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Ad un metro dal futuro (2021) di Marco David Benadì – Recensione del libro

Ad un metro dal futuro non è un semplice libro, ma un vero e proprio progetto dove gli stessi giovani sono i protagonisti, narratori della propria storia

Di Elena Ritratti

Pubblicato il 27 Gen. 2022

Nel libro Ad un metro dal futuro vengono intervistati sedici ragazzi provenienti da contesti diversi, accumunati dalla giovane età, ai quali viene lasciato spazio per potersi esprimere senza essere giudicati.

 

Spesso si parla dei giovani in maniera assolutamente banale, irrispettosi di un’età evolutiva assolutamente complessa quanto complicata. Spesso si parla dei giovani solo per il gusto di ergersi dall’alto di un piedistallo dove tutto è un dovere, dover essere, dover fare, dover ascoltare, senza ricordarsi di quanto un periodo simile sia per loro pieno di punti interrogativi, di contraddizioni da risolvere, ma anche di tanta maturità sorprendente.

L’età tra la pubertà e l’adolescenza è ricca di cambiamenti da ogni punto di vista: il corpo comincia a trasformarsi, cambia il modo di pensare, si entra spesso in conflitto tra il desiderio di rimanere ancorati alla famiglia, un posto sicuro, e dall’altro lato la voglia di sperimentare nuovi orizzonti, di provare quella sensazione di libertà e di indipendenza con uno sguardo rivolto al domani. Se pensiamo poi a questo lungo periodo di pandemia, probabilmente non riusciamo nemmeno ad immaginare fino in fondo quanto questo mondo complesso possa essere ulteriormente scosso, quanto sia stato e sia difficile mantenere quell’equilibrio già di per sé dinamico a causa di un evento così tragicamente inaspettato.

Questo non è un semplice libro, ma un vero e proprio progetto che unisce il nostro Stivale da Nord a Sud, un progetto dove gli stessi giovani sono i protagonisti, narratori della propria storia, fatta di cose, ma soprattutto di persone, di emozioni, di pensieri, di desideri, di motivazioni, di bisogni, di paure, di aspettative, di volontà.

In particolare vengono intervistati sedici ragazzi provenienti da contesti diversi, pervasi da una parte dalla quiete meravigliosa di campagne sconfinate, ma dall’altra dall’ingombro di palazzoni di periferia, contesti che spaziano dal mare alla città, sedici ragazzi accumunati dalla giovane età a cui viene lasciato finalmente spazio. Uno spazio per esprimersi senza essere giudicati, uno spazio dove essi stessi divengono i protagonisti, dove finalmente nessuno impartisce lezioni di vita, uno spazio intriso di concetti e di messaggi che vanno ben oltre a quegli argomenti stereotipati assolutamente banali che la società spesso addita loro.

Un progetto supportato da un’associazione Onlus, Il Gruppo Abele, fondato nel 1965 da don Luigi Ciotti, per affrontare e cercare di superare tutte quelle situazioni che provocano emarginazione, diseguaglianza, senso di vuoto e di smarrimento con l’intento di dare supporto concretamente a tutti coloro che vivono situazioni di disagio.

Dalla lettura di questo testo è possibile immaginare uno ad uno tutti questi ragazzi che raccontano di sé, delle proprie famiglie e soprattutto di quello che per loro sembra poter essere il futuro. Parlano a nome di tutti i loro coetanei per cercare di trasmettere il loro punto di vista e nei loro racconti, se pur letti, traspare tutto il loro entusiasmo e la loro voglia di essere ed esserci.

Che cosa ci si aspetterebbe da questa gioventù sospesa?

Racconti di moda, di successo irraggiungibile, di ricerca di perfezione, di social, in una parola di futilità. E invece tutt’altro, l’aspettativa viene meno già dai primi racconti. E allora il lettore rimane con il fiato sospeso, perché si rende conto che la gioventù moderna è fatta di ben altro, è una gioventù da cui si può apprendere molto, una gioventù che chiede semplicemente aiuto, perché spesso non è davvero ascoltata e capita.

