Con Disturbi dello sviluppo sessuale (DSS) si intende un ampio spettro di disturbi congeniti caratterizzati da incongruenze nelle componenti coinvolte nella differenziazione sessuale, che causa, in prima istanza, difficoltà nell’attribuzione alla nascita di uno specifico genere (Fisher et al., 2016).
Queste anomalie sembrerebbero derivare da incongruenze presenti nelle varie fasi dello sviluppo sessuale e psicosessuale del soggetto. Ad oggi, è infatti appurato che lo sviluppo del genere biologico non sia legato esclusivamente a variabili di tipo genetico, ma che l’intero processo si articoli in più fasi di differenziazione consecutive che riguardano componenti genetiche, cerebrali ed ormonali la cui interazione concorre alla formazione dei fenotipi maschili e femminili (Jost, 1972). Una delle ipotesi più accreditate rispetto all’eziologia di questa classe di disturbi riguarda la possibilità che i processi di differenziazione sessuale a livello genitale e cerebrale, avvenendo in tempi diversi durante lo sviluppo fetale, possano essere indipendenti l’uno dall’altro e, quindi, non mostrare sempre esiti coerenti tra loro (Bao & Swaab, 2011). È perciò possibile che i livelli di mascolinizzazione cerebrale e genitale non siano congruenti e che alla nascita si riscontri un’ambiguità a livello di caratteri sessuali primari (Fisher, 2016). Con il termine-ombrello intersessuale, si indica quindi qualsiasi individuo che presenti queste manifestazioni, attualmente fatte rientrare nella categoria diagnostica dei disturbi dello sviluppo sessuale (Zucker, 2002).
Dai dati emersi risulta evidente come lo sviluppo sessuale non sia legato solo a componenti biologiche, ma anche a fattori di natura psicologica e sociale. Dal momento che i DSS si diagnosticano a partire da un’incongruenza tra le componenti cromosomiche, gonadali e fenotipiche, non stupisce che uno degli aspetti più complessi da affrontare nel caso di genitali ambigui sia l’attribuzione chirurgica del sesso e, di conseguenza, la scelta da parte dei genitori anche del ruolo di genere da attribuire al nascituro (Fisher, 2016).
Per anni si è seguita la prassi suggerita da Money (1975) di assegnare il genere al neonato il prima possibile e, altrettanto celermente, procedere con l’assegnazione chirurgica. Le linee guida dell’autore sottolineavano la necessità di attribuire il genere in base a parametri legati all’estetica, o meglio agli interventi chirurgici più semplici da eseguire, e alla fertilità.
Questa prassi è ad oggi ambito di dibattito all’interno del mondo scientifico, a fronte di numerosi casi di persone intersessuali che negli anni hanno sviluppato disforia di genere, descritta dal DSM 5 come una marcata incongruenza tra il genere assegnato alla nascita e quello con cui ci si identifica, che causa forti livelli di distress emotivo (APA, 2013). Un altro motivo per cui la pratica di Money è ad oggi contestata riguarda la testimonianza di alcuni pazienti che, sottoposti alla pratica di riattribuzione sessuale in tenera età, hanno riportato di aver vissuto questa pratica come una violazione dei loro diritti (Chase, 1998).
La disforia di genere non è però la sola problematica a dover essere indagata nelle persone con disturbi dello sviluppo sessuale. Le persone intersex sembrano anche manifestare livelli di distress psicologico superiori a quelli sperimentati dalle persone non-intersex, soprattutto nel periodo puberale (Fisher et al., 2016). Nel dettaglio, le persone intersex manifestano difficoltà maggiori ad iniziare relazioni intime, legate alla paura di essere rifiutati per via delle proprie caratteristiche corporee sessuali (Sandberg et al., 2012). Inoltre, uno studio del 2016 (Fisher et al.) ha evidenziato una forte insoddisfazione delle persone intersex a livello della qualità percepita delle relazioni sessuali, immagine corporea, relazioni sociali e soddisfazione per quanto riguarda il sistema binario di attribuzione del genere.
Nello specifico, sono a disposizione ulteriori dati riguardanti diversi aspetti di salute mentale in persone con sindrome di Klinefelter. Questo disturbo è dovuto alla presenza di un cromosoma X aggiuntivo (XXY), comporta bassi livelli di testosterone dopo l’adolescenza, infertilità, testicoli di dimensioni ridotte e sviluppo delle mammelle (Plomin et al., 2018). In relazione al ruolo del cromosoma X nel determinare l’eventuale insorgenza di psicopatologia, si cita una maggiore vulnerabilità nei pazienti con sindrome di Klinefelter a sviluppare disturbi che rientrano nello spettro della schizofrenia (Van Rijn et al., 2006). Altri disturbi riscontrabili con incidenza maggiore in questa popolazione sono i disturbi della condotta, ansia e depressione, deficit nel controllo degli impulsi e un rischio più alto della popolazione generale di sviluppare ADHD o autismo (Giagulli et al., 2018).
Alla luce di questi dati, risulta essenziale proporre un supporto psicologico specifico e specializzato ai soggetti con diagnosi di disturbi dello sviluppo sessuale e ai loro famigliari. In primo luogo, questi ultimi andrebbero supportati al momento della diagnosi medica e delle decisioni riguardanti quella che potrebbe divenire un’eventuale riattribuzione chirurgica del sesso al nascituro e incoraggiati ed educati a condividere con il figlio la verità riguardante la sua cartella clinica e la sua storia medica, in tempi e modi coerenti alla sua capacità di comprensione (Sandberg, 2012).
Inoltre, affiancare a questi pazienti un’équipe multidisciplinare, che comprenda anche un esperto di salute mentale, ridurrebbe la possibilità che si manifestino disturbi psichiatrici più avanti nella vita e aiuterebbe a ridurre i livelli di disforia (Fisher et al., 2016). Infine, un ulteriore aspetto che risulta essere fondamentale al benessere psicologico di questa popolazione è il supporto da parte dei pari che condividono gli stessi vissuti. Queste relazioni di normalizzazione e di condivisione delle sfide legate ai disturbi dello sviluppo sessuale sembrano essere particolarmente terapeutiche (Fisher, 2013).
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La rubrica fluIDsex è un progetto della Sigmund Freud University Milano.