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Quando psicoterapeuta e paziente sono in un ambiente virtuale condiviso. Realtà virtuale multi-utente e le nuove frontiere della psicoterapia a distanza

La ricerca scientifica si è mossa in questi anni sull’implementazione di sistemi terapeutici in realtà virtuale capaci di essere “somministrati” a distanza

Di Greta Riboli

Pubblicato il 22 Ott. 2021

Le applicazioni terapeutiche maggiormente esplorate coinvolgenti la Realtà Virtuale riguardano le tecniche di rilassamento e di esposizione, ora si aprono però nuove possibilità.

Greta Riboli – OPEN SCHOOL Studi Cognitivi, Milano

 

Già nel 2015 uscì un articolo sull’International Journal of Child-Computer Interaction, che indagava l’efficacia di un game in realtà virtuale multi-utente per favorire la collaborazione nei bambini con disturbi dello spettro autistico (Pearson, 2015). Ma da allora ad oggi come ci siamo mossi nel campo della terapia in virtuale?

La realtà virtuale è uno strumento tecnologico che è capace di creare la completa illusione di trovarsi in un posto diverso rispetto a quello reale, sia esso un ambiente fantastico o realistico.

La realtà virtuale costituisce una nuova modalità di conoscenza esperienziale, che pone la persona al centro dell’apprendimento stesso (Lanier & Biocca, 1992). In questa esperienza l’utente è immerso a livello sensoriale in un mondo altro, in cui le percezioni sensoriali provenienti dal mondo “reale” non sono più accessibili. Quando una simulazione virtuale riesce a riprodurre anche le componenti sensoriali oltre a quella visiva e uditiva (es. olfattiva, o tattile) si fa riferimento ad un’esperienza multisensoriale oppure estensiva (“extensivevirtual reality”).

Il poter sperimentare mondi immateriali è permesso dall’immersività, ovvero dal livello di fedeltà sensoriale stesso dell’esperienza virtuale e dal livello di interazione, in cui è osservabile una corrispondenza ben sincronizzata tra movimenti dell’utente e interfacce virtuali.

La presenza è un altro fenomeno fondamentale per lo studio della realtà virtuale come strumento terapeutico, infatti è definibile come la risposta psicologica soggettiva dell’utente all’interno dell’esperienza di realtà virtuale, o meglio, la sensazione di “essere lì” (Blascovich, 2010). Il fenomeno della presenza in realtà virtuale può assumere diverse forme, tra cui quella della presenza spaziale, sociale e dell’auto-presenza.

Le tecniche di rilassamento ed esposizione attraverso la realtà virtuale

Le applicazioni terapeutiche maggiormente esplorate nell’ultimo decennio (Freeman et al., 2017), coinvolgenti l’uso della Realtà Virtuale riguardano (i) le tecniche di rilassamento; (ii) la tecnica dell’esposizione applicata alle componenti ansiose e traumatiche; (iii) la tecnica dell’esposizione applicata ai disturbi alimentari.

Per quanto riguarda il rilassamento, le tecniche di rilassamento con biofeedback sono integrabili al sistema virtuale, misurando la risposta psicofisiologica del paziente (ad esempio tramite rilevazione dell’attività elettrodermica) in corrispondenza a scenari virtuali, con il possibile scopo di esporre il paziente a scenari stressanti, oppure immergerlo al contrario in ambienti rilassanti in cui vi è una guida al rilassamento.

La tecnica dell’esposizione graduale o il flooding sono le tecniche più implementate in realtà virtuale per il trattamento di diversi disturbi (ad esempio disturbi d’ansia). La letteratura scientifica parla di un’efficacia dell’esposizione in realtà virtuale parificabile a quella in vivo, e maggiore rispetto all’esposizione in immaginato (Carl et al., 2019). I vantaggi citati più e più volte dell’esposizione in realtà virtuale sono riassumibili nei seguenti punti: personalizzazione degli stimoli fobici in base alla specificità del disturbo; possibile creazione di una gradualità di esposizione ad hoc; vantaggio ecologico di poter esporre ad ambienti che in vivo comporterebbero un dispendio di risorse importante, tanto da rendere impossibile l’applicazione della tecnica; tutelare la privacy del paziente rimanendo nelle mura dello studio; ed infine il fatto di poter esporre il paziente allo stimolo fobico in un setting protetto. La tecnica dell’esposizione è stata applicata ai disturbi d’ansia, al disturbo da stress post-traumatico, al disturbo ossessivo-compulsivo (esposizione prevenzione risposta) e alle psicosi (Freeman, et al. 2017).

