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Aaron T. Beck, fondatore della Terapia Cognitiva, compie 100 anni

Aaron T. Beck, padre della Terapia Cognitiva, compie 100 anni il 18 luglio 2021. La vita e il contributo alla nascita della psicoterapia moderna

Di Redazione

Pubblicato il 17 Lug. 2021

Sono passato dall’essere uno psicoanalista impegnato all’essere uno psicoanalista non impegnato ad essere qualcosa di nebuloso, per poi diventare un terapeuta cognitivo.
(Beck, A. T., 2012)

Aaron T. Beck compie 100 anni, ribelle come un adolescente

Il 18 Luglio 2021 Aaron Beck compie 100 anni. Molti di voi conosceranno Beck, cosa rappresenta per la Psicoterapia Cognitiva, c’è chi avrà letto i suoi libri, studiato le sue teorie e applicato le sue tecniche. Pensieri automatici negativi, distorsioni cognitive, schemi cognitivi e triade depressiva saranno parte del vocabolario professionale dei più.

Ma quella di Aaron Beck non è solo la storia di uno dei padri della Psicoterapia Cognitiva, è una storia di cambiamento, del desiderio di definirsi in un mondo accademico che all’epoca iperdefiniva e dell’importanza del non accontentarsi dei dubbi ma dell’impegnarsi nel trovare risposte.

È quasi un ossimoro parlare del fatto che Aaron Beck compie 100 anni e immaginare il famoso terapeuta come un adolescente. Eppure quello che ha accompagnato Beck nella sua vita ricorda spesso un atteggiamento adolescenziale, segnato da una serie di confronti con l’altro, che l’hanno infine portato a trovare il suo posto in un mondo accademico all’epoca difficile da contrastare. Aaron Beck però non rinnegherà le sue “origini” e anzi, col suo esempio, ci insegna come la vita non sia un susseguirsi di date ma un fluire di eventi tra loro intrecciati, in cui anche le “sorprese” inizialmente più inspiegabili, ci possono preparare il terreno per qualcosa di più grande.

I 100 anni di Aaron Beck: le “soprese”, la tenacia, la ricerca e la clinica

Dopo una prima laurea con lode alla Brown University, Aaron T. Beck si iscrive a Medicina all’università di Yale, frequentando dapprima Neurologia e successivamente, per motivi curricolari, Psichiatria (Fiore, 2017). Con la Psichiatria avrà sempre un rapporto ambivalente: sente di non amarla ma sente di non poter smettere di studiarla (Beck, 2012).

Aaron Beck ricorda, in una sua intervista (Beck, 2012), di aver iniziato la sua carriera in un’epoca (tra il 1940 e il 1950) in cui il mondo accademico si divideva in psicoanalisti rigorosi e clinici più scettici verso la psicoanalisi. Beck inizia a notare, complice il percorso di analisi personale, che l’establishment psicoanalitico era – a suo dire – quasi una religione fatta di dogmi da non poter discutere. Ma, da colui che diventerà uno dei padri del disputing, cosa aspettarsi se non il mettere in discussione le verità che ci danno (e ci diamo) come assolute?

Inizia a fare ricerca, mosso dalla voglia di dimostrare le verità freudiane e di consentire ai più scettici di rivalutare la psicoanalisi. Si dedica alla depressione, cercando nei sogni dei pazienti depressi quei contenuti onirici indice di un’ostilità repressa, così come sostenuto da Freud (Rosner, 2014). Ma la “prima grande sorpresa” a detta di Beck, è che nei sogni dei pazienti depressi è presente spesso una scena di fallimento, abbandono, svalutazione, non derivante dal bisogno di punizione quanto (“seconda grande sorpresa”) dal bisogno di rassicurazione, di un rinforzo positivo, così come emerso dalle successive ricerche condotte ascoltando i racconti dei pazienti (Beck, 2012).

È allora che Aaron Beck spulcia la letteratura precedente e punta la sua attenzione sul concetto di cognizione. Forse ci sono dei processi di pensiero ad essere coinvolti nelle depressione. Tali processi prendono una svolta negativa, autocritica – si dice. Ma per capirne di più ha bisogno dei suoi pazienti.

Ricerca e clinica diventano per Beck un connubio imprescindibile: conoscere, imparare, migliorarsi, condividere con i colleghi, aprirsi al confronto con altri esperti (cosa che fa anche adesso che ha 100 anni) senza mai perdere di vista i pazienti e ciò che può davvero aiutarli.