Questi giovani parlano di valori, di una famiglia spesso fatta di nonni saggi e accudenti, di madri che tornano distrutte dal lavoro, ma sempre pronte a preparare la cena e magari portare fuori il cane. La casa non è solo uno spazio, afferma Francesca, 18 anni. È fatta di piccoli gesti quotidiani per lei importanti, senza i quali non avrebbe senso vivere. Questi giovani amano leggere, conoscono Socrate, Foscolo, la dichiarazione universale dei diritti umani, ascoltano musica che li aiuta a riempire i momenti difficili. Questi giovani sono consapevoli di una società che spesso li addita come privi di sostanza, ma ecco le parole di uno di loro: Alle volte penso che noi giovani siamo etichettati come superficiali, come se non ci importasse di quello che accade tutti i giorni. Secondo me invece siamo proprio noi che stiamo lì a pensarci più di tutti, perché abbiamo davanti un futuro che ci spaventa.

Il futuro: ognuno di loro ne parla a suo modo, ma trasmette il fatto di pensarci costantemente. È un futuro ancora confuso, un futuro che è importante proteggere fin da subito per non rischiare di perderlo per sempre. Questi ragazzi pensano anche a coloro che verranno e proprio per questo credono che sia giusto fare più attenzione al pianeta, parlano di progetti per salvaguardarlo non solo dal punto di vista fisico, ma anche e soprattutto dal punto di vista valoriale ed emotivo. Aspirano ad un mondo non più intriso di odio, dove ci sia maggiore consapevolezza dell’altro, dove la parola altruismo non sia solo una voce senza senso, dove amare significa prendersi le proprie responsabilità e farlo attivamente. Riporto le parole di Salvatore, 17 anni, di Palermo che risultano toccanti nella loro semplicità: Io credo che le parole non bastino. Amore e generosità, dette così sono solamente parole. Almeno fino a quando non diventano “fatti” d’amore e “fatti” generosi.

Le parole di questi giovani lasciano davvero il segno, quando discorrono del lockdown manifestano tutto il proprio disagio incompreso. Spesso gli adulti non si accorgono di che cosa significa veramente per loro stare rinchiusi, non avere la possibilità di formarsi a scuola a stretto contatto con gli insegnanti e con la possibilità di confrontarsi con gli altri compagni, senza uno schermo davanti.

In effetti il problema esiste e ben è stato sottolineato al Convegno internazionale di Suicidologia e Salute pubblica-XIX Edizione, dove ben emerge il disagio giovanile in questo periodo di pandemia, disagio che non va affatto trascurato. Chi afferma che i ragazzi se ne stiano beatamente a casa senza problemi fa un grosso sbaglio e queste sedici interviste lanciano un segnale diretto.

Si parla anche di arte, di politica, di tecnologia, di socialità, di lotta al razzismo, si parla persino del tema della morte, vista non tanto come fine della vita, ma come paura di invecchiare senza poter essere felice.

Questo testo spazia oltre i confini delle pagine, porta il lettore adulto davvero a stretto contatto con una gioventù così fragile, ma allo stesso tempo così determinata, ma dà anche la possibilità a quello più giovane di ritrovarsi, di non sentirsi più solo o sbagliato. Un piccolo testo che si trasforma in un potente mezzo di aiuto per i giovani, ma anche uno strumento attraverso cui gli stessi giovani possono aiutare noi adulti a comprendere meglio questa età sospesa.

Quello spirto guerrier ch’entro gli rugge ad un metro dal futuro ha davvero tanto da insegnarci.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Benadì, M. D. (2021). Ad un metro dal futuro. Speranze e paure di una gioventù sospesa. Edizioni Gruppo Abele: Torino.
  • Convegno Internazionale di Suicidologia e Salute pubblica, XIX Edizione.
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