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Il delirio come risposta dinnanzi a un’impronta psicopatologica insita nell’esperienza – Il ruolo del delirio nella ridefinizione del proprio Sé

Il delirio potrebbe essere una modalità di risposta e di adattamento, ma anche uno strumento per sciogliere un nodo esperienziale celato da tempo

Di Cristi Marcì

Pubblicato il 25 Gen. 2022

Il delirio, in rapporto alle vicende traumatiche, evidenzia il delinearsi di un forte desiderio individuale di “essere parte del mondo”, con modalità differenti, nuove, accompagnate da una concezione della realtà altrettanto autentica.

 

Esso verrebbe ad assumere un valore teso a ripristinare il senso di continuità del proprio Sé, della propria realtà e soprattutto del proprio tempo interiore.

Questa forma psicopatologica circoscritta alla sfera del pensiero non la si vuole descrivere come una dimensione di cui si è prigionieri, bensì come una cornice all’interno della quale è possibile (trovandovi la spiegazione di tutto) trovare una nuova identità, all’interno della quale emerge un nuovo dipinto che non solo lascia il segno, ma che inizia ad assumere una forma, una sua cornice autentica e fortemente personale.

Come sottolineato da Tustin (1981): in soggetti che presentano croniche storie di trascuratezza, le emozioni traumatiche popolano quella parte della psiche definibile come “inconscio non rimosso”. Esse inoltre sembrano dare forma alla nascita e nondimeno alla costituzione di veri e propri “buchi corporei”, capaci peraltro di evocare un vissuto terrificante, tipico dei quadri sia psicotici che borderline.

Questi buchi e, come detto sopra, queste fessure assumono pienamente le sembianze di una voragine o meglio ancora di un vuoto. In riferimento a questa tesi il contributo di Giuseppe Craparo (2017) è volto ad evidenziare come tali emozioni impediscano notevolmente al soggetto di fare e di vivere un’esperienza consapevole dei propri stati mentali, che vengono mantenuti ad un livello pre-simbolico, sensoriale e peggio ancora primitivo.

Ciò che non è stato detto e che non si riesce ad inquadrare in una cornice simbolica, sfocia in un vissuto sensoriale, caratterizzato dall’impiego di difese dissociative, come modalità di gestione del dolore.

Tali modalità e soprattutto tali sensazioni sopra descritte sono state riprese più nello specifico dalla figura di R. Meares, (2015) che ha approfondito la dinamica del disturbo borderline.

Ciò che l’autore vuole evidenziare è una identità connotata da senso di vuoto, paura della solitudine e soprattutto instabilità nell’immagine di Sé. Inoltre Roy Grinker (2015), fondatore dell’Istituto di psicosomatica di Chicago, ha aggiunto come la condizione di tale disturbo non debba configurarsi come una regressione, bensì come una mancata maturazione del Sé.

Infatti una delle principali conseguenze può essere rintracciata in un ambiente relazionale pienamente fallimentare. Nondimeno la figura di Judith Herman consente di porre l’accento sulle varie modalità o meglio ancora sulle varie strategie di adattamento sia all’ambiente che alla sfera interna.

Se quindi l’esperienza traumatica può rappresentare il punto di partenza, ad essere molteplici sono le modalità di risposta individuali, volte a restituire un senso alla propria identità e soprattutto alla propria esperienza corporea e temporale, le quali subiscono drastiche modifiche.

Che ruolo ricopre il delirio nella propria cornice psichica?

Giunti a questo punto viene da chiedersi quale ruolo rilevante possa ricoprire il delirio e se possa rappresentare una modalità sia di risposta che di adattamento, ma anche e soprattutto uno strumento tramite il quale provare a sciogliere un nodo esperienziale celato ormai da troppo tempo.

Nella sua essenza il delirio è stato descritto come una sensazione di “scoperta”, caratterizzato dalla sensazione che la nuova idea affacciatasi alla coscienza permetta di “restaurare un ordine, di completare un quadro” (Rossi Monti, M. 2008, p. 5).

Meissner (1978) ha definito questo passaggio come “processo paranoico” funzionale ad organizzare un sistema di credenze coerente, che permette altresì al soggetto di interpretare la realtà e soprattutto di organizzarla in sintonia coi suoi bisogni di “adattamento”.

Se in una prima parte la mancata integrazione dovuta alle esperienze traumatiche non ha fornito una sequenza ed una scansione temporali, quella che viene a riscontrarsi è un’operazione finalizzata alla “integrazione stessa, al mantenimento dell’integrità e del senso di coesione del Sé”.

A voler essere raggiunti sono da una parte una gerarchia di significati e dall’altra una relazione con il mondo, il tutto al semplice scopo “chiarificatore”.

Volendo provare a rafforzare sempre più la connessione dell’aspetto delirante con la dimensione esperienziale e psicopatologica, in letteratura viene sottolineato il ruolo scatenante giocato dallo stress. Quest’ ultimo inteso a volte come l’apice di un background, la punta di un iceberg, dietro la quale si cela (come ribadito da Sanavio) una soglia oltre la quale le “capacità di fronteggiamento della persona cedono”.

