’acquisizione formale di competenze numeriche.

Gli esperimenti svolti con il metodo dell’abituazione e della preferenza sono fondati sul presupposto che i bambini osservino più a lungo stimoli nuovi, e che questo tempo di fissazione sia destinato a comprimersi man mano che lo stimolo perde il proprio connotato di novità, divenendo familiare.

Per consolidare l’ipotesi dell’esistenza di una conoscenza matematica non appresa, e quindi di una sorta di istinto numerico innato, si è ricorsi all’utilizzo dei due metodi indicati, applicandoli in esperimenti di osservazione strutturata.

In particolare alcuni bambini di 6 mesi sono stati posti di fronte ad un cartoncino- che vedevano per la prima volta- sul quale apparivano disegnati due pallini, l’uno accanto all’altro. I piccoli hanno osservato il cartoncino per un certo lasso di tempo, distogliendo lo sguardo solo quando è stato loro presentato un ulteriore cartoncino sul quale erano stati raffigurati tre pallini. Dunque un numero superiore rispetto al precedente.

Il tempo di fissazione maggiore che i bambini hanno dedicato al cartoncino contenente tre pallini dimostra un’avvenuta differenziazione tra grandezze, per quanto rudimentale e limitata ad un livello meramente percettivo, non cognitivo né semantico.

Tale competenza istintiva del riconoscimento numerico, con ulteriori esperimenti, è stata confermata in neonati da 1 a 12 giorni di vita (Antell e Keating, 1983).

Gli esperimenti sulla percezione della numerosità

Sembra di poter connotare di una matrice innata anche il concetto di percezione della numerosità.

Nel 1992 Wynn ha sottoposto un gruppo di bambini di 5 mesi ad un esperimento condotto col metodo di violazione dell’aspettativa, che presuppone un maggior tempo di osservazione dello stimolo presentato nel caso in cui quest’ultimo assuma una conformazione diversa rispetto a quella normalmente attesa.

Nello specifico, per la durata di alcuni minuti, ai bambini è stato mostrato un pupazzo che è poi stato collocato al di là di un pannello, in modo da non essere più visibile. Subito dopo ai bambini è stato mostrato un nuovo pupazzo, per lo stesso lasso di tempo, al termine del quale anch’esso è stato nascosto al di là del pannello. A questo punto gli sperimentatori hanno cominciato ad estrarre i pupazzi dal pannello, presentandone alternativamente due o uno soltanto. Nei casi di aspettativa numerica non violata i pupazzi presentati erano due, mentre nel caso di violazione dell’aspettativa veniva presentato un pupazzo soltanto. Sorprendentemente è risultata quest’ultima la condizione in cui i bambini hanno mostrato un tempo di fissazione maggiore. Evidentemente essi si aspettavano di veder uscire dal pannello tutti e due pupazzi che vi erano stati nascosti, e quando ciò non avveniva il loro livello attentivo risultava maggiore, così come i tempo di fissazione dello stimolo.

È dunque fondato ritenere che i bambini avessero maturato un’aspettativa numerica additiva o sottrattiva, mantenendo al contempo una rappresentazione dettagliata degli oggetti dietro il pannello anche quando questi scomparivano. Ma si tratta di bambini di 5 mesi, e questo contraddice clamorosamente quanto ipotizzato da Piaget.

L’ipotesi del cervello matematico

Dunque esiste davvero una zona del cervello deputata, in maniera specifica, al riconoscimento delle quantità analogiche? Esiste davvero una capacità semantica innata, atta a distinguere quantità numeriche differenti, pur non avendo alcuna familiarità con la conoscenza numerica? Sembra di poter rispondere affermativamente: studi di neuorimaging l’hanno identificata con il solco intraparietale, mentre il giro angolare sinistro è deputato alle competenze lessicali, di transcodifica verbale e di denominazione dei numeri, la parte posteriore del lobulo parietale superiore si occupa della matematica interna ai numeri, ovvero degli aspetti sintattici, di scrittura e di incolonnamento degli stessi, mentre la corteccia frontale consente le operazioni di conteggio mentale e scritto (Amalric, Denghien, Dehaene, 2018). Ogni dominio, ben distinto e strutturato, ha una competenze specifica che, integrandosi funzionalmente con quelle degli altri, favorisce il completarsi del processo di apprendimento aritmetico.

Non è tutto. Sembra che si possa assumere l’esistenza di una linea immaginaria dei numeri, una sorta di immagine visuospaziale che consente la rappresentazione di una disposizione numerica lineare, in senso crescente, orientata da sinistra a destra (Dehane, 1993).

Si può dunque ipotizzare l’esistenza di un cervello matematico innato, dato anche come gli studi scientifici depongono per l’esistenza di aree cerebrali deputate alla competenza del numero diverse da quelle interessate all’area lessicale. Questo significa che, esattamente come esiste un instinct reading, identificato nella capacità innata di utilizzare visivamente e fonologicamente i dati utili al processo di lettura, esiste anche una competenza matematica innata, grazie alla quale siamo naturalmente predisposti all’utilizzo e all’apprendimento dell’aritmetica.

D’altro canto non risulta così difficile credere che un istinto di riconoscimento per i numeri e le quantità semantiche  – il c.d. “subitizing”- (Kaufman, 1949) abbia potuto rivestire, nel corso della storia evolutiva della specie, una fattore protettivo indispensabile per la sopravvivenza, in quanto permetteva di discriminare la quantità di cibi da accaparrarsi, dei predatori da cui difendersi e simili.

Tali competenze numeriche innate, definite come fattori di selezione della specie, si ritroverebbero anche in alcune specie animali, a testimonianza di come una elementare e rudimentale competenza numerica sia frutto di una dote istintuale non suscettibile di apprendimento, ma naturalmente inserita nel patrimonio filogenetico dell’essere vivente.

La teoria piagetiana potrebbe dunque dover cedere terreno all’ipotesi del mathematical brain (Butterworth, 1999), che attribuisce all’essere umano doti matematiche innate, perché collegate a zone cerebrali specificamente deputate alla funzionalità aritmetica.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Amalric, M., Denghien, I., & Dehaene, S. (2018). On the role of visual experience in mathematical development: Evidence from blind mathematicians. Developmental Cognitive Neuroscience, 30, 314–323.
  • Antell, S.E., Keating D.P., (1983) Perception of Numerical Invariance in Neonates , In Child Development , Vol. 54, N. 3,  pp. 695-701;
  • Butterworth, B. (1999), The mathematical brain, London, Macmillan;
  • Chomsky, N. (1969) L'analisi formale del linguaggio, Torino, Boringhieri, 1969;
  • Dehaene, S., Bossini, S., & Giraux, P. (1993). The mental representation of parity and numerical magnitude. Journal of Experimental Psychology: General, 122: 371-396;
  • Dehaene, S., Dehaene-Lambertz, G., & Cohen, L. (1998). Abstract representations of numbers in the animal and human brain. Trends in Neuroscience, 21: 355-361;
  • Kaufman, E.L. (1949) The discrimination of visual number, in American Journal of Psychology, vol. 62, n. 4, The American Journal of Psychology, 1949, pp. 498–525;
  • Piaget J. (1964), Lo sviluppo mentale del bambino e altri studi di psicologia. Einaudi, Torino 1967;
  • Starkey, P. Cooper, R.G. (1980), Perception of numbers by human infants, in Science, 210, pp. 1033-1035;
  • Wynn, K. (1992). Addition and subtraction by human infants. Nature, 358, 749-750.
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