Qual è il compito dei robot? Uno dei compiti è sicuramente quello di sostituire l’uomo, ma non con il progetto di eliminarlo, bensì per evitare lavori pericolosi o stancanti.
Le persone sono da tempo interessate alle macchine che simulano i processi naturali, in particolare alle tecnologie che replicano il comportamento e/o l’aspetto umano. Questo desiderio ha radici antiche: partendo dalla creazione di una varietà di ‘simulacri’ in Egitto circa 2000 anni fa, fino alla costruzione di dispositivi altamente sofisticati, creati utilizzando le conoscenze scientifiche (Richter, 2015). Altri esempi impressionanti di simulazioni umane includono prime forme di androidi costruiti nel XVI, XVII e XVIII secolo in Europa, dove sono state costruite una varietà di macchine, in grado di simulare attività umane, come la scrittura o la danza. Da questi primi interventi di simulazione nasce l’ambiziosa sfida tecnologica e scientifica del tentativo di replicare la flessibilità e l’adattabilità dell’intelligenza umana (Breazeal, 2004).
In questa veloce evoluzione, a delinearsi è un dilemma morale: e se l’uomo fosse sostituito dalle macchine? Questa domanda è sempre più esasperata in relazione al progresso dell’Intelligenza Artificiale (IA) fino alla comparsa dei robot. In risposta a questo dilemma morale, invero, alcune parti della cultura contemporanea reagiscono infondendo un rifiuto e una paura apocalittica. Questo è visibile anche da scenari trasmessi dal cinema, dove il robot è rappresentato come uno schiavo meccanico, che si ribella e conquista il mondo eliminando il nemico umano. Ciò che, infatti, spaventa di più la società contemporanea è l’autonomia, ovvero la capacità di ragionare, apprendere e risolvere i problemi in maniera autonoma.
Ma cosa sono i robot? La parola “robot” deriva dal ceco ‘robota’, ovvero ‘lavoro servile’, con cui lo scrittore cèco Karel Čapek denominava gli automi che lavorano al posto degli operai nel suo dramma fantascientifico R.U.R., del 1920. Al di là di questa immagine fantascientifica di Čapek, è evidente che i robot fanno parte della nostra vita: pensiamo alle aspirapolveri automatiche, capaci di mappare il territorio ed evitare gli ostacoli. Qual è, quindi, il compito dei robot? Uno dei compiti è sicuramente quello di sostituire l’uomo, ma non con il progetto di eliminarlo, bensì per evitare lavori pericolosi o stancanti. Il fatto che, con l’evoluzione tecnologica, ci siano più generazioni di robot (dal doll-like allo human-like) non ci deve far dimenticare che il robot non è in grado di attribuirsi da sé “stati mentali”, che restano sotto il controllo esterno ed estraneo (Damiano et al., 2019, p. 21), in genere di chi lo programma, ovvero dell’essere umano.
Questo modo di risignificare il robot come “sostituto”, per cercare di rispondere al dilemma etico, ci fa comprendere che è necessario anche ripensare il rapporto Uomo-Macchina, o meglio, Uomo-Robot. La ricerca scientifica, soprattutto, psico-sociale non si limita a prendere una posizione nel dibattito sulla natura della mente, ma i robot diventano strumenti di una trasformazione sociale (Damiano et al., 2019, p 22). In questa trasformazione sociale, ad esempio, i robot possono interagire con i bambini per aiutarli nella raccolta differenziata (De Carolis et al., 2019) o ad “empatizzare” con persone anziane (Garcia et al., 2017). La logica, quindi, non è quella di sostituzione di figure professionali, che interagiscono con i bambini o con gli anziani, ma quella di supportare, ad esempio gli operatori, magari oberati di lavoro, nella pratica clinica o educativa. Da queste premesse, risulta necessaria la branca della psicologia che si occupa di interazione Uomo-Robot, verso una robotica psico-sociale, capace, ad esempio, di interrogarsi sull’interazione emotiva Uomo-Robot, dando, magari, avvio ad una generazione di Robot con Intelligenza Emotiva Artificiale (Papapicco, 2021).