Un’affermazione che deve far percepire lo stress come connesso a condizioni pienamente soggettive e di carattere relazionale. In questi casi infatti il delirio servirebbe a “tamponare una condizione altrimenti ingestibile”.

Il delirio e lo spazio tempo al confine con la psicosi

Nondimeno, come riportato da Antonio Correale (1995), il valore delirante sembra assumere dei connotati temporali. L’autore ha evidenziato per l’appunto una differenziazione tra il delirio nell’ambito della schizofrenia, che come ricorda Germani può riscontrarsi in alcuni casi di trauma estremo, e il delirio nel soggetto borderline.

Riprendendo in considerazione dunque l’importanza che il tempo e lo spazio assumono nella vita di ciascuno di noi e il rischio di essere bloccati nel passato a seguito di eventi dannosi e ripetitivi, Correale rimarca come nella prima condizione (schizofrenia) ad albergare la psiche del soggetto siano “mondi misteriosi” all’interno dei quali il tempo sembra fermo ed il passato pietrificato in alcuni scenari.

Nel secondo caso invece (borderline) il tempo è “velocissimamente fluttuante” ed il passato ridotto a pochi fantasmi ipersemplificati.

Quanto si viene a riscontrare è un ulteriore concetto ovvero quello della “momentaneizzazione”, che nel soggetto borderline è rappresentata dalla concentrazione sul presente.

Come sottolineato da Kimura Bin (1992) il rischio non solo è di perdere sé stessi, ma al contempo di sentirsi “assorbiti nell’immediatezza” in una sequenza di “ora -ora”. Con il conseguente rischio di una illusione connotata dal bisogno di colmare il vuoto, un tempo privo di fluidità e soprattutto uno spazio che risulta assente.

Come ribadito dall’autore manca la possibilità di riferirsi ad un futuro nel quale raggiungere finalmente la possibilità di “essere sé stesso”.

Se quindi nello schizofrenico la possibilità estrema di realizzazione della propria esistenza risiede nel suicidio, nel soggetto borderline non vi è una ricerca di “un futuro”, ma l’unione immediata con la “pura presenza”.

L’esperienza in cortocircuito

Pertanto in considerazione degli sviluppi traumatici è possibile notare come la loro ripetitività rischi di sbilanciare non solo il proprio rapporto con la sfera intrapsichica e con la realtà esterna, ma ancor di più come non sempre permettano la creazione di un “asse del tempo” che rappresenti da una parte la frontiera tra il passato ed il futuro e dall’altro un sano dialogo “tra entità indipendenti”.

Per avere una cornice che accolga quanto detto sin ora è opportuno un ulteriore contributo di Giaconia e Recalbuto (1997), secondo i quali “traumatiche sono tutte quelle vicende che non sono suscettibili di elaborazione psichica; accadimenti sia interni o esterni che non possono essere integrati nella realtà psichica, perché non vengono reperiti mezzi adeguati ad esprimere rappresentazioni di tali dati dell’esperienza”.

Vincenzo Bonaminio (2005), parla invece di una vera e propria “installazione residente del trauma”. Infatti con questo assunto si mette in risalto la serie di effetti indiretti del trauma stesso, connessi prevalentemente sia con il continuo lavoro di assorbimento che con la fatica di convivere con questi vuoti di pensiero in continua successione.

Due risposte che rischiano di portare ad una implosione e ad un tentativo di ripristinare, ricostruire la propria trama identitaria, che possa finalmente collocarsi nello spazio e nel tempo, ritrovando il giusto ritmo.

 

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Cristi Marcì
Cristi Marcì

Psicologo, Specializzando in Psicoterapia

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Bonaminio, V. (2005), “Il discorso dell’adolescente in analisi e le accelerazioni e la lacerazione del tessuto transizionale: nuove forme del disagio della civiltà “, in Psiche, 2, p. 139 – 146.
  • Correale, A. (1995), “Memoria e sensorialità nel disturb borderline“, in Psiche, 2-3, p. 137-148.
  • Craparo, G. (2017), “Inconsci, coscienza e desiderio“, Carocci Editore
  • Germani, M. (2017), “La memoria del trauma”, in Mente e Cervello, Febbraio, n 146
  • Giaconia, G., Racalbuto, A. (1997) “Il circolo vizioso trauma – fantasma – trauma“, in Rivista di Psicoanalisi, 4 , p. 541 – 558
  • Kimura, B. (1992), “Scritti di psicopatologia fenomenologica“, Fioriti, Roma, 2005
  • Grinker, R. (2015) “La cura del sorriso”, in Mente e Cervello, Dicembre, n 132
  • Meissner, W. W. (1978), “The paranoid process“, Aronson, New York.
  • Rossi Monti, M. (2008), “Forme del delirio e psicopatologia“, Raffaello Cortina Editore, Milano, p. 71.
  • Sanavio, E. (2017), “La memoria del trauma”, in Mente e Cervello, Febbraio, n 146
  • Tustin, F. (1981), “Stati autistici nei bambini “, Armando , Roma.
  • Sanavio, E. (2017), “La memoria del trauma”, in Mente e Cervello, Febbraio, n 146
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