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Il DOC ai giorni nostri visto dagli occhi di un ragazzo di 28 anni. Il caso di A.

A. non sopportava più le continue angosce, non considerava giusto essere tormentato dalle ossessioni: chiede aiuto e riceve finalmente la diagnosi di DOC

Di Edoardo Maria Tognoni

Pubblicato il 30 Nov. 2021

Aggiornato il 03 Dic. 2021 11:42

Nel 2017 A. approda presso lo studio di uno psichiatra per iniziare un percorso di terapia integrata e si configura la prima diagnosi di disturbo ossessivo compulsivo.

 

Corre l’anno 2021 e nella nostra società molti stereotipi fanno, ancora, fatica a scomparire.

Sicuramente uno di questi è che tutte le persone che hanno e/o avrebbero bisogno di supporto dallo psicoterapeuta e/o dallo psichiatra siano “strani” o “non normali”.

Soprattutto chi ha bisogno di aiuto psichiatrico è considerato strano, alienabile dalla quotidianità sociale anche se i manicomi sono stati chiusi secondo la L.180 del 1978 (legge Basaglia).

Sarebbe così difficile spiegare la differenza, ad esempio, tra disturbo bipolare e pericolosità sociale?

Far capire che il mondo che sto per raccontarvi è un mondo a sé, pieno di risorse e capace di raggiungere i suoi traguardi, anche se con grande fatica?

Molte persone, nel corso della loro vita, hanno sfumate e transitorie manifestazioni ossessive o sintomi subclinici.

Non è infrequente che si torni dentro casa per scacciare il dubbio di non aver spento tutte le luci o aver chiuso male la porta di casa; si potrebbe avere anche la spiacevole sensazione che le cose non siano come dovrebbero essere.

Le suddette potrebbero stimolarci anche alcuni pensieri blasfemi o moralmente disdicevoli.

Nella maggior parte dei casi si tratta di fenomeni transitori, occasionali e di breve durata.

Nonostante ciò, esistono situazioni in cui questi sintomi possono diventare invalidanti, al punto da configurare una specifica diagnosi, quella di DOC (Disturbo Ossessivo Compulsivo).

Vorrei presentare il caso di A., ragazzo di 28 anni che, nonostante i mille progetti in testa, si rimproverava di non essere riuscito a dare alla propria vita quella svolta che aveva sognato e che avrebbe dovuto ricompensarlo delle critiche e frustrazioni avvertite sin da bambino.

Spesso aveva avuto l’impressione di non essere apprezzato dai propri genitori, di sbagliare in continuazione e di suscitare critiche e accuse da parte del prossimo.

Oltre a ciò, si rimproverava di non apprezzare consapevolmente e pienamente la propria famiglia, la sicurezza economica che gli garantiva e il percorso di studi che si era scelto e che stava perseguendo.

Nel 2014 subisce un cambiamento radicale nella sua vita: in seguito ad una operazione chirurgica di routine, inizia a provare uno strano disagio che somigliava molto alla sensazione di essere contaminato e sporco nel proprio corpo.

Inizia un regime alimentare restrittivo poiché non avrebbe potuto continuare a praticare il suo amato sport per qualche tempo; in poche settimane è andato incontro ad un forte ed evidente dimagrimento, notato da tutte le persone con cui si relazionava.

In quel periodo A. frequentava l’università, aveva una fidanzata e sembrava intrattenere buone relazioni sociali con i suoi compagni di corso.

Dopo questo viraggio verso il versante restrittivo c’è stato uno shift verso il polo della iperfagia e delle abbuffate, con condotte di compenso; cerca una volta di vomitare ma senza successo.

Successivamente, terminato il periodo di convalescenza, inizia ad allenarsi, in maniera ossessiva, per contenere il forte ed eccessivo introito calorico che assumeva ogni giorno, a volte anche due volte al dì.

Inizia a sentire il peso di tutto ciò e, nonostante tutto, resiste fino al 2016.

Al termine del suo percorso di laurea magistrale, decide di cercare un aiuto specialistico.

Non sopportava più le pressanti preoccupazioni ed angosce, non considerava giusto essere tormentato da tutti questi problemi e nuove ossessioni.

Si sentiva solo stanco ed oltretutto, dal 2014, aveva vissuto solo cose brutte.

Nel 2017 approda presso lo studio di uno psichiatra per iniziare un percorso di terapia integrata e si configura la prima diagnosi di disturbo ossessivo compulsivo.

Si può facilmente immaginare come possa essere stato per un ragazzo così giovane subire questa diagnosi.

In un mondo così iperstimolante e ipercompetitivo, per un assetto di personalità di tipo ossessivo compulsivo è molto difficile stare al passo con le richieste provenienti dall’esterno.

A., di solito, si trova a combattere con compulsioni cognitive per cercare di scacciare le ossessioni che si presentano, puntualmente, nei momenti meno opportuni.

“A blurred mind” è il titolo del testo di una canzone; in questo caso diventa molto appropriato per descrivere lo stato mentale di A. dopo una giornata spesa, in buona parte, tra ossessioni, rimuginazioni e intrusioni.

Una mente nebulosa, stanca e priva di forze.

Spesso ripeteva: ho il cervello stanco!

Quello che normalmente confonde è che le compulsioni non sono comportamentali e, quindi, visibili ma rimangono nella sfera cognitiva e mentale, cioè ignota ai più.

Probabilmente una o due persone, veramente intime nella sua vita, hanno saputo di questo mondo.

Nessun altro è entrato così in profondità nella testa di A, non gli è stato permesso.

Stando alla società in cui viviamo, oggi, lui ha paura, oggettivamente, di essere giudicato.

Il timore del giudizio lo accompagna da quando era piccolo; probabilmente è scaturito dall’ambiente famigliare e dalle sue prime relazioni sociali.

Nonostante ciò, riesce a mascherare abbastanza bene queste sue peculiarità facendole passare per stranezze e, quindi, conformandosi un po’ agli standard comuni.

A fine giornata si sente davvero molto stanco e, spesso, non ce la fa ad uscire la sera; si chiude in camera senza luce accesa.

I sintomi manifestati da A. potrei paragonarli, forse in maniera un po’ azzardata, agli shutdown che si ritrovano nel Disturbo dello Spettro Autistico; è tale il sovraccarico sensoriale che, proprio come un computer sotto stress, ha bisogno di spegnersi e riavviarsi per poter funzionare al meglio nella vita di tutti i giorni.

Il Covid-19, poi, non lo ha di certo aiutato ad alleggerire il carico delle compulsioni.

Da quelle prettamente cognitive siamo passati anche a quelle comportamentali; ha iniziato ad effettuare delle procedure di disinfezione dei vestiti e delle borse, appena varcata la soglia di casa.

Tutta la procedura coinvolge i familiari cui chiedeva, continuamente, rassicurazioni sulle operazioni effettuate o sull’effettiva pericolosità di introdurre vestiti “contaminati” dentro casa.

Le ruminazioni mentali di A. erano di due tipi: ricordare costantemente le cose da fare durante la giornata con l’inconveniente di avere la sensazione della dilatazione del tempo e perdita dei confini della giornata.

Oltre a ciò, ricordava più e più volte eventi potenzialmente dannosi per la sua incolumità; ad esempio passare accanto ad una mascherina usata che si trovava per strada lo metteva in uno stato di allerta massima.

Nelle giornate di picco massimo poteva arrivare anche ad elaborare anche 80 domande da rivolgere alle persone a lui più intime.

Vertevano sulla paura di contaminazione, la sensazione di sporco e la forte ipocondria che aveva sviluppato nel corso degli anni.

Durante questa pandemia ha sviluppato una maggiore percezione ad un’eventuale responsabilità di contagio auto o etero-diretto e verso comportamenti protettivi, utili a neutralizzare un possibile rischio di contaminazione e la possibile colpa per comportamenti irresponsabili.

Ad aggravare ulteriormente la situazione ha contribuito, anche, l’aumento del washing durante la giornata, costringendo A. ad usare molte volte il bagno.

Lo psichiatra, curante dal 2017, oltre a continuare con la consueta terapia integrata modificandola al bisogno, inizia un percorso di psicoeducazione per migliorare il suo adattamento quotidiano.

La parola d’ordine diventa “esercizio” e, tramite l’esposizione e la prevenzione della risposta, nonché attraverso la dilazione della stessa, A. migliora la sua capacità di coping e resilienza.

È stato necessario intraprendere anche il parent training per aiutare i familiari ad accogliere e gestire in un modo più funzionale per tutti le peculiarità di A.

Con il passare del tempo questo ragazzo ha trovato il modo di contenere questo suo modo di essere, di rapportarsi con il mondo e di vedere le cose attraverso lenti più spesse, a volte un po’ troppo appannate per assimilare tutti gli stimoli che gli arrivano addosso come un’onda violenta in pieno inverno.

La “bestia”, come la chiama lui, a volte è più sopita del solito, altre volte cambia schema e prende alla sprovvista tutti costringendo a cambiare abitudini e routine.

La certezza assoluta, ricercata spasmodicamente in questo tipo di disturbo, non può esserci perché occorre sempre prendere in considerazione la percentuale di rischio e imprevedibilità insita in ogni azione della nostra vita.

Tutto ciò A. lo ha imparato sulla sua pelle, con fatica, sudore e respiri mancati in piena notte quando gli veniva a mancare la terra sotto i piedi.

Oggi A. è come se si trovasse nel grado 8 di difficoltà per gli alpinisti; ad ogni nuovo capitolo della sua vita ripete dentro di sé: “ottavo superiore…..ottavo superiore” per ricordarsi quanto è importante un allenamento e una pratica costante per gestire gli aspetti più particolari della sua vita.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Mancini F (2016). La mente ossessiva: curare il Disturbo Ossessivo-compulsivo. Raffaello-Cortina Editore, Milano
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