La tecnica dell’esposizione è stata anche spesso usata nel campo dei disturbi alimentari, attraverso la mirror exposure therapy. Grazie alla realtà virtuale, oltre a esperire ambienti immateriali ricreati ad hoc, è possibile anche incarnarsi in corpi ricreati (avatar), con caratteristiche corporee uguali, simili o diverse dalle proprie. Manipolando il corpo virtuale è così possibile indagare le reazioni emotive dell’utente attraverso le risposte fisiologiche dello stesso, le risposte comportamentali e gli atteggiamenti, e di conseguenza lavorare su questi aspetti. Il processo di incarnazione o embodiment emerge quando l’utente percepisce le caratteristiche del corpo avatar come se fossero appartenenti al proprio corpo reale (Maselli & Slater, 2014). La tecnica usata per favorire l’incarnazione consiste in correlazioni visuo-percettive sincrone, ispirate all’illusione della mano di gomma (Botvinick& Cohen, 1998), precedentemente illustrata nell’articolo Embodiment in Avatar in Realtà virtuale: gli effetti a livello comportamentale, cognitivo ed emotivo (Riboli, 2021).

In un recente studio di Porras-Garcia e colleghi (2020), un campione di pazienti con anoressia nervosa è stato esposto sistematicamente e gerarchicamente ad una rappresentazione virtuale della propria forma corporea, il cui indice di massa corporea aumentava progressivamente di sessione in sessione (in totale 5). In base alla compilazione del test Physical Appearance State and Trait Anxiety Scale (PASTAS, Reed et al., 1991), i ricercatori invitavano il partecipante a soffermarsi con lo sguardo su diverse parti del corpo, iniziando con le parti del corpo connesse a minori livelli di ansia esperiti, e procedendo con le aree capaci di generare una maggiore ansia nel soggetto. Ogni trenta secondi il livello di ansia veniva misurato con una scala visuo-analogica (paura di prendere peso e ansia per il corpo 0-100) e quando questo risultava al di sotto del 40% rispetto alla misurazione iniziale, avveniva il passaggio all’area corporea successiva (illuminata per facilitare la focalizzazione del paziente). In seguito ad ognuna delle 5 esposizioni, il paziente veniva esposto ad un ambiente rilassante per una durata di 5 minuti.

Studi come questo (Ferrer-García et al, 2017; Ferrer-Garcia et al., 2019), hanno dimostrato che l’esposizione a stimoli critici (come ad esempio parti del corpo specifiche) in realtà virtuale, può aiutare il paziente, oltre a ridurre i livelli di ansia sperimentati, anche a interrompere il ri-consolidamento dei ricordi negativi relativi al corpo, inquadrati teoricamente come bias cognitivi associati alla modalità di elaborazione visiva (Thompson et al., 1999).

La realtà virtuale multi utente in psicoterapia

Le forme di terapia in Realtà Virtuale precedentemente illustrate si basano su un’integrazione di terapia non virtuale a tecniche precise, quali rilassamento o esposizione. Ma la ricerca scientifica ed i protocolli terapeutici si sono mossi in questi anni anche sull’implementazione di sistemi terapeutici in virtuale capaci di essere “somministrati” a distanza. Tra questi si annoverano i famosi progetti del dottor Freeman, in cui, tramite sistemi di intelligenza artificiale, coach virtuali guidano il paziente in ambientazioni virtuali contraddistinte da specifici task e training. Eppure, una delle nuove frontiere dell’uso della realtà virtuale in campo psicoterapeutico è la realtà virtuale multi-utente, che permette a più utenti di condividere ambientazioni virtuali contemporaneamente. La realtà virtuale multi-user è già usata ampiamente nel campo delle scienze mediche, in particolare recenti studi fanno riferimento all’uso della stessa per permettere a diversi partecipanti (medico, paziente e/o caregivers) di interagire tra loro nel mondo virtuale simultaneamente allo scopo di manipolare oggetti virtuali e ad esempio svolgere della fisioterapia nei casi di ictus (Thielbar et al., 2020; Triandafilou et al., 2018; Tsoupikova et al., 2016).

