Il cyberbullismo deriva da cyberbullying, ossia bullismo digitale; rispetto al bullismo cambia il mezzo attraverso cui la vittima viene colpita da messaggi colmi di ogni forma denigratoria, offensiva e lesiva per la sua reputazione.
Il mondo virtuale, proprio per le sue caratteristiche aleatorie, potrebbe trarre in inganno molti di noi adulti e farci credere di essere superficiale, proprio perché non reale.
Grandissimo errore che può davvero costare la salute, in alcuni casi addirittura la vita, dei nostri figli o nipoti, spesso aggrappati ad un mondo fittizio, per svariati motivi: noia, mancanza o carenza di relazioni affettive, moda, paura, identità fragile. Ma se da una parte la connessione permette di superare il limite di tempo e spazio, dall’altra abitua le persone a non cercare più il vero contatto con l’altro, bensì uno schermo, attraverso cui sentirsi liberi di essere anche chi non si è. In questa era dell’illusorio, quelle forme già complesse di conflitto tra giovani, come il bullismo, possono davvero diventare pericolose per la stessa vita. Trasferire tale fenomeno nel web porta a conseguenze molto più gravose, soprattutto per la velocità della trasmissione delle informazioni e per la facilità con cui si può raggiungere la persona che si desidera colpire; persona che rimane letteralmente invischiata e incapace di liberarsi dalla tela costruita da questo macchinoso mondo virtuale che spesso, anziché placare, stimola quella forma di aggressività insita in ogni essere umano, che, se pur digitalizzata, è in grado di sferzare i colpi più duri e più pericolosi.
Quanto può essere potente la comunicazione?
In letteratura esistono numerose conferme a riguardo, ma attenzione che questo strumento così efficace può “far male più delle botte” (parole scritte da Carolina Picchio, citata nel testo, che ne ha pagate le conseguenze, suicidandosi all’età di 14 anni), se sfrutta il canale dei social, la cui presenza invasiva è ormai indiscussa.
Il cyberbullismo deriva da cyberbullying, ossia bullismo digitale, termine coniato dal canadese Bill Belsey nel 2004. Rispetto al bullismo cambia il mezzo attraverso cui la vittima viene colpita da messaggi colmi di ogni forma denigratoria, offensiva e lesiva per la sua reputazione. Mezzo attraverso cui si può diffondere a macchia d’olio un sms o un’immagine o addirittura un filmato sicuramente in maniera intenzionale, intenzionalità che sfugge, però, perfino all’autore dell’atto, diventando una potente arma contro l’altro, incapace di difendersi. In effetti il mezzo, ovvero il web, sfrutta la sua popolarità e la sua influenza, per diffondere male contro chi, magari per ingenuità, si ritrova ad essere il bersaglio in un preciso istante che diventa però, per lui, un’eternità. Gli autori, partendo dalle origini del bullismo, analizzano il contesto dell’era moderna, ormai immerso in un magma di follower, spesso dipendenti dalla stessa realtà illusoria (si parla, infatti, di Social Network Addiction o Friendship Addiction), realtà che mette in luce un profondo disagio nei giovani adolescenti, più propensi a chiedersi dove sia finito il proprio cellulare, piuttosto che farsi carico di domande esistenziali da sempre poste dall’uomo, sulla propria identità. Tale dipendenza, spiegano gli autori, mette in luce il forte senso di insicurezza dei giovani d’oggi che tentano di soffocarlo nell’apparenza delle cose, attraverso quella forma nuova di narcisismo digitale, in cui quel che conta è il numero di follower o i “mi piace” dei social. Ossia la mia identità dipende dal numero di click che ricevo, anche a scapito dell’altro, perché sono colpito da quel desiderio irrefrenabile di esibizione che prevarica su ogni forma di rispetto e di comprensione. Il mio essere preferisce vivere all’apparenza piuttosto che cercare la sostanza, galleggia sulla superficie per paura della profondità. D’altronde, come ben si mette in evidenza nel testo, su quel «Colosseo globale» rappresentato dai social, una persona apparentemente sicura di sé colpisce un’altra, anche in maniera spietata, ricevendo perfino il supporto diretto o indiretto di una massa di individui anonimi e frustrati che non fa che alimentare il fuoco della cattiveria e dell’aggressività. Perché, non si sa per quale arcano motivo, le persone in rete amano stare più dove prevalgono liti, polemiche e conflitti, piuttosto che in contesti dove si diffondono messaggi positivi e sani.