È grazie ai suoi pazienti, in particolare una di questi che l’ha intrattenuto per un’intera seduta con le storie delle sue scappatelle sessuali per paura di sembrare una persona noiosa ai suoi occhi, che arriva al concetto di Pensieri Automatici Negativi. Ed è sempre dopo una seduta con un’altra paziente, che non credeva che Beck le stesse davvero dicendo “Lavoreremo insieme per aiutarti a superare il tuo problema”, che giunge a capire che i pensieri dei depressi presentano delle distorsioni cognitive.

Arriva ad intuire l’esistenza dei Pensieri Automatici Negativi, delle distorsioni cognitive, ma non si arrende e continua a volerne sapere di più: la domanda successiva da porsi è “Cosa facciamo una volta individuati tali pensieri e tali distorsioni?” Qui diventa centrale uno degli eventi più importanti dei 100 anni di vita di Aaron Beck: l’incontro con Albert Ellis.

Prende in prestito alcuni dei suoi pensieri e alcune delle sue tecniche, e inizia a esplorare, a indagare e valutare con i pazienti i loro pensieri automatici. Ciò che succede, la “terza grande sorpresa” è che quando inizia a mostrare alle persone il loro pensieri automatici, queste iniziano a migliorare. Nella sua intervista, Beck ci racconta che quella fu la nascita della sua terapia cognitiva (Beck, 2012).

Esplorare nella letteratura, così come nei pensieri dei pazienti.

Il resto è storia, negli anni a seguire Aaron Beck si è sempre spinto oltre, ha esteso le sue teorie alla Schizofrenia ad esempio, ottenendo risultati molto promettenti. La sua vita continua ad essere un susseguirsi di importanti pubblicazioni e di illustri riconoscimenti.

Aaron Beck compie 100 anni: cosa ci insegna

La voglia di Aaron Beck di porsi domande e cercare risposte non si è esaurita, continua anche oggi che ha 100 anni, è presente nel suo “The Beck Institute for Cognitive Therapy and Research” a Philadelphia, dove lavora con la figlia Judith, a cui ha trasmesso tutta la sua tenacia e la sua professionalità e con la quale si è dedicato (e qualche volta ancora si dedica) alla formazione di migliaia di terapeuti.

Per scelta abbiamo evitato il racconto dettagliato delle sue opere, delle pubblicazioni e dei suoi lavori, quel che abbiamo voluto sottolineare è ciò che ha portato a tutto questo: una curiosità che spinge ad andare avanti, senza mai rinnegare il proprio passato; un atteggiamento curioso nei confronti delle “sorprese” della vita, che spesso si fa motore di grandi rivoluzioni.

Nelle foto più recenti di Aaron Beck l’età che avanza è evidente, eppure lo sguardo da adolescente ribelle (e curioso!) spicca ancora. È strano: Aaron Beck compie 100 anni ma è stato ancora una volta lui a farci un grande regalo.

 

100 anni di Beck: un acrobata tra cognitivismo e psicoanalisi – Monografia

100 anni di Aaron T beck - Monografia

 

 


Aaron Temkin Beck è uno psichiatra americano e professore emerito nel dipartimento di Psichiatria dell’Università della Pennsylvania. Beck è considerato uno dei padri fondatori della terapia cognitiva. Il suo approccio terapeutico è ampiamente utilizzato nella pratica clinica. Attualmente, Beck è il Presidente Emerito del Beck Institute, in Pennsylvania, fondato nel 1994 da lui e da sua figlia Judith

La vita di Aaron T. Beck

Aaron T. Beck è nato a Providence, Rhode Island – USA, il 18 luglio 1921, ed è il figlio più giovane di quattro fratelli e sorelle di una coppia di immigrati ebrei. Beck si è sposato nel 1950 con Phyllis, primo giudice donna presso la corte appello della Commonwealth of Pennsylvania, da cui ha avuto quattro figli.

Beck ha frequentato la Brown University, laureandosi con lode nel 1942. Successivamente, è stato eletto membro della Phi Beta Kappa Society, ed è diventato redattore associato di The Brown Daily Herald. In seguito, Beck ha frequentato la scuola medica di Yale, dove si è laureato nel 1946.

