La dipendenza affettiva ha conseguenze devastanti sulla qualità di vita, conducendo al totale annullamento della persona che ne soffre.
Diventa fondamentale, infatti, guidare il paziente verso il cammino della guarigione, permettendogli di riconquistare la propria autonomia e recuperare il controllo sulla propria vita: per poter intraprendere questo percorso è necessario che il dipendente riesca a sviluppare la consapevolezza della propria vulnerabilità, per poi decidere di reagire iniziando ad impegnare le proprie energie nel soddisfacimento dei propri bisogni e valori, nonostante si tratti di una scelta molto difficile per il dipendente affettivo, convinto di dover dedicare del tempo solo alle altre persone per non permettere loro di abbandonarlo. Questo percorso è finalizzato a permettere al dipendente di recuperare la propria autonomia, aiutandolo a sentire di non aver bisogno di altre persone per esistere: man mano che il dipendente impara a soddisfare i propri bisogni aumenta anche la fiducia in se stesso, nonché la consapevolezza di doversi prendere cura di sé, per raggiungere la stessa felicità che appare utopistica in condizioni di dipendenza affettiva. Il dipendente viene guidato a conoscersi realmente ed accettarsi, riconquistando la propria libertà (Serra, 2000).
Uno dei primi passi in questo percorso, finalizzato alla guarigione dalla dipendenza affettiva, si manifesta proprio nell’accettare la solitudine, riconoscendola come un’occasione per riflettere su se stessi, conoscere le proprie risorse e offrirle consapevolmente alle persone importanti; si tratta però di un aspetto che spesso impaurisce il dipendente affettivo, conducendolo all’isolamento e a piccoli episodi di depressione che culminano nella “noia” che il dipendente percepisce nella sua vita quotidiana, ormai priva di qualsiasi tipo di interesse personale.
Ricentrarsi per guarire dalla dipendenza affettiva
Dopo aver accettato la solitudine, è necessario riuscire a ricentrarsi (attribuendo valore adeguato alle proprie idee, emozioni, obiettivi e sensazioni); ricentrarsi vuol dire anche utilizzare il proprio tempo e le proprie energie per fare qualcosa che risulti effettivamente soddisfacente a livello personale, vuol dire riuscire a proporre attività gradevoli, nonché riuscire a dire di no senza avere paura che questo rifiuto implichi necessariamente una perdita. Ricentrarsi, dunque, costringe il dipendente a porsi numerose domande che gli permettano di ascoltare se stesso, comprendere i propri interessi reali e coltivarli, senza continuare a sacrificarli per soddisfare quelli altrui. Se il processo di ricentramento funziona, il dipendente arriva anche ad affermarsi, ossia ad appropriarsi della propria vita, facendosi rispettare dagli altri per ciò che è realmente, senza continuare a sentirsi costretto a soddisfare i desideri degli altri, assicurandosi così la loro vicinanza: l’auto-affermazione permette al dipendente di capire che il proprio giudizio vale quanto quello altrui, gli permette di porre dei limiti e di far rispettare i propri spazi, per cui si tratta anche di un’occasione per capire quali persone siano disposte a continuare a stargli accanto quando esce dalla condizione di “schiavitù” insita nella dipendenza affettiva. L’aspetto cardine che potrebbe condurre a superare effettivamente la dipendenza affettiva è riuscire a sviluppare la propria autostima poiché essa permetterà al dipendente di elaborare delle scelte consapevoli, eliminando la tendenza ad accontentarsi pur di non rimanere da solo, poiché lo sviluppo dell’autostima permette di cambiare le priorità: comprendendo il proprio valore, il dipendente non avrà più bisogno di fondersi con un’altra persona, ma inizierà la ricerca di una relazione in cui entrambi i membri riescano ad esprimere a pieno se stessi. L’autostima è uno dei presupposti per il raggiungimento della felicità e, una volta sviluppata, permette al dipendente di capire di non aver bisogno dell’altro per essere felice, ma solo delle sue risorse interiori (Passerone, 2001).
Il processo di guarigione dalla dipendenza affettiva, dunque, implica un cambiamento del paziente che deve riuscire a gestire le emozioni tipiche che lo pervadono (senso di colpa, vergogna, paura dell’abbandono) per sostituirle con nuove risorse interiori (fiducia e conoscenza di sé, amor proprio). Generalmente il dipendente affettivo prova vergogna per i suoi comportamenti, arrivando a sentirsi anche profondamente in colpa, ritenendo di essere causa di qualsiasi problematica propria e del partner: il senso di colpa è fra le principali caratteristiche della dipendenza affettiva e convince il dipendente di aver bisogno di asservirsi sempre di più al partner per espiare le sue colpe (spesso inesistenti). Senso di colpa e vergogna, dunque, camminano di pari passo: la vergogna porta il soggetto a svalutarsi completamente, arrivando a provare disprezzo e rifiuto per se stesso, aspetti che tendono a far aumentare parallelamente anche il senso di colpa. Il dipendente segue il partner come un guru, che spesso inizia a pretendere sempre di più dal dipendente e a gratificarlo sempre meno, conducendolo a provare vergogna anche quando non dovrebbe (De Totrou, 2002). Quest’insieme di sensazioni negative conduce ad un’estrema paura dell’abbandono.
Sviluppare la fiducia in se stessi per superare la dipendenza affettiva
Uno dei primi passi per giungere a liberarsi dalla dipendenza affettiva è riuscire a sviluppare fiducia in se stessi e nelle proprie capacità; il dipendente tende ad accumulare delusioni per la sua totale dedizione al partner e, non trovando altri soggetti disposti a ricambiare le sue aspettative, decide di vivere una vita senza fiducia, né verso se stesso, né verso gli altri, né verso il mondo. La mancanza di fiducia però conduce alla svalutazione di sé: per riuscire a riconquistarla, il dipendente deve accingersi in un percorso complesso che lo conduca a sentirsi libero di modificare i suoi pareri, di dire di no, di poter sbagliare. Il dipendente affettivo, infatti, nonostante conosca perfettamente la persona oggetto della sua dipendenza, ha una scarsissima conoscenza di sé, per cui sarà ancora più difficile riuscire a riaffermarsi poiché spesso guardarsi dentro equivale ad intraprendere una conoscenza con una persona nuova, di cui non si sa nulla. Il dipendente, dunque, per non rivestire più questo ruolo deve conoscersi e accettarsi, amarsi e donarsi consapevolmente e adeguatamente, dedicarsi anche a se stesso (servendosi anche di un pizzico di egoismo funzionale) per riconoscersi come importante e non preoccuparsi eccessivamente del parere altrui.
La fiducia in se stessi permette anche lo sviluppo dell’autonomia, meta particolarmente lontana per il dipendente affettivo che deve riuscire a valorizzarsi, iniziando ad agire in prima persona senza continuare ad aspettare l’approvazione degli altri; l’autonomia implica la capacità di scegliere, valutando le proprie priorità e, conseguentemente permette al dipendente affettivo di “iniziare a vivere una vita di cui è il protagonista indiscusso”, scoprendo e coltivando le proprie passioni e i propri talenti, fino ad allora, nascosti. Per il dipendente affettivo, lo sviluppo dell’autonomia, implica anche il rinunciare ad una posizione fin troppo “comoda”: il dipendente, infatti, è abituato a non pensare, non prendere decisioni e non assumersi responsabilità, lasciandosi trasportare dalle scelte altrui, ma quando riuscirà a raggiungere un traguardo da solo, quando sarà davvero autonomo, proverà una soddisfazione tale da chiedersi cosa l’abbia spinto a rimanere nell’ombra delle altre persone fino a quel momento (Marchetti, 2004).
La difficoltà della separazione nella dipendenza affettiva
Il dipendente, inoltre, manifesta evidenti difficoltà nel riuscire a superare la separazione da persone importanti: la perdita infatti per il dipendente ha un significato particolare e sembra che quest’ultimo riesca ad accettare con più facilità il dolore del lutto vero e proprio, rispetto a quello della rottura di un legame, poiché in questo caso c’è il rischio di incontrare nuovamente il soggetto del proprio malessere, cadendo ancora una volta nel baratro della sofferenza e favorendo il rimuginare sui propri errori, spesso inesistenti; se il dipendente riesce a percorrere adeguatamente i vari passi per giungere all’auto-affermazione, riuscirà anche ad affrontare le perdite con più tranquillità, rendendosi conto di dover guardare al presente e ricostruirlo, piuttosto che continuare a rimanere bloccato in un passato che continua inevitabilmente ad arrecargli sofferenza, poiché contraddistinto da pensieri disfattisti tipici del dipendente affettivo (es. non avere altre scelte, sprecare le proprie opportunità): il dipendente, dunque, dovrebbe essere guidato a capire che ognuno è artefice del proprio destino, che sia sempre presente una scelta diversa da quella effettuata, che sia necessario porsi al primo posto ed imparare anche a dire “no”, quando risulta necessario per impedire alle altre persone di approfittare della propria disponibilità, spingendo anche allo sviluppo dell’intelligenza emotiva, riconosciuta come la capacità di non lasciarsi sopraffare dalle proprie emozioni, riuscendo a gestirle e ad usarle in maniera funzionale (Rizzoli, 1996).
Il cammino verso la guarigione dalla dipendenza affettiva, dunque, risulta lungo e tortuoso, poiché spesso il dipendente deve riuscire a superare le sue resistenze (ricordiamo che una delle sue paure principali è proprio il cambiamento) e deve avere la pazienza di aspettare, senza pretendere utopisticamente di poter cambiare dall’oggi al domani.