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Nata due volte (2021) di Giorgia Bellini – Recensione del libro

'Nata due volte' condivide la storia dell'autrice ed i suoi 8 anni di convivenza con quello che definisce vento nero, ossia la Bulimia Nervosa

Di Elena Ritratti

Pubblicato il 10 Gen. 2022

Aggiornato il 08 Feb. 2024 14:52

Grazie al libro Nata due volte è possibile perlustrare “dal di dentro” il forte senso di smarrimento e di vuoto causato dalla Bulimia Nervosa.

 

Nell’ambito della salute mentale le informazioni raccolte in un linguaggio universale come nel DSM-5 o nell’ICD-10 sono essenziali per far sì che i diversi professionisti possano comunicare e collaborare tra di loro, ma questo non basta proprio per il principio di unicità che sta alla base dell’Identità. Erik Erikson utilizza il termine Ego-identity per definire il senso del proprio essere continuo come un’unità distinta e distinguibile dalle altre, stabile nel tempo, che in un soggetto sano permette di sentirsi integro nello spazio, di essere consapevole della continuità del tempo, di percepirsi autore delle proprie azioni e centro delle proprie emozioni. Lo studio della personalità ha la necessità di integrare un approccio nomotetico e uno ideografico, questa è la base essenziale per distinguere lo spiegare (Erklaeren) dal comprendere (Verstehen).

E allora chi meglio di una persona che ha sofferto può spiegare il proprio disagio riuscendo a raggiungere un pubblico più vasto, fatto non solo da esperti nel settore, ma anche di gente comune che prova un dolore similare?

Giorgia Bellini, 24 anni, ha deciso di condividere la sua storia e soprattutto di esplicare i suoi 8 anni di convivenza con quello che definisce «vento nero», ossia la Bulimia Nervosa, uno dei disturbi alimentari che colpisce soprattutto l’età adolescenziale o la prima età adulta. Si rivolge ad un pubblico ben definito di «persone ricche d’animo» in grado di comprendere senza giudicare o etichettare. L’autrice, infatti, sottolinea nella sua introduzione di essersi imbattuta in troppe persone povere di sentimenti e emozioni, capaci solo di giudicare e godere dei fallimenti altrui, oggi non considerate tra i destinatari del suo racconto.

Grazie a questo libro è possibile perlustrare “dal di dentro” il forte senso di smarrimento e di vuoto causato dal disturbo, un gesto di vero amore nei confronti di chi ha bisogno di ascoltare e di sentirsi meno solo, in quanto si abbandona qualsiasi barriera difensiva, qualsiasi scudo protettivo, porgendo in vista la propria esperienza più intima.

Il libro è diviso in XXXI parti che rappresentano dei microcosmi di esperienze vissute da Giorgia, talmente dense di significato da risultare magnetiche: è davvero difficile staccarsi dalla lettura, in quanto ogni singola parte di storia è talmente coinvolgente da essere letta tutta d’un fiato, quasi per paura di perderne dei frammenti.

È il racconto di una adolescente che ci collega indissolubilmente a quelli che vengono definiti sintomi dalle categorie diagnostiche e psichiatriche, ma che, in realtà, hanno un’importanza ed un significato più profondo, ossia tentativi disperati di riemergere da un buco nero intriso di dolore che fa tendere sempre più verso il basso e verso l’oscurità.

Con una delicatezza e una semplicità impossibili da replicare, l’autrice racconta di sé come una bimba bisognosa di affetto in una famiglia caratterizzata da innumerevoli liti genitoriali che la portano a credere di non meritare il loro amore e, dunque, la spingono alla ricerca spasmodica di colmare il vuoto e la distanza attraverso la fatica di raggiungere una perfezione che, in realtà, non esiste, una perfezione che costa sudore, controllo, punizioni e che con il tempo porta ad ammalarsi. Un grido nel tentativo di ottenere un briciolo di attenzione nella velocità e nello stress della quotidianità, un grido che però ai famigliari non arriva, quasi fosse senza voce o in una lingua incomprensibile. E allora ciò che rimane come unico baluardo di salvezza, perché ha una forma a cui aggrapparsi, è il proprio corpo, colmato fino all’orlo e poi svuotato fino alle viscere, colmato e poi di nuovo svuotato, in un meccanismo che si ripete senza mai fine, accompagnato da un senso di impotenza nel controllo di tali impulsi.