Nel primo capitolo, a partire dall’analisi delle origini dell’aggressività e del bullismo, si mette in evidenza quanto accade quando quest’ultimo viene portato sulla rete, informando il lettore su quei fenomeni di cyberbullismo nati proprio in questo mondo virtuale, che colpiscono maggiormente il genere femminile: dal sexting, ossia l’inviare foto in pose sexy, spesso in unione a messaggi o video dai contenuti sessualmente espliciti,-sempre testimonianza della fragilità adolescenziale e del bisogno di mettersi in mostra per essere ed esserci- al Revenge porn purtroppo il passo è breve. Quell’imprudente sexting si trasforma in una potente arma contro la stessa ragazza che ritrova le sue foto sul web, diffuse in un nano secondo, magari dal suo stesso ex fidanzato, allo scopo di danneggiarne la reputazione. Un fenomeno altamente preoccupante, indice di allarme sia per i genitori che per gli educatori. E su questo punto gli autori tornano più volte, mettendo in evidenza la necessità, in un momento storico così confuso, di un’educazione sana e profonda ai sentimenti, un’alfabetizzazione emotiva che deve partire dall’infanzia, per far sì che il bambino impari a conoscere i propri stati mentali, ma anche quelli altrui, unica maniera per riuscire a “mettersi nei panni dell’altro” e costruire così relazioni sane e reali. Un messaggio importante traspare dalla lettura del testo, ossia la ricerca della propria identità e della propria felicità in sé stessi e non negli altri, la costruzione del proprio essere attraverso la qualità e non la quantità effimera di amici, molto semplicemente meglio “pochi ma buoni”.
Nel secondo capitolo si affronta l’analisi della figura del bullo e di quella della vittima, del cyberbullo e della cybervittima, cercando di delineare anche le principali caratteristiche presenti nelle famiglie di origine. Se si pensa, bullo e vittima potrebbero essere definiti come le due facce di una stessa medaglia, in quanto entrambi risentono fortemente di un’identità poco definita ed estremamente fragile. Da una parte il bullo, nella definizione del proprio status adolescenziale, tenta di ottenere una conferma nella sua posizione sociale attraverso le sue malefatte, non rendendosi conto della futilità dei vantaggi perseguiti. Dall’altro la vittima, spesso ha difficoltà relazionali con i compagni di classe, un senso di non appartenenza al gruppo dei pari e anche possibili problematiche di carattere psicosomatico o ansia e depressione; tutto questo porta la stessa, presa in giro dai suoi coetanei, a rispondere in maniera aggressiva o offensiva, incapace di gestire quella rabbia repressa che spesso sfocia in altrettanta cattiveria. Per quanto concerne le famiglie delle due parti, ben si evidenzia nel testo quali fattori possano interagire con le singole caratteristiche dell’individuo e del contesto, contribuendo a formare le due figure citate. Nella famiglia della vittima si evidenziano una scarsa comunicazione, spesso uno stile genitoriale troppo permissivo ed una eccessiva preoccupazione per il proprio figlio, che possono essere considerati fattori predittivi della condizione di vittima. Nella famiglia del bullo la letteratura evidenzia atteggiamenti dei caregiver privi o carenti di affetto e coinvolgimento, scarsa coesione e mancata comunicazione (Bowers, Smith e Binney, 1992), ma anche possibili tendenze paranoidi, attacchi verso l’altro, assenza di senso di colpa (Patterson et al., 1984; Ross, 1996). Proprio in virtù di questa analisi approfondita, gli autori sottolineano la necessità da parte dei famigliari e della scuola di un intervento atto a far comprendere e definire i limiti da non superare, senza atteggiamenti estremamente coercitivi, ma nemmeno troppo permissivi, in continua armonia ed accordo tra le due parti, ponendo l’accento su quella «sintonizzazione emotiva» fondamentale nello sviluppo e nella crescita del singolo individuo. Oltre a tali figure, viene anche delineato il profilo dell’osservatore, che nelle varie declinazioni, ossia sostenitore, spettatore neutrale, difensore della vittima, è presente sullo scenario come partecipante e dunque fattore interagente nei fenomeni di bullismo e cyberbullismo.
Nel terzo capitolo i due autori propongono un metodo di intervento definito «metodo antibullismo 7C», dove regna sovrana la capacità genitoriale ed educativa di saper insegnare ai bimbi, fin dalle elementari, a gestire le emozioni, anche rispetto a probabili prese in giro che caratterizzano la quotidianità, affinché apprendano a gestire anche piccole frustrazioni, momenti di difficoltà relazionale, per non divenire succubi degli eventi. Tutto questo, però, come ben sottolineano gli autori, deve partire innanzitutto dalla famiglia, un modello essenziale che il bambino prende come punto di riferimento e che pertanto non può caricarsi di contraddizioni, ma deve essere essa stessa capace di lavorare sulle proprie emozioni. Il metodo antibullismo 7C si caratterizza da parole chiave come consapevolezza, mantenere la calma, avere conoscenza di sé, comprensione dell’altro, ristrutturazione cognitiva della presa in giro, creatività e importanza nel far leva sul gruppo classe, anche attraverso dei piccoli giochi di role playing sia a casa che a scuola, che permettono al bambino di imparare a gestire situazioni di difficoltà, cercando di mantenere un atteggiamento empatico, gentile e assertivo.
Nel quarto e ultimo capitolo gli autori, a partire dal concetto di Losada Line, così definito dal nome dello psicologo cileno Marcia Losada che collaborò in una ricerca in ambito lavorativo con Barbara Fredrickson, puntano sulla presa di coscienza da parte del lettore della necessità di una maggior numero di pensieri positivi per riuscire a controbilanciare quelli negativi. La società attuale, in effetti, è concentrata su quelle che sono notizie di cronaca nera, scandali, violenza, che ricevono maggior audience da parte delle persone, con il rischio che gli stessi giovani finiscano per prediligere comportamenti volti alla trasgressione e alla violenza. È necessario, spiegano i due autori, poggiare su una psicologia positiva che cerchi di «immunizzare i figli dal bullismo». Un metodo che, sulla base di quanto detto, punti sulla prevenzione da fenomeni come il bullismo e il cyberbullismo, attraverso buoni insegnamenti come il fare bene agli altri, cercando nel possibile di non essere mai prevenuti o avere pregiudizi rispetto ai comportamenti altrui e, dunque, cercando di imparare a gestire e a trattenere gli istinti e l’irrazionalità a favore di un maggiore desiderio di conoscenza dell’altro, di una maggiore propensione a fare del bene, ispirati dalla voglia di cogliere nella vita quello che di bello esiste e non fossilizzandosi su quanto di negativo ci circonda. Vorrei riportare una frase del libro attraverso cui gli autori, citando A. de Botton, riassumono in maniera incantevole quanto di importante è stato analizzato in questo capitolo: «La notte è ancora più riccamente colorata del giorno… Se solo vi presti attenzione, ti avvedi che talune stelle sono giallo limone, altre emettono un chiarore rosato, altre irradiano aloni verdastri, azzurrini e blu nontiscordardimé».
Si tratta di un testo sicuramente rivolto a tutti, esperti e non, che permette al lettore di approfondire problematiche fortemente attuali, allo scopo di comprenderle e aiutare i nostri figli, nipoti, alunni a rendersene «immuni».