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Embodiment in Avatar in Realtà virtuale: gli effetti a livello comportamentale, cognitivo, ed emotivo

Diversi studi approfondiscono il tema della rappresentazione del corpo e dell’immagine corporea, utilizzando la realtà virtuale e studiandone le conseguenze

Di Greta Riboli

Pubblicato il 16 Lug. 2021

La diffusione della realtà virtuale ha riaperto un forte dialogo sulle possibilità riguardo all’embodiment, in particolare, le possibilità di creare un avatar permettendo alle persone di incarnarsi in corpi diversi rispetto a quelli reali (Bohil et al., 2011).

Greta Riboli – OPEN SCHOOL Studi Cognitivi Milano

 

Negli ultimi anni, una mole crescente di articoli in letteratura si è concentrata sull’alterazione della rappresentazione del corpo, attraverso tecniche sperimentali di illusioni corporee. La realtà virtuale (VR) ha visto diverse applicazioni nella ricerca sperimentale sulle “illusioni corporee”, per misurare i cambiamenti emotivi durante l’incarnazione in un corpo virtuale.

Gli ambienti virtuali in VR permettono ai partecipanti di sperimentare qualcosa di equivalente a ciò che sperimentano nel mondo reale, e potendo simulare situazioni di vita reale la VR è divenuta strumento d’elezione nello studio dei processi patologici che accompagnano i disturbi mentali (ad esempio: valutazione e trattamento dell’ansia) (Mühlberger et al., 2007; Shiban et al., 2016), ma la comunità scientifica non si è limitata a questo campo di indagine. Infatti, la realtà virtuale permette non solo di vivere esperienze in ambienti diversi da quelli reali, ma anche di incarnarsi in corpi virtuali (avatar). I meccanismi dell’incarnazione (embodiment) sono stati studiati nelle neuroscienze cognitive (Blanke, 2012), in filosofia (Blanke & Metzinger, 2009), e negli studi digitali (Banakou et al., 2013). L’embodiment è il fenomeno attraverso il quale le persone prendono coscienza del proprio corpo e questo fenomeno coinvolge i sensi, il controllo motorio, la propriocezione e l’interocezione (Maselli & Slater, 2013). La diffusione della realtà virtuale ha riaperto un forte dialogo sulle possibilità che abbiamo riguardo all’embodiment, in particolare, le possibilità di creare un nuovo corpo virtuale (avatar) permettendo alle persone di incarnarsi in corpi diversi per struttura, dimensioni e morfologia rispetto a quelli dei corpi reali (Bohil et al., 2011).

La teoria di riferimento utilizzata negli ultimi dieci anni per promuovere l’embodiment e la proprietà del corpo in un avatar di realtà virtuale, si basa su correlazioni visive-percettive sincrone durante movimenti attivi o passivi ed è l'”illusione della mano di gomma” (Botvinick & Cohen, 1998). Nella procedura illusoria originale, un soggetto è seduto e tiene un braccio teso su un tavolo, oscurato da uno schermo che gli impedisce la visione. Una mano di gomma con caratteristiche realistiche è posta nella vista del partecipante, e al partecipante viene chiesto di guardare la mano di gomma. Mentre lo fa, il ricercatore applica una pressione costante e sincrona con un pennello sia alla mano di gomma, osservata dal partecipante, sia alla mano reale, nascosta alla vista. In pochi secondi, nei soggetti sani, è stato rilevato un sentimento di proprietà dell’arto di gomma, come se fosse il proprio e sono le stimolazioni sincrone che stimolano questa illusione di proprietà, soprattutto se a tali stimolazioni sincrone viene abbinato un movimento di minaccia (es. infilare delle puntine sulla cute della mano). Questa illusione ci permette di riconoscere oggetti esterni al nostro corpo o diversi da esso come se fossero parte di noi stessi, ed è amplificata quando le tre sottocomponenti su cui si basa sono integrate tra loro (i) proprietà (body ownership), in questo caso della mano; (ii) localizzazione: sensazione che la mano di gomma e la mano reale siano nello stesso posto; (iii) agency: sensazione di poter controllare la mano di gomma.

Questo esperimento è stato riprodotto prendendo in considerazione altre parti del corpo, ed è stato successivamente applicato anche alla realtà virtuale, con lo scopo di generare un senso di embodiment in avatar, basandosi sulla stessa illusione e dunque sulle medesime sotto-componenti della stessa: body ownership, self-location e agency. Molteplici studi nel campo della psicologia approfondiscono il tema della rappresentazione del corpo e dell’immagine corporea, studiandone le conseguenze cognitive-emotivo-comportamentali, eseguendo una stimolazione sincrona su parti del corpo dei partecipanti e degli avatar. Infatti, diversi ricercatori hanno utilizzato tecniche di embodiment per valutare lo stato emotivo, gli atteggiamenti e i comportamenti, di individui che sperimentano un corpo con caratteristiche specifiche diverse da quelle reali (Yee & Bailenson, 2007; Banakoua et al., 2013; Maister et al., 2015; Ferrer-Garcia et al., 2017).

Percepire il proprio corpo diversamente influenza comportamenti e atteggiamenti? Uno sguardo alle applicazioni sociali dell’embodiment in VR

Yee & Bailenson (2007) hanno condotto uno dei più importanti studi sull’illusione della proprietà del corpo basata sulle autorappresentazioni digitali e le sue conseguenze sui comportamenti interpersonali delle persone. Introdussero il termine “Proteus Effect”, riferendosi al processo di cambiamento nei comportamenti degli individui che usano avatar con caratteristiche diverse dalle proprie. Il loro studio risponde in particolare alla domanda “Il comportamento delle persone è conforme alla loro auto-rappresentazione digitale?” I loro risultati mostrano che i partecipanti incarnati in avatar più attraenti in VR agiscono in modo più confidenziale con le altre persone, rispetto ai partecipanti il cui avatar era meno attraente. Il comportamento degli utenti potrebbe variare tra essere più o meno amichevole, intimo o negativo in base all’aspetto degli avatar. In questo studio i cambiamenti del corpo si riferivano a modifiche nell’aspetto socialmente più o meno desiderabili (taglio di capelli, trucco, vestiti). La spiegazione del “Proteus Effect” può essere rintracciata nel presupposto di come le persone immaginano che gli altri individui si aspettino che si comportino.

Per quanto riguarda l’effetto dei cambiamenti sui comportamenti non interpersonali, Banakoua et al. (2013) hanno studiato i cambiamenti nella percezione del mondo e gli atteggiamenti verso se stessi e gli altri incarnando 32 partecipanti adulti in un corpo di bambino. I risultati di questo studio hanno confermato la possibilità di generare un’illusione di proprietà di un corpo bambino, riducendo la dimensione di un corpo adulto. I ricercatori hanno anche confermato risultati precedenti, riscontrando una stretta connessione tra l’illusione di proprietà del corpo (body ownership) e la sincronia tra i movimenti effettuati sul corpo reale e sul corpo virtuale, sottolineando che l’illusione dipende più da questa sincronia che dalla forma del corpo. I risultati hanno anche dimostrato un impatto dell’auto-rappresentazione del corpo sugli atteggiamenti dei partecipanti, utilizzando un compito di associazione implicita per valutare l’associazione automatica tra un target dicotomico (“bambini” vs “adulti”) e attributi (“bambini”, “adulti”; “io”, “altri”, e altri attributi personalizzati per ogni partecipante riguardo ai loro dati personali e preferenze), subito dopo l’esposizione in VR. L’effetto dell’auto-rappresentazione corporea sugli atteggiamenti verso se stessi e gli altri era maggiore nei partecipanti per i quali l’illusione di proprietà era maggiore.

Un altro famoso studio sull’illusione corporea in VR ha visto i partecipanti essere incarnati in corpi di diverso genere, età ed etnia, per valutare gli atteggiamenti impliciti verso l’outgroup (Maister et al., 2015). I risultati hanno dimostrato che essere incarnati in un “corpo outgroup” (ad esempio un uomo che possiede un corpo virtuale femminile, una persona anziana che possiede un corpo virtuale adolescente, e un caucasico che possiede un corpo virtuale asiatico) riduce significativamente gli atteggiamenti impliciti negativi verso i membri dell’outgroup. Gli autori propongono la seguente spiegazione a questo fenomeno: il processo di auto-somiglianza fisica amplifica le somiglianze tra sé e gli altri, e dopo l’auto-associazione fisica, un dominio concettuale diventa attivo, portando ad auto-associazioni positive con i membri dell’outgroup, attraverso una generalizzazione. Durante l’esperimento multisensoriale, i ricercatori hanno trovato una risonanza di altri stati corporei che potrebbe portare a costruire un divario tra l’esperienza di vita personale e quella altrui, attraverso una sovrapposizione di rappresentazioni corporee.