Tutto parte dalla percezione alterata di avere delle gambe grosse e di voler a tutti costi renderle sottili come quelle di una sua compagna di classe: ecco allora diete rigide, accompagnate da attività fisica sfrenata, alternate a momenti di abbuffate, in cui la disperazione e la sofferenza è tale da non riuscire più a smettere di mangiare e poi quei maledetti sensi di colpa che riportano al conteggio delle calorie e alle punizioni inferte con diete prive di carboidrati. Giorgia trova uno spiraglio di luce solo nel rapporto con i nonni a cui tra l’altro dedica il suo libro, in particolare con nonna Anna che si accorge della richiesta silente di aiuto della nipote e la convince a parlarne con i genitori. Ma i genitori vedono la figlia così bella, brava e perfetta che non danno il giusto peso al disagio e Giorgia, nonostante la confessione coraggiosa, si ritrova nuovamente in un turbine maledetto dove la disperazione prende il sopravvento, a tal punto da spingere la ragazza ad un tentativo di suicidio. In un articolo di analisi sul tema della suicidalità in pazienti anoressiche e bulimiche il Prof. Maurizio Pompili et al. mettono in evidenza come il suicidio sia tra le principali cause di morte nella Anoressia Nervosa, molto più dell’inedia o delle complicanze del dimagrimento: i tentativi di suicidio sono un alto e serio pericolo per la vita di queste pazienti. Purtroppo i dati, soprattutto rispetto alla Bulimia Nervosa, risultano ancora incompleti, nonostante si annoverino come numerosi i tentativi di suicidio. Tale problematica risulta ancora troppo sottostimata e a testimonianza di questo troviamo il racconto di Giorgia che lo valida.

Si rischia già di perdere la vita a causa di quei comportamenti auto mutilanti inferti al corpo con imperativi rigidi e categoriali, alla ricerca di un riconoscimento e un apprezzamento dal mondo sociale che sembra prediligere forme silenti, forme senza sostanza, una magrezza che diventa sinonimo di bellezza, a tal punto da generare una percezione deforme di sé che scatena una sofferenza ogni giorno sempre meno sopportabile. Dalla cosiddetta luna di miele, quella fase iniziale, quasi idilliaca, che scatena quel circolo tossico di comportamenti autoalimentanti che generano euforia e creano dipendenza, si passa presto ad una fase ossessiva dove conta solo il controllo del cibo e del peso. E inconsapevolmente si cerca quell’attenzione che magari non arriva e questo porta verso uno stato limite in cui sembra più facile abbandonarsi alla fine. Si oscilla tra attimi di felicità e momenti di completo sconforto, così pieni di solitudine da ritrovarsi soli con quel vento nero ormai fastidioso, ma l’unico in grado di non abbandonare. Si arriva a perdere il senso di sé, della propria identità, fino a non riuscire nemmeno a provare alcuna emozione, una sorta di apatia senza spazio, senza tempo e senza sogni, «un mondo che ti illude di proteggersi da quello che c’è al di fuori, mentre ti divora in una spirale senza fine». Non ci sono più obbiettivi, né perché, e allora l’ultimo gesto appare l’unica soluzione.

Ma Giorgia ce l’ha fatta, ha dovuto toccare il fondo per farcela, ma oggi è qui a trasmettere quanto le è successo per aiutare tutte le persone che vivono i suoi stessi drammi a comprendere, a farsi aiutare, ma non solo. Scrive anche per rendere più consapevoli le famiglie del bisogno sfrenato di amore che necessitano le persone con disturbi alimentari, dell’importanza della loro comprensione, del loro appoggio e della loro vicinanza. Giorgia parla a nome di una forza di volontà in grado di spronarti, della necessità di credere fermamente nella possibilità di riuscire a superare un disagio così soffocante e di lottare, non certo per vincere qualcosa, ma per vivere.

Giorgia decide di curarsi, entra in quella clinica di Todi il 23/10/2016 con l’intento di salvarsi. Conosce persone che parlano la sua stessa lingua, che non banalizzano la sofferenza e non giudicano. Scrive di quanto sia importante la professionalità dei medici che trova sicuramente in quella clinica per curare un disturbo come il suo, ma afferma anche che non basta. Il fulcro sta altrove, ossia sta nel cuore, e dunque la cura ha bisogno di «essere umani», di amore. Giorgia esce dalla clinica, non sarà semplice. Si ritrova allo scoperto, senza più quella campana di vetro della clinica, ma con una nuova consapevolezza acquisita nel suo percorso: non inseguire più quella vita che gli altri si aspettano che insegua, ma cercare la sua passione, il suo Ikigai, lo scopo della sua vita.

Qui sta il segreto. “Va’ dove ti porta il cuore”, questo è il punto di ripartenza.

Giorgia ce l’ha fatta, è arrivata al limite della vita, ha sfiorato la morte, ma poi è rinata, anzi è nata due volte.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Erikson, E. (1982), I cicli della vita. Trad.it. Armando Editore: Roma, 1984
  • Jaspers, K., (2009), Psicopatologia generale, Il Pensiero Scientifico Editore: Roma
  • Pompili, M., Mancinelli, I., Girardi, P., Accorrà, D., Ruberto, A., Tatarelli, R., Suicidio e tentato suicidio nell’anoressia nervosa e nella bulimia nervosa, in Ann Ist Super Sanità, 2003;39(2):275-281
  • Tamara, S. (2006). Va dove ti porta il cuore. Rizzoli: Milano.
  • Bellini, G. (2021)  Nata due volte. Independently published.
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