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Gli stati della mente nell’incontro con la realtà fisica

Grazie alle relazioni si disegnano e designano spazi e tempi, per crescere, arricchirsi e valorizzare le nostre chiavi di lettura: gli stati della mente

Di Cristi Marcì

Pubblicato il 06 Set. 2021

Lo stato della mente sembra essere un work in progress, una scoperta ed un arricchimento continui.

 

L’elaborazione e la coordinazione delle informazioni rappresentano due funzioni, che a partire dalle fasi iniziali della propria crescita risentono di un contributo relazionale ed ambientale, i quali a loro volta consentono di acquisire una prima chiave di lettura.

La mente infatti non solo è soggetta a continui cambiamenti e sviluppi, ma è capace di costruire ogni singolo momento della realtà, apportando ulteriori modifiche, siano esse positive o negative. Quello che emerge è uno “stato della mente”, che permette al cervello di raggiungere una coesione funzionale, adattiva e sempre pronta ad arricchirsi.

Tale concetto lo si può definire come l’insieme dei pattern di attivazione all’interno del cervello in un determinato momento (Siegel, J. D., 2001). Quasi come vi fosse una sincronia volta al raggiungimento di un’omeostasi, connotata dalla collaborazione di più centri nervosi uniti nel fornire una base o meglio ancora un supporto. Infatti si vengono a riscontrare processi in sinergia tra loro e che risultano assemblati in uno stato di attività temporaneo, che consente di massimizzare la loro efficacia e la loro efficienza (Plaut, D., 2010, Thagard, P., 2002).

Gli stati della mente sono inoltre funzionali perché permettono un adattamento costante e progressivo da parte del soggetto nei confronti dell’ambiente.

Infatti in relazione al significato che ricopre durante lo sviluppo, lo si può concepire come una grande risorsa dalla quale attingere sempre più strumenti e soprattutto come una realtà o una dimensione che permette l’incontro. Grazie al contributo del fisico Carlo Rovelli (2015), infatti, si può intendere tale incontro come un’influenza reciproca, come un’evoluzione e mai come qualcosa di statico.

Come sostenuto dall’autore “il mondo delle cose esistenti è ridotto al mondo delle interazioni possibili”, sottolineando come la nostra identità non venga tanto descritta nella sua semplice essenza, quanto come il risultato di fluttuazioni, cambiamenti ed imprevisti, resi possibili grazie a questo scambio.

La realtà non solo è “ridotta” a interazione ma essa è soprattutto relazione. Sotto quest’ultimo profilo la realtà sembra dunque acquisire non solo caratteristiche esterne nell’ottica di uno scambio, ma anche qualcosa di interno, di intimo, che grazie alle nostre capacità di rappresentazione ci è possibile ridefinire entrando in relazione con noi stessi, entrando in relazione con quello che è la nostra chiave interpretativa del mondo e della nostra identità rispetto ad esso, dando vita, come detto prima, ad uno stato della mente.

Considerando quindi la realtà come vero e proprio incontro, si delinea una chiave di lettura più specifica ed è su questa lunghezza d’onda che Rovelli richiama l’attenzione sul concetto della velocità, che in breve descrive non tanto come una semplice proprietà fisica, bensì come un fattore, meglio ancora come una risorsa. Questa risorsa infatti non la si può tracciare solo su di un oggetto, ma acquisisce valore e dinamismo, dunque la sua qualità di moto, se ad esser presente è un oggetto rispetto ad un altro oggetto.

Le caratteristiche di un oggetto sembrano esistere solo rispetto ad altri oggetti, ovvero nell’incontro con l’altro (Rovelli, C., 2015).

Risulta possibile inoltre riconnettere tale principio alla sfera relazionale, in quanto è grazie alle relazioni che si disegnano e si designano gli spazi e i tempi, per crescere, arricchirsi della propria esperienza e per valorizzare le nostre chiavi di lettura: i nostri stati della mente.

Questa connessione tra la dimensione della fisica quantistica e la neurobiologia riflette e conferma il significato che la relazione assume rispetto al mondo esterno e al mondo intrapsichico, di cui ciascuno di noi è il proprio custode. È utile perché permette di capire come “non sono le cose che possono entrare in relazione, ma sono le relazioni che danno origine alla nozione di cosa”, permettendo l’acquisizione del simbolo, del significato. Viene così a delinearsi il concetto di “processo” collegabile con il concetto dello “stato della mente” in quanto il comune denominatore che li collega altri non è che l’interazione e il passaggio da una fase all’altra (Rovelli, C., 2015, Siegel, J. D., 2001).

Un passaggio promotore di arricchimento e di cambiamenti, come già detto, sia a livello intrapsichico che neurobiologico.

Se il punto di vista fisico serve a capire come l’incontro poggi le sue basi su una dimensione esterna, al contempo quello neurobiologico riflette come esso modifichi ciò che di più interno è in ciascuno di noi.

Infatti è possibile notare come, sotto quest’ultima dimensione, i circuiti cerebrali determinino lo sviluppo di pattern di attivazione che corrispondono a simboli e che prendono il nome di rappresentazioni.

Questi pattern non solo contengono delle informazioni ma allo stesso tempo determinano altri processi che a loro volta rappresentano ulteriori informazioni aggiuntive. Al di là del profilo di eccitazione viene a prendere forma l’elaborazione dell’informazione da parte della mente. Infatti viene a delinearsi, prevalentemente in base alla funzione svolta dai caregiver, una concatenazione di ulteriori attivazioni neurali che riflettono non solo un dinamismo ma anche la funzione di “processo” che arricchisce e co-costruisce la nostra identità rispetto a quanto ci circonda e a come percepiamo.