Illusione corporea in realtà virtuale: come la percezione delle forme del corpo impatta su emozioni, schema e immagine corporea

Ferrer-Garcia et al. (2017) valutano le risposte emotive di 23 studenti universitari incarnati, attraverso la sincronizzazione visuo-motoria, in tre diverse dimensioni corporee: (i) un avatar con le stesse misure del corpo dei partecipanti; (ii) un avatar del 20% più grande del corpo del partecipante; e (iii) un avatar del 40% più grande del corpo del partecipante. I ricercatori valutano l’ansia corporea, la paura di ingrassare e la capacità di embodiment dopo ciascuna delle tre esposizioni. I risultati hanno mostrato un livello significativamente più alto di ansia corporea e di paura di ingrassare dopo la terza esposizione con l’avatar più grande.

Mountford et al. (2016) hanno utilizzato la VR per valutare la capacità degli ambienti virtuali di influenzare il disturbo dell’immagine corporea in un campione non clinico di donne a dieta o non a dieta. In questo studio i risultati hanno mostrato che gli ambienti virtuali non hanno provocato alcun cambiamento significativo nel disturbo dell’immagine corporea. Questo risultato potrebbe essere spiegato dall’infedeltà dell’avatar virtuale e degli ambienti. Infatti, studi successivi, che lavorano maggiormente sul design 3D, hanno dimostrato che un ambiente virtuale può indurre cambiamenti nell’immagine corporea e nel disturbo dell’immagine corporea. Infatti, proseguendo su questo terreno di ricerca, Mölbert et al. (2018) hanno indagato il disturbo dell’immagine corporea in 24 donne con anoressia nervosa e 24 partecipanti senza manifestazioni cliniche, creando avatar tridimensionali realistici con un range di ±20% del peso delle partecipanti, e testando la loro capacità nella stima del proprio peso corporeo nelle diverse situazioni sperimentali. È emerso che l’intero campione sottostima il proprio peso, e questo risultato contraddice i risultati diffusi sulla sovrastima del peso delle donne con anoressia nervosa. Gli autori spiegano questo risultato in controtendenza, facendo riferimento ad atteggiamenti distorti sul peso corporeo desiderato, che han portato le partecipanti a selezionare gli avatar con il corpo soddisfacente.

Corno et al. (2018) hanno esplorato il disturbo dell’immagine corporea in un campione di 27 donne non cliniche, che possono scegliere un corpo virtuale simile al proprio, in base alla propria percezione della rappresentazione del proprio corpo, tra una vasta gamma di avatar 3D. L’insoddisfazione corporea, il disagio corporeo e l’evitamento corporeo sono stati valutati durante le esposizioni virtuali. L’insoddisfazione corporea è emersa come predittore di sottostima e sovrastima del corpo ed il disturbo dell’immagine corporea è emerso maggiormente nella situazione allocentrica, piuttosto che in quella egocentrica. Infatti, questo studio prende quindi in considerazione una differenza importante che tutti gli studi sull’immagine corporea nella iVR dovrebbero considerare, cioè la differenza tra la visione egocentrica e quella allocentrica.

La visione egocentrica è definita come visione in prima persona sul proprio corpo, è basata sullo stato presente del corpo e derivata da input sensoriali concreti; mentre la visione allocentrica è definita come visione in terza persona sul proprio corpo, ed è basata sulla memoria del corpo, derivante da una conoscenza astratta: la somato-rappresentazione (Riva et al., 2014). La persona che soffre di disturbo dell’immagine corporea ha una memoria negativa sul proprio corpo, e potrebbe avere delle difficoltà ad aggiornare la memoria con nuove informazioni sulla visione egocentrica, rimanendo bloccata in una rappresentazione negativa, anche se incoerente con ciò che è percettivamente visibile nel presente (Riva & Gaudio, 2017; Riva, 2018).

In uno studio del 2018 (Serino et al., 2018), è stata riscontrata una relazione tra età del partecipante e risposta alla body illusion. Questo non era il primo studio ad indagare questa relazione, infatti nel 2013, Cowie et al. hanno dimostrato come i bambini sono più abili ad illudersi che la mano di gomma sia la propria rispetto ai giovani adulti, e così i soggetti giovani (giovani adulti di età media 27.7) sono più abili ad illudersi e dunque ad incarnarsi in corpi diversi, rispetto agli adulti più anziani (età media 65.9 anni) (Ka’llai et al., 2017). La novità dello studio di Serino (2018) è stata quella di esplorare il ruolo delle differenze di età sulla rappresentazione del corpo in seguito ad un’illusione corporea in realtà virtuale, basata sulla dicotomia magrezza-grassezza dell’addome. Indipendentemente dalle differenze di età, tutti i partecipanti hanno sperimentato buoni livelli di embodiment, ad eccezione del senso di agency. Eppure, quest’ultima constatazione era già prevista dai ricercatori, dato che nel setting sperimentale non era prevista la possibilità che l’avatar interagisse con l’ambiente. Il campione comprendeva quaranta donne dai 18 ai 55 anni, ed era diviso in due gruppi: (i) età 19-25; (ii) età 26-55. L’illusione corporea coinvolgeva corpi con un addome magro e i ricercatori hanno studiato la rappresentazione corporea dei partecipanti dopo l’esperienza in realtà virtuale. I risultati mostrano che i partecipanti del gruppo 1 (19-25) hanno mostrato una maggiore flessibilità nel percepire i cambiamenti nel loro corpo, mentre i partecipanti del gruppo 2 (26-55), hanno mostrato una maggiore resistenza a cambiare la loro rappresentazione del corpo dopo l’illusione del corpo magro, confermando i risultati dei precedenti studi.

Da questa concisa rassegna bibliografica sulla body illusion in avatar 3D in realtà virtuale emerge il potenziale clinico dello strumento per lavorare su atteggiamenti, stereotipi e pregiudizi. Al contempo, i comportamenti messi in atto nel setting virtuale possono essere considerati acquisizioni di competenze che il soggetto ha fatto sue e che possono essere implementate in scenari non virtuali, in cui il corpo di riferimento è il proprio. Lo strumento diventerebbe dunque una palestra virtuale per moduli skills training (ad esempio social skills training con corpo “attraente” in base ai canoni di bellezza riconosciuti come tali dalla società o dal soggetto, ed eventualmente un passaggio sessione dopo sessione ad un avatar sempre più realistico, con il compito di continuare a portare avanti le competenze di socializzazione apprese e dunque i comportamenti di apertura all’altro messi in atto negli scenari 3D).

A livello clinico, il lavoro comportamentale ed emotivo, che può essere portato avanti grazie all’incarnazione in avatar 3D, lascia aperto un terreno di confronto tra terapeuta e paziente incentrato sulle credenze che un paziente può avere relativamente al proprio corpo. Infatti, in un recente articolo di Matsangidou e colleghi (2020) sulla terapia in VR a distanza, veniva usata la tecnica dell’esposizione relativamente all’immagine corporea, incarnando i partecipanti, ragazze con alta probabilità di sviluppare un disturbo alimentare nell’arco dei successivi 4 anni, in avatar personalizzabili e ponendole davanti ad uno specchio virtuale. In questo modo le partecipanti potevano condividere con il terapeuta i propri pensieri e le proprie emozioni relativamente al corpo e modificarlo strada facendo sempre con il supporto del terapeuta. Infatti, come ha riportato uno dei terapeuti intervistati durante lo studio è emerso che “durante questa sessione, la partecipante non solo è stata in grado di osservare, discutere e modellare il suo corpo, ma era anche in grado di condividere questa immagine con me. Il che mi ha messo nella posizione di aiutarla ad affrontare i suoi pensieri problematici”.

 

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