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Il ruolo dell’interocezione nel disturbo da uso di sostanze: dal ruolo dell’insula alle implicazioni cliniche

I meccanismi di feedback corporeo, come l'interocezione, possono aiutare a comprendere i processi sottostanti al disturbo da uso di sostanze

Di Rosita Borlimi, Alessandro Basciano, Mattia Nese

Pubblicato il 07 Set. 2021

L’interocezione consiste nella percezione dei segnali provenienti dal nostro corpo, costituisce un elemento essenziale per l’omeostasi e influenza i processi cognitivi ed emotivi. Le alterazioni interocettive sono associate a diversi disturbi psicologici, diverse ipotesi riguardano un suo coinvolgimento nella spiegazione e trattamento del Disturbo Correlato a Uso di Sostanze.

 

Attualmente la diagnosi di Disturbo da Uso di Sostanze (Substance Use Disorder, SUD) del DSM-5 si riferisce a schemi comportamentali e cognitivi patologici caratterizzati dall’uso continuato di una sostanza o la messa in atto di un determinato comportamento nonostante i significativi problemi associati (APA, 2013). Negli ultimi anni, la ricerca sui modelli animali ha permesso di delineare gli aspetti neurobiologici della dipendenza da sostanze, focalizzandosi sul ruolo del sistema dopaminergico in relazione all’assunzione compulsiva di sostanze (Koob et al. 2004). Tali modelli pongono l’accento sul ruolo degli effetti gratificanti delle sostanze d’abuso che si consolidano a causa del rilascio cronico di dopamina da parte dei neuroni del sistema mesolimbico, alterando di conseguenza il “sistema di ricompensa” deputato alla percezione del piacere (Wise & Bozarth, 1987; Berke & Heyman, 2000).

Negli anni, la ricerca scientifica ha progressivamente riconosciuto l’importanza dei meccanismi di feedback corporeo – e più specificamente dell’interocezione – nei modelli di dipendenza patologica, contribuendo all’elaborazione di spiegazioni plausibili dei meccanismi psicologici e neurali sottostanti al disturbo (Verdejo-Garcia, Clark & Dunn, 2012).

Con il termine interocezione si intende la percezione della condizione fisiologica del corpo, la rappresentazione cosciente dello stato interno nel contesto delle attività in corso e l’avvio di un’azione motivata per regolare omeostaticamente lo stato corporeo interno (Craig 2007). Comprende una serie di meccanismi attraverso i quali i segnali fisiologici periferici vengono inviati al cervello e processati. Essa sottostà alla consapevolezza riguardo le proprie sensazioni corporee (es. dolore, tatto, temperatura), consentendoci di rispondere alla domanda “Come mi sento?” (Craig, 2002).

Considerando i cambiamenti marcati nella fisiologia corporea che le droghe d’abuso apportano nell’individuo, e gli effetti dell’interocezione sui sistemi emotivi, di ricompensa, controllo emotivo e decision-making (Paulus & Stewart, 2014), la comunità scientifica ritiene attualmente plausibile un coinvolgimento dell’interocezione nello sviluppo e mantenimento della dipendenza.

Interocezione e dipendenze: il ruolo dell’insula

Lo studio dell’interocezione per la caratterizzazione della psicopatologia può essere inserito nell’area della cosiddetta embodied cognition, un insieme di teorie fondate sul principio che l’elaborazione cognitiva e affettiva superiore sia radicata nelle esperienze sensoriali e motorie dell’organismo (Winkielman, 2009). In tale maniera, un determinato stato emotivo rimane intrinsecamente associato ad un determinato stato corporeo interno.

Alla base di tali meccanismi di apprendimento e percezione si trova la corteccia insulare, nota come hub interocettivo (Paulus & Stewart, 2014). L’insula può essere divisa in almeno due regioni con due funzioni differenti: mentre l’insula anteriore è attivata tramite uno sforzo cognitivo, l’area posteriore viene sollecitata da interocezione ed emozioni (Paulus & Stewart, 2014). I segnali sensoriali convergono nel sistema nervoso centrale tramite le vie periferiche che confluiscono nella parte destra dell’insula anteriore. Quest’ultima integra le interocezioni con gli stati emotivi, con le motivazioni e con la consapevolezza corporea, poiché le fibre nervose efferenti dell’insula si interconnettono con svariate strutture implicate in emozioni e ricompensa tra cui l’amigdala e il nucleus accumbens (Navqi & Bechara, 2009), formando un complesso network di circuiti cerebrali.

Considerando che l’attivazione insulare avviene principalmente quando vengono sperimentati stati emotivi intensi – sia positivi che negativi – (Damasio et al., 2000) ed è implicata nel decision-making in situazioni di stress e rischio (Clark et al., 2008; Preuschoff et al., 2008), è stato ipotizzato che il feedback corporeo influenzi significativamente i processi cognitivo-affettivi.

L’influenza della corteccia insulare nei disturbi da addiction è stata evidenziata in studi di neuroimaging su campioni di tossicodipendenti, i quali hanno individuato una iperattività della corteccia insulare in presenza di stimoli esterni associati a sostanze (Volkow et al., 2010), e una sua ipo-funzione durante il controllo dei processi cognitivi (Kaufman et al., 2003; Paulus et al., 2005; Hester et al., 2009). Nello specifico, studi su lesioni dell’insula – tendenzialmente in seguito a ictus – in campioni di pazienti affetti da tabagismo hanno rilevato una propensione maggiore alla remissione totale dalla dipendenza di tale campione rispetto al gruppo di controllo che non riportava danni insulari (Navqi et al. 2007), oltre che a esperienze di craving e astinenza più attenuate.

È stata dunque avanzata l’ipotesi che l’insula sia una struttura neurale chiave nella rappresentazione degli effetti interocettivi connessi all’utilizzo di droghe, tra cui gli effetti sensoriali e autonomi delle vie aeree per quanto riguarda fumo di sigaretta, il gusto dell’alcol, gli effetti simpaticomimetici della cocaina e il dolore dell’iniezione endovenosa (Navqi & Bechara, 2009).

La mappatura degli effetti interocettivi dell’uso di droghe all’interno dell’insula costituirebbe quindi una fase di elaborazione neurale necessaria che dà luogo all’apprezzamento consapevole di questi effetti.

Implicazioni cliniche

In ambito clinico, il ruolo dell’interocezione nei disturbi da uso di sostanze è stato studiato per via della sua funzione regolatrice degli stati emotivi legati a piacere e ricompensa nei casi in cui questi ultimi permettano un ritorno ad uno stato di omeostasi.

Uno degli elementi chiave nel mantenimento del disturbo sarebbe dunque un’alterazione dell’interocezione, caratterizzata dalla generazione di marker somatici associati ad azioni come l’assunzione di una sostanza d’abuso. In tal senso, determinate sensazioni corporee (cambiamenti della frequenza cardiaca, sudorazione, tensione muscolare) andrebbero a creare previsioni e simulazioni nel cervello di ciò che ci si aspetta che accada nel corpo (Verdejo-Garcia et al., 2014), alterando considerevolmente la percezione del rischio associato al consumo e, di conseguenza, i processi cognitivi di decision making.

Da un punto di vista clinico, la letteratura scientifica converge sul fatto che valutare la sensibilità dell’interocezione individuale orienterebbe al meglio i pazienti affetti da disturbo da uso di sostanze nella scelta di un trattamento terapeutico tra i diversi approcci esistenti. Si ipotizza che un’elevata interocezione renderebbe il paziente più propenso a sperimentare un’intensa esperienza di craving, un notevole stato umorale negativo e un’intensa percezione dello stress, aumentando significativamente la vulnerabilità dell’individuo alle ricadute (Verdejo-Garcia et al., 2014). In tal senso, interventi mirati alla distinzione tra stati interocettivi negativi comuni da quelli correlati alle sostanze e all’astinenza apporterebbero una maggiore consapevolezza del proprio corpo, ridimensionando il più possibile i bias cognitivi nella valutazione dei propri stati interni.

Per quanto riguarda invece gli interventi volti a modificare l’interocezione, negli ultimi decenni sono stati proposti interventi di biofeedback – orientati verso l’auto-regolazione e al controllo delle funzioni corporee involontarie – e di terapia di esposizione interocettiva per la prevenzione delle ricadute in situazioni di stress elevato (Sokhadze et al., 2008).

Ad oggi, il disturbo da uso di sostanze resta una patologia notevolmente complessa per via dell’eterogeneità della sua eziologia e a causa degli svariati fattori di mantenimento associati ad essa. Considerando che non sono state ancora ottenute prove dirette di possibili deficit di interocezione nelle dipendenze, la letteratura scientifica e il lavoro clinico necessitano ancora ulteriori ricerche e approfondimenti. In particolare, è necessario porre maggiore attenzione sulla effettiva relazione mente-corpo nelle dipendenze, in modo tale da delineare in che misura l’interocezione agisce sul mantenimento del disturbo e sulle ricadute. La ricerca permetterebbe di evidenziare elementi specifici della consapevolezza corporea – spesso trattata in maniera parziale – da integrare in interventi mirati nelle attuali procedure terapeutiche.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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