Le diverse forme di rappresentazione derivano da pattern di eccitazione che trovano la loro localizzazione in zone differenti dei circuiti neurali. L’aspetto peculiare risiede nel fatto che la localizzazione conferisce una specificità alla propria esperienza delle rappresentazioni mentali, che, da una parte plasmano il contenuto delle informazioni e la loro qualità soggettiva, ma dall’altra non sempre risentono di un buon collegamento funzionale e adattivo (Anders, S. L., 2008).

Ciò che emerge sono quindi due chiavi di lettura rispetto alle quali il soggetto si trova inserito. Due linee guida che permettono di capire quello che tutti noi vorremmo ottenere.

Infatti l’obiettivo che ciascun soggetto vorrebbe raggiungere si riflette in un’omeostasi e dunque un equilibrio, caratterizzato dalla coordinazione di “un’ampia gamma di attività cerebrali”. Quello che viene da chiedersi è se le varie funzioni, sia superiori che inferiori, risentano di una buona maturazione e di una buona coordinazione. Nondimeno un ulteriore aspetto riguarda non tanto il tempo, quanto la temporaneità o meglio ancora l’apparente simultaneità, con cui venendosi a creare un’associazione ed un collegamento, si determina uno stato della mente (Beer, J., 2006).

Infatti la coordinazione sembra richiamare in causa il concetto di “temps perdu” introdotto da H.V. Helmoltz (1850), tramite il quale si può avere la sensazione dello scorrere del tempo, correlabile ad una maturazione delle funzioni cerebrali che permettono una rapida elaborazione dell’informazione (Benini, A., 2017).

Inoltre questa serie di collegamenti non solo riflette la “simultaneità” ma anche l’influenza rispetto alle nostre interazioni con gli altri.

Più nello specifico, lo stato mentale sembra essere un work in progress, una scoperta ed un arricchimento continui che, a partire dalle prime fasi dello sviluppo, risente del ruolo del “grado” e della “direzione” del coinvolgimento affettivo e soprattutto della coordinazione temporale.

Quest’ultimo aspetto risulta interessante perché mette in evidenza un ulteriore concetto, quello del “timing”. Esso riflette il livello di corrispondenza degli schemi temporali fra i rispettivi partner, ma contemporaneamente il grado di maturazione delle nostre rispettive funzioni, alimentate e “nutrite” dalle modalità relazionali ed interpersonali che si iniziano ad acquisire e che evidenziano sempre più il concetto di “processo”.

Per l’appunto gli schemi temporali fanno riferimento a quattro fattori quali la velocità, le pause, il tempo di reazione, l’interruzione e l’alternanza dei turni. In riferimento a questi ingredienti viene da chiedersi se vi sia una buona coordinazione del “timing interpersonale”, in cui ad emergere non è soltanto la sequenza di comportamenti paralleli, ma anche le capacità di autoregolazione e, come detto prima, il grado di maturazione delle proprie funzioni che nel loro incontro permettono uno sviluppo sempre più dinamico.

La coordinazione serve inoltre a sottolineare una delle modalità principali con cui le relazioni sociali iniziano ad essere organizzate ed è essenziale per comprendere il funzionamento delle rappresentazioni pre-simboliche.

Come sottolineato da Beebe e Lachmann (2005) viene ad emergere una “impronta temporale” dell’interazione in cui ciascun attore della relazione stessa valuta i ritmi dell’altro, che gli consentono di attribuire un significato ai propri.

Lo stato della mente sembra quindi acquisire una prospettiva multi-fattoriale, in cui ad esser chiamati in causa sono i processi percettivi, il tono e la regolazione delle emozioni, i processi di memoria, i modelli mentali e infine le risposte comportamentali. Nel loro insieme rappresentano dei fattori che assumono un significato ed una collocazione all’interno di una cornice fatta di ricordi, percezioni, sentimenti, pensieri e soprattutto credenze. Una cornice che tende a strutturarsi sulla base delle relazioni interpersonali e in base alle rispettive rappresentazioni.

 

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Cristi Marcì
Cristi Marcì

Psicologo, Specializzando in Psicoterapia

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Anders, S. L., Fincham, J. M., Stocco, A. (2008), “A central circuit of the mind “, In Trends  Cognitive Sciences, 12, 4, p. 136-143.
  • Beebe, B., Lachmann, F. (2005), “A dyadic systems view of communication”.
  • Beer, J., John, O., Scabini, D. (2006), “Orbitofrontal cortex and social behavior: Integrating self-monitoring and emotion-cognition interactions “. In Journal of Cognitive Neuroscience, 18, 6, p,  871-879.
  • Benini, A. (2017), “Neurobiologia del tempo”, Raffaello Cortina Editore, Milano, p. 14
  • Helmholtz, V. H., Barth, J. A. (1850), “Uber die Fortpflanzunggeschwindigkeit der Nervenreizung. Trd. It  avanzamento progressivo dello stimolo nervoso.
  • Plaut, D., McClelland, J. (2010), “Locating object knowledge in the brain: Comment on Bowers’s attempt to revive the grandmother cell hypothesis”, in Psychological Review, 117, 1 , p. 284-288.
  • Rovelli, C. (2015), “La realtà non è come appare. La struttura elementare delle cose”, Raffaello Cortina Editore, Milano, p. 118.
  • Siegel, J. D. (2001), “La mente relazionale”, Raffaello Cortina Editore, Milano 2013, p.18
  • Thagard, P. (2002), “Coherence in Tought and Action”, MIT Press, Cambridge.
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