Questa tecnologia apre ampie possibilità, connesse all’uso della realtà virtuale anche come strumento psicoterapeutico in cui la relazione terapeutica viene vissuta nell’ambiente virtuale stesso, senza essere integrata ad un percorso terapeutico vis-a-vis in reale. Questa modalità terapeutica potrebbe essere semplicemente considerata come la versione 2.0 della psicoterapia a distanza, largamente discussa in questo periodo pandemico (Sars-Covid-19, 2020-2021). Eppure, da un recente studio condotto sull’applicazione terapeutica della realtà virtuale multi-user sono emersi diversi spunti di riflessione intorno ai quali ogni psicoterapeuta dovrebbe interrogarsi.

Le sfide della realtà virtuale multi utente

Nello studio di Matsangidou e colleghi (2020) l’obiettivo era quello di esplorare le sfide della realtà virtuale multi-utente (MUVR), come facilitatore tecnologico per la psicoterapia a distanza. In particolare nel presente studio, lo scopo principale era quello di indagare l’accettabilità dello strumento da parte di psicoterapeuti e di pazienti ad alto rischio di sviluppare un disturbo alimentare, attraverso un’intervista semi-strutturata.

Per indagare in modo ampio la fattibilità della terapia a distanza in virtuale, i ricercatori del presente studio hanno progettato diversi ambienti terapeutici e compiti in VR: (i) il compito dei valori ACT; (ii) terapia del gioco; (iii) terapia dell’esposizione allo specchio. All’inizio di questi tre step il partecipante ha modo di esperire le modalità di utilizzo in realtà virtuale tramite un tutorial introduttivo.

Come ben sappiamo, l’Acceptance and Commitment Therapy (ACT) è una terapia cognitivo-comportamentale che sostiene il paziente nel percorso atto a perseguire i propri obiettivi e valori, ma per fare questo uno dei primi step è quello di far emergere i valori individuali significativi di ciascuno. In questo studio è stato usato il protocollo AcceptME (Karekla&Nicolaou, 2015), un programma di gamification dedicato a pazienti che soffrono di disturbi alimentari o preoccupazioni legate al peso, con l’obiettivo di guidarli nell’accettazione dei propri pensieri e delle proprie emozioni, per poi muoversi a livello comportamentale verso una direzione, nonostante la presenza di queste emozioni e pensieri indesiderati (anche relativi alle forme o al peso corporei) (Hayes et al., 2011). Per lavorare in questa direzione, i ricercatori hanno sviluppato due compiti virtuali in VR in cui il partecipante può entrare in contatto con i propri valori e costruire, secondariamente, una mappa dei propri valori afferrandoli e maneggiandoli. In seguito a questi compiti, i ricercatori si aspettano che i pazienti abbiano una maggiore chiarezza valoriale e di conseguenza le scelte comportamentali possano divenire più semplici da perseguire.

Il secondo step prettamente terapeutico è la play therapy, contraddistinta da due compiti specifici, uno di pittura e l’altro di lancio della palla. Questi giochi sono stati introdotti nel protocollo per ridurre l’impulsività, migliorare la regolazione emotiva, e per esprimere le proprie emozioni e pensieri (Fagundo et al., 2013)

Infine, attraverso la tecnica dell’esposizione allo specchio, il partecipante, o meglio il suo avatar, una figura antropomorfa a fumetti, modificata a somiglianza dai partecipanti stessi, si specchia virtualmente, esponendosi alla propria forma corporea. A poco a poco, l’abbigliamento dell’avatar viene rimosso lasciando l’avatar in intimo, e durante questo processo di disvelamento, viene indicato al partecipante di guardare attentamente ogni parte del proprio corpo dando risalto alle proprie emozioni e ai propri pensieri, così da poter essere discussi con il terapeuta.

In questo studio, una delle maggiori particolarità è la scelta dell’avatar terapeuta, rappresentato da un cartone animato anziché da una figura antropomorfa, coerentemente ai risultati ottenuti nello studio di Lee e colleghi (2012), i quali fanno riferimento ad una riduzione dello stress percepito dal paziente in terapia di fronte alla visualizzazione di figure animate.

Dalle interviste semi-strutturate e dai questionari sull’usability e sul senso di presenza in virtuale compilati dai 14 partecipanti e dai 7 terapeuti, i quali non si sono mai incontrati di persona tra di loro, sono emersi diversi spunti di riflessione importanti relativi a (a) il ruolo della gamification; (b) la figura terapeutica non antropomorfa e alla modalità senza incontro di persona tra paziente e terapeuta; (c) il ruolo dello stress e della paura nell’uso del sistema virtuale da parte degli utenti.

Dalle interviste è emerso da parte di partecipanti e terapeuti come la gamification ha migliorato la comunicazione tra paziente e terapeuta, permettendo ai pazienti di esprimere più liberamente le proprie emozioni, creando un senso di fiducia e comprensione. In questo modo il terapeuta è stato spogliato agli occhi dei pazienti dal suo ruolo autoritario e formale, ritagliandosi anche un ruolo diverso che permette al paziente di relazionarsi in modo più naturale. Detto questo un terapeuta ha riportato come, a suo parere, proporre diverse attività di play therapy possa essere funzionale allo scopo di coprire un ventaglio di opzioni di gioco coerenti con gli interessi dei partecipanti. Infatti ha avuto modo di notare come un paziente sembrava trarre più beneficio dalla pittura, piuttosto che dal lancio della palla, mentre l’altro paziente sembrava più interessato al “basket”. Il vantaggio della gamification è stato anche quello, riportato dai pazienti, di diminuire le preoccupazioni e aumentare la sensazione di calma e tranquillità.

Il fatto che il terapeuta fosse una figura non antropomorfa è stato vissuto dai pazienti come un vantaggio ai fini della propria self-disclosure, in quanto la figura umana viene connotata di uno sguardo giudicante, mentre la figura animata è percepita come meno stressante, implementando positivamente la relazione terapeutica. Il fatto che il terapeuta non sia riconoscibile, e così il paziente agli occhi del terapeuta, nonostante ci sia un avatar a rappresentarlo, ha permesso ai partecipanti di sentirsi sicuri anche nella garanzia della propria privacy.

Per quanto riguarda il ruolo dello stress e della paura nell’uso del sistema virtuale da parte degli utenti, alcuni partecipanti hanno manifestato reazioni fobiche nel setting virtuale, eppure nessuno di essi ha chiesto di interrompere la sessione. Sicuramente i partecipanti con minore conoscenza del sistema virtuale hanno manifestato una maggiore difficoltà. Oltre alla parte iniziale, in cui alcuni si sono sentiti spaesati nel sistema virtuale, alcuni hanno vissuto con forte ansia la tecnica dell’esposizione al proprio corpo. Le reazioni ansiose innanzi al proprio corpo, in questo tipo di popolazione, erano state preventivate dai ricercatori, ed è proprio parte del percorso terapeutico sperimentarle per poi andare a ridurle così come nella realtà, così in virtuale e così in virtuale con terapeuta a distanza. La possibilità di osservarsi e di farsi osservare anche dal terapeuta, contraddistinto dalle caratteristiche citate al punto precedente è sicuramente parte della creazione di nuovi apprendimenti.

Grazie a questo studio, che ha il vantaggio di aprire le danze relativamente alla psicoterapia in MUVR e ai futuri studi, i quali dovranno anche orientarsi nell’ottica della verifica dell’efficacia degli interventi terapeutici a distanza con la realtà virtuale multi-user, ci possiamo spingere verso la possibilità di implementare protocolli comportamentali in cui il terapeuta sente la necessità di affiancare il proprio paziente durante l’esercizio stesso anche nelle terapie a distanza. Così come riflettere sul valore dell’eventuale assenza di informazioni fisiognomiche e non verbali (extra postura, che rimane percepibile) nella relazione terapeutica, sicuramente da un lato in un’ottica di minore stress, ma al contempo perdendo informazioni che potrebbero essere utili nella concettualizzazione del paziente. Inoltre, in aggiunta ai classici strumenti a disposizione nelle terapie online a distanza non virtuali, anche la possibilità di cogliere i movimenti del corpo di un paziente anche se mediati da un avatar. Questi sono alcuni esempi, ma la potenzialità dello strumento permetterebbe anche terapie di gruppo in realtà virtuale a distanza, oltre all’implementazione di diversi protocolli terapeutici, godendo della presenza simultanea di terapeuta e paziente, senza sacrificare le capacità del virtuale. Indubbiamente questo terreno pone nuovamente i terapeuti in quell’ottica di continuo aggiornamento e interlocuzione riflessiva tipica del lavoro psicologico.

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