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Schizofrenia: basi biologiche e alterazioni

La schizofrenia deriva soprattutto da cause genetiche e biologiche; fattori ambientali costituiscono elementi coadiuvanti piuttosto che scatenanti

Di Manuel Trasatti

Pubblicato il 05 Gen. 2022

La schizofrenia si configura come una patologia mentale ereditaria, con loci cromosomici continuativamente associati al disturbo.

 

La schizofrenia è un grave disturbo mentale a carattere evolutivo che comporta disfunzioni cognitive, comportamentali, emotive e perdita del rapporto con la realtà, pregiudica tutti gli aspetti che qualificano la salute mentale dell’individuo, solitamente inizia in tarda adolescenza e colpisce circa l’1% della popolazione mondiale e, in pari numero, uomini e donne. Diversi studi psicometrici indicano che la schizofrenia presenta sintomi universali, descritti nel DSM-5, che si sviluppano in modo graduale e insidioso in un periodo di 3-5 anni e che possono essere raggruppati in cinque cluster:

  • Sintomi positivi, cioè quelli visibili (disturbo del pensiero, allucinazioni, deliri, agitazioni e catatonia)
  • Sintomi negativi, dovuti ad ipofrontalità, cioè ridotta attività dei lobi frontali (anedonia, apatia, alogia, assenza di iniziativa, appiattimento affettivo, ritiro sociale)
  • Sintomi cognitivi, dovuti ad anomalie cerebrali (bassa prontezza psicomotoria, deficit di apprendimento e memoria, scarsa capacità di problem solving, difficoltà a sostenere l’attenzione)
  • Sintomi di aggressività (autolesionismo, impulsività e ostilità verbale e fisica)
  • Sintomi ansioso-depressivi (preoccupazione, tensione, irritabilità, senso di colpa e umore depresso e ansioso)

La schizofrenia deriva soprattutto da cause genetiche e biologiche; fattori ambientali quali abuso di sostanze o un ambiente sociale problematico costituiscono, più che altro, elementi coadiuvanti piuttosto che motivazioni scatenanti. La schizofrenia si configura come una patologia mentale ereditaria, come hanno dimostrato importanti studi di natura psicobiologica quali gli studi sui gemelli e sull’adozione, che hanno identificato la presenza di loci cromosomici (geni omologhi) continuativamente associati al disturbo. Pare inoltre che i bambini con i padri più anziani siano più propensi a sviluppare il suddetto disturbo, a causa di mutazioni negli spermatozoi che possono provocare un errore di trascrizione durante la duplicazione del DNA: anche l’età del padre rientra tra le cause genetiche sottostanti la schizofrenia.

L’ipotesi dopaminergica della schizofrenia

Dal punto di vista biologico, l’ipotesi dopaminergica propone che i sintomi siano causati da una disfunzione della neurotrasmissione dopaminergica a livello cerebrale. L’ipotesi dopaminergica afferma che l’iperattività dopaminergica nei disturbi schizofrenici sia la condizione causa dei sintomi, mentre il blocco dopaminergico sui recettori D2 sia prodotto da antipsicotici tipici utilizzati nella terapia farmacologica, che elicitano importanti effetti prevalentemente sui sintomi positivi della schizofrenia, ma non su quelli negativi. Successivamente l’introduzione di antipsicotici atipici ha costituito una svolta nel trattamento farmacologico della schizofrenia: essi sono associati ad una comparsa sostanzialmente inferiore di effetti collaterali e ad un minor rischio di discinesie (alterazioni motorie) tardive rispetto agli antipsicotici tipici. La maggiore tollerabilità degli antipsicotici atipici è attribuita all’azione su vari tipi recettoriali: oltre all’azione sui recettori dopaminergici D2 viene inclusa l’azione sui recettori serotoninergici 5- HT.

Le alterazioni cerebrali nella schizofrenia

Oltre alla variazione nella neurochimica, un’altra possibile causa potrebbe essere data da un’alterazione della struttura morfologica cerebrale, dovuta ad una probabile lesione prenatale: il quadro lesionale interessa le strutture corticali del sistema limbico (il giro del cingolo, il giro ippocampale e la parte ventro mediale della corteccia temporale), un aumento del volume dei ventricoli cerebrali e atrofia corticale e sottocorticale su cervelletto e corpo calloso.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Carlson N. R., Fisiologia del Comportamento, Piccin, Padova, 2014.
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