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Volevo essere una farfalla. Come l’anoressia mi ha insegnato a vivere (2019) di Michela Marzano – Recensione del libro

Nel libro "Volevo essere una farfalