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Nutrizionista e dietista – Come e quando fare l’invio ad uno psicoterapeuta

Dietologi, dietisti e nutrizionisti devono conoscere i segnali di disturbi alimentari perché possano inviare i pazienti in psicoterapia quando necessario

Di Chiara Ramponi

Pubblicato il 11 Nov. 2021

Aggiornato il 08 Feb. 2024 14:52

Ad oggi, le cause dei disturbi alimentari non sono ancora del tutto note. Ciò che la ricerca ha finora dimostrato è che tali problematiche derivano dalla combinazione tra predisposizione genetica e fattori di rischio ambientali.

 

Tuttavia, nei disturbi alimentari, i fattori di rischio sono unicamente di tipo “potenziale” mentre non sono ancora stati ritrovati quelli “causali”. La differenza tra le due tipologie è che i primi (quelli “potenziali”) incrementano unicamente il rischio di sviluppare il disturbo. L’assenza dei secondi (“causali”) è invece un fattore protettivo in grado di diminuire il rischio di sviluppo di una determinata patologia o di un disturbo.

Tra i fattori potenziali di rischio dei disturbi alimentari ritroviamo, tra i tanti, le diete, specie negli adolescenti normopeso. Studi dimostrano infatti che le adolescenti donne di 15 anni che seguono diete corrono un rischio di 8 volte superiore rispetto ai controlli di manifestare un disturbo dell’alimentazione nell’anno seguente. Altri studi evidenziano come gli adolescenti a dieta rischiano 18 volte in più rispetto ai coetanei non a dieta, anche se si tratta di regimi dietetici solo lievemente ipocalorici.

In aggiunta, sempre secondo gli studi, le diete sono correlate all’aumento di alimentazione incontrollata. Tale relazione è ancora più valida per quei regimi dietetici basati sul digiuno intermittente. Le 6 o le 14 ore successive ad un periodo di digiuno sono infatti maggiormente a rischio di alimentazione incontrollata. Ciò deriva dal fatto che le diete (ed il digiuno) determinano una riduzione del triptofano, precursore della serotonina che altera i segnali di fame e di sazietà.

È dunque importante che i dietologi, i dietisti e i nutrizionisti conoscano i disturbi alimentari e siano sensibili e attenti a tali problematiche. È inoltre essenziale che le figure professionali che si occupano di alimentazione sappiano riconoscere gli eventuali campanelli di allarme affinché evidenzino i pazienti con difficoltà alimentari per inviarli (per i motivi discussi in precedenza) ad uno psicoterapeuta o ad una figura formata nella cura dei disturbi alimentari.

Ecco dunque di seguito alcune informazioni che ogni esperto di nutrizione dovrebbe raccogliere durante il primo incontro anamnestico per valutare un eventuale “passaggio di consegne”.

Informazioni per valutare la possibile presenza di disturbi alimentari

1. Sesso: particolare attenzione va posta alle donne. Sono infatti i soggetti di sesso femminile ad essere più frequentemente colpiti dai disturbi dell’alimentazione. La motivazione potrebbe risiedere nel fatto che le donne sono più socialmente spinte (rispetto agli uomini) alla magrezza e basano maggiormente il proprio valore sull’aspetto fisico, sono pertanto più portate ad intraprendere percorsi nutrizionali.

2. Età: studi dimostrano che il doppio picco di insorgenza dell’anoressia nervosa è di 14-15 e 18 anni; 17-18 è invece quello della bulimia nervosa. Le età più delicate sono dunque quelle dell’adolescenza e della prima età adulta. Età in cui frequentemente vengono iniziate diete (spesso “da autodidatta”) con lo scopo di perdere peso in seguito, tra le varie cause, ai cambiamenti corporei legati alla pubertà, alla tendenza a giudicarsi in base al proprio peso e alla volontà di avere controllo in almeno un ambito della propria vita.

3. Precedenti percorsi nutrizionali o diete “fai da te”: per tutti i motivi discussi in precedenza è bene indagare la presenza di precedenti percorsi (anche “autosomministrati”) volti a modificare il proprio peso corporeo. Inoltre, dati da non trascurare sono il peso ed il BMI “pre-dieta”. Così facendo si valuta se dietro alla necessità di perdita di peso risiedessero anche motivazioni legate ad esigenze mediche (es. BMI elevato) oppure vi fosse unicamente una spinta verso l’ideale di magrezza.

4. Recenti cambiamenti di peso: tra i vari aspetti è utile indagare la storia poderale e, in caso di soggetti di sesso femminile, il peso al menarca. Particolare attenzione va posta ai cambiamenti recenti di peso. È bene dunque chiedere se nell’ultimo periodo si sono verificate perdite di peso più o meno importanti (anche involontarie) e, in caso di risposta affermativa, il peso di partenza facendo attenzione se il soggetto si trovava all’esordio in una condizione di normopeso (BMI≥18.5). Infine, se allo stato attuale il soggetto è sottopeso è importante monitorare la presenza di eventuali sintomi da malnutrizione (Minnesota Study). La loro individuazione permette infatti di valutare la necessità di coinvolgere anche il medico di base con le competenze necessarie per il monitoraggio di tali aspetti.

Campanelli di allarme per disturbi alimentari nello stile alimentare

Dopo aver indagato tali aspetti, è necessario approfondire lo stile alimentare del paziente affrontando gli aspetti elencati di seguito.

5. Presenza di una dieta rigida: chi ha problematiche con l’alimentazione tende a seguire diete rigide ed estreme con l’obiettivo di controllare il proprio peso e le proprie forme corporee. Lo scopo è infatti quello di perdere peso o di evitare un suo aumento. La modalità è però la messa in atto di comportamenti disfunzionali quali la restrizione quali-quantitativa e l’alimentazione ritardata ovvero saltare i pasti riducendoli in frequenza (es. consumare un solo pasto al giorno).

6. Presenza di alimenti evitati: fin dall’esordio i soggetti che soffrono di un disturbo alimentare tendono a modificare la propria alimentazione. Ciò comporta che gli alimenti che un tempo piacevano e che venivano consumati senza preoccupazione vengono rifiutati. Tali cibi sono, di norma, quelli contenenti carboidrati, i dolci e gli alimenti trasformati e non composti da un unico ingrediente. La scelta ricade dunque su altri cibi che sono tendenzialmente quelli additati come “salutari”. Ciò che è utile cercare di indagare è la motivazione per la quale vengono esclusi, per gusto o per il sottostante timore che tali alimenti possano incidere sul peso o possano condurre ad un episodio di perdita di controllo?

7. Presenza di regole dietetiche: è buona norma cercare inoltre di individuare la presenza (o meno) di regole dietetiche che generalmente riguardano come, cosa, quando e quanto mangiare. Tra queste, possiamo ritrovare: spezzettare il cibo in piccoli bocconi, mangiare solo alimenti che contengono meno di un certo numero di calorie, non mangiare dopo un determinato orario e mangiare meno degli altri.

8. Presenza di perdite di controllo/alimentazione sregolata: ovvero l’assunzione di una quantità di cibo (più o meno abbondante) associata alla sensazione di perdita di controllo. Può essere inoltre presente un’alimentazione eccessiva, in particolare in momenti “extra-pasto”, ovvero il consumo di una grande quantità di cibo senza però la sensazione di perdita di controllo. È utile indagare tali comportamenti perché possono essere il “sintomo” di una restrizione precedente.

9. Esercizio fisico intenso: una grande parte di persone con disturbi dell’alimentazione pratica un esercizio fisico eccessivo che, per durata, frequenza ed intensità, è superiore rispetto alle raccomandazioni delle Linee Guida (150-300 minuti settimanali di attività fisica di moderata intensità). Tale esercizio viene spesso vissuto come essenziale ed obbligatorio, anche in condizioni “avverse” (es. pioggia, slogature…) e pertanto viene definito anche compulsivo. Durante il primo colloquio è utile indagare anche questo aspetto poiché può essere un indizio di un rapporto poco sereno con il cibo e il proprio corpo.

10. Motivo della visita: forse di primaria importanza è bene sempre chiedere il motivo della visita e gli obiettivi che si vogliono ottenere cercando di captare anche il “non-detto”. Al di là della richiesta, del BMI del soggetto, della sua età, del sesso e dalla necessità medica (reale o meno) di lavorare sul peso corporeo è bene indagare se sono presenti forti preoccupazioni legate al proprio peso e alle forme corporee. Tendenzialmente, chi soffre di disturbo dell’alimentazione ha un forte timore di aumentare di peso mentre ha una persistente tendenza alla magrezza e al voler raggiungere un peso (sempre più) basso.

Come procedere in caso di sospetto disturbo alimentare

Cosa dovrebbe dunque fare un esperto di nutrizione dopo aver indagato tutti questi aspetti? Dovrebbe valutare se può prendere in carico autonomamente il paziente o se è al contrario necessario chiedere il supporto di uno psicoterapeuta. Se infatti alcuni (e non necessariamente tutti) di questi punti dovessero essere presenti si ritiene necessario il supporto di una figura in grado di lavorare sugli aspetti emotivi e cognitivi.

Per farlo è buona norma coinvolgere il paziente nella decisione, spiegando le proprie motivazioni e aiutandolo a comprenderne il razionale. Se il paziente dovesse mostrarsi d’accordo, gli si forniscono i contatti dei colleghi in modo tale che sia lui stesso a chiamare lo psicoterapeuta prescelto. È inoltre molto importante che, sempre in accordo con il paziente, le due figure (dietista e psicoterapeuta) facciano un “passaggio di consegne” e si tengano in contatto per tutta la durata della terapia.

Qualora il paziente dovesse mostrarsi titubante o addirittura oppositivo rispetto all’invio ad uno psicoterapeuta, il dietista può valutare ugualmente la presa in carico con però la consapevolezza di dover porre estrema attenzione. Potrà successivamente provare a riproporre al proprio paziente il percorso psicoterapico quando i tempi saranno “maturi”.

Infatti, per una completa presa in carico e per una remissione completa del disturbo, gli studi dimostrano la forza dell’équipe multidisciplinare formata, nel caso di problematiche alimentari da dietista, psicoterapeuta e psichiatra. Si tratta di professionisti differenti che (co)operano per il benessere del paziente fornendo il proprio contributo in base alle proprie competenze. In questo modo è possibile trattare la psicopatologia a 360° lavorando sui fattori di mantenimento, sulla normalizzazione eventuale del peso, sulle abitudini alimentari (alimenti evitati e regole dietetiche) fornendo le strategie non unicamente per il breve termine ma anche per la prevenzione di eventuali ricadute. In questo modo il paziente è infatti posto al centro del trattamento e si lavora con e per lui come una grande squadra.

 


 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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