Negli anni successivi aveva scelto di frequentare neurologia, ma vista la poca affluenza a psichiatria decise di cambiare indirizzo e fin da subito simpatizzò per la psicoanalisi. Nel 1950 Beck divenne psichiatra presso l’ Austen Riggs Center, ospedale psichiatrico privato nelle montagne di Stockbridge, Massachusetts, e vi rimase fino al 1952.

Beck, poi, si trasferì presso l’Università di Pennsylvania nel 1954 dove ha lavorato con Kenneth Ellmaker Appel, psicoanalista che fu presidente dell’Associazione Psichiatrica Americana, e contemporaneamente iniziò la formazione formale in psicoanalisi.

La prima ricerca eseguita da Beck è stata condotta con Leon Saul, psicoanalista noto per i metodi poco ortodossi applicati alla terapia. Insieme, svilupparono dei questionari per quantificare i processi dell’ego nel contenuto manifesto dei sogni.

Negli anni ’50 Beck iniziò ad alimentare una serie di dubbi nei confronti della psicoanalisi e, di conseguenza, sviluppò le prime teorie sulla depressione che cultimarono con la creazione di un test, il Beck Depression Inventory, pubblicato nel 1961 e ancora ampiamente utilizzato nella clinica e nella ricerca.
Così, nel 1962 si dedicò allo studio di schemi e di pensieri tipici della depressione e diede inizio a un nuovo approccio, la terapia cognitiva, che si basava su un importante rapporto tra pensieri, emozioni e comportamenti.

I primi articoli di Beck sulla teoria cognitiva della depressione mantennero, in ogni caso, una cornice psicoanalitica, nonostante fossero intrisi di pensiero empirico e scientifico alla luce del nuovo approccio cognitivista.

A metà degli anni ’60, Beck conobbe Albert Ellis e scoprì che aveva sviluppato una importante e affascinante teoria e una terapia pragmatica in cui si utilizzavano pensieri e emozioni in maniera diretta, il cui scopo finale era la disputa dei pensieri ritenuti disfunzionali.

Così nacque per Beck un processo di sviluppo e integrazione di una nuova terapia, quella cognitiva.

La terapia cognitiva di Aaron T. Beck

Beck, lavorando con i pazienti depressi, scoprì l’esistenza di pensieri negativi che sembravano emergere spontaneamente. Egli ha definito queste cognizioni “pensieri automatici” e il loro contenuto è ascrivibile in tre categorie: idee negative su se stessi, sul mondo e sul futuro tipiche della depressione.

Egli iniziò a lavorare con questi pazienti identificando i pensieri disfunzionali e scoprì che avendo atteggiamenti più realistici potevano sentirsi emotivamente meglio e potevano adottare comportamenti più funzionali. La sofferenza genera, secondo Beck, una serie di pensieri disadattivi che producono un effetto negativo sul comportamento. Inoltre, se in età precoce si è esposti a eventi critici è possibile si possano instaurare credenze disfunzionali generate da pensieri che, nel lungo periodo, diventano automatici.

Quindi, quando una persona si trova ad affrontare una situazione, lo schema acquisito consente di interpretare i dati oggettivi e di trasformarli in cognizioni. Nelle persone depresse si attiveranno, dunque, schemi non adattivi che portano a errate interpretazioni della realtà da cui si generano pensieri automatici che inducono sofferenza emotiva.

Il modello caratteristico della depressione è costituito da tre schemi che Beck chiama la triade depressiva, essi sono:
– la visione negativa di Se stessi: le persone affette da depressione si vedono come deboli e inutili.
– la visione negativa del Mondo: Si sentono socialmente sconfitti e non si percepiscono all’altezza delle esigenze proprie e altrui e, per questo, non in grado di superare gli ostacoli.
– la visione negativa sul Futuro: La persona depressa pensa che questa situazione non possa essere modificata e sarà così per sempre.

La teoria cognitiva

Per Beck, i disturbi psicologici derivano dalle distorsioni cognitive ovvero errori che si commettono nell’applicazione dei pensieri automatici e provocano stati emotivi e comportamenti inappropriati o negativi. Pertanto, queste distorsioni cognitive sono causate da credenze irrazionali apprese in età precoce che influenzano la percezione e l’interpretazione del passato, del presente e del futuro.

Gli Schemi

Secondo Beck gli eventi esterni sono percepiti da una persona in base a una serie di concetti o schemi cognitivi che ognuno possiede e che influenzano il modo in cui è percepita la realtà. Le informazioni acquisite, dunque, possono essere elaborate erroneamente in base alle credenze apprese e, per questo, si possono ottenere delle modificazioni o distorsioni nella valutazione e interpretazione dei dati che portano alle cosiddette distorsioni cognitive.

Per Beck, gli schemi sono modelli cognitivi stabili che aiutano a catalogare e interpretare la realtà. Le persone usano gli schemi per individuare, codificare, differenziare e assegnare significati alle informazioni provenienti dall’ambiente esterno. In altre parole, gli schemi sono costrutti mentali stabili ma soggettivi, che agiscono come filtri nella percezione del mondo circostante.

Gli schemi provengono in gran parte da esperienze di apprendimento precoce e possono rimanere in sospeso fino a quando un evento esterno li attiva. Questo è uno dei concetti più importanti per la psicologia cognitiva, nonostante sia stato introdotto da Frederick Bartlett per riferirsi alla memoria e poi ripreso da Jean Piaget.

Le credenze

Le credenze sono i contenuti degli schemi e sono il risultato diretto del rapporto tra realtà e schemi stessi. Esse fungono da mappe interne che consentono di attribuire un senso al mondo. Successivamente, esse, dopo essere state costruite, sono generalizzate attraverso l’esperienza.

Beck distingue due tipi di credenze:

credenze centrali o di base o nucleari: sono presentati come proposizioni assolute, durature e globali su se stessi, gli altri e il mondo. Ad esempio, “Io sono un fallimento”. Si tratta di un’assunzione di base difficile da cambiare, poiché caratterizza l’identità dell’individuo.
credenze periferiche: sono influenzate da quelle nucleari, e sono i costrutti cognitivi e i pensieri automatici. Si tratta di atteggiamenti, regole, ipotesi che influenzano il modo di vedere la situazione, provocando un vissuto emotivo e comportamentale disadattivo.
– pensieri automatici o prodotti cognitivi.

I pensieri automatici si riferiscono ai pensieri e le immagini risultanti dall’interazione delle informazioni fornite dalla situazione, schemi e credenze e processi cognitivi. Il contenuto dei pensieri automatici è, di solito, accessibile tramite gli schemi e non attraverso i processi cognitivi.

I pensieri automatici sono, sostanzialmente, i dialoghi interiori, i pensieri o le immagini che appaiono in una data situazione, e i pazienti considerano queste affermazioni vere e non distorte. Essi mostrano una serie di caratteristiche:
– si riferiscono ad una situazione specifica;
– sono assolutamente considerati veri;
– sono appresi;
– esagerano gli aspetti negativi della situazione;
– non sono facili da rilevare o controllare.

Le distorsioni cognitive

Beck individua una serie di distorsioni cognitive derivanti dall’applicazione dei pensieri automatici. Esse sono:
– astrazione selettiva: si presta attenzione ad un aspetto o a un dettaglio della situazione. Gli aspetti positivi sono spesso ignorati a vantaggio di quelli negativi.
– pensiero dicotomico: gli eventi sono valutati in forma estrema: buono / cattivo, nero / bianco, on / off, etc.
– inferenza arbitraria: si traggono conclusioni da situazioni che non sono supportate dai fatti, anche quando l’evidenza è in contrasto con la conclusione.
– Supergeneralizzazione: comporta una conclusione generale partendo da un evento particolare.
– Ingigantire e minimizzare: la tendenza a esagerare gli aspetti negativi di una situazione, riducendo al minimo il positivo.
– Personalizzazione: si tratta di attribuzioni di caratteristiche personali a una situazione.
– Visione catastrofica: anticipare gli eventi pensando che il peggio accadrà sicuramente.
– Doverizzazione: regole rigide e severe su come le cose dovrebbero andare.
– Variabili globali: etichette generali sugli eventi che non considerano le sfumature.

Lo scopo finale della terapia di Beck consiste nella ristrutturazione cognitiva, ovvero riuscire a modificare il modo in cui si interpretano e valutano le situazioni che si vivono. Quindi, si deve incoraggiare il paziente a modificare i pensieri automatici e le distorsioni cognitive per sostituirli con altri più realistici e adattivi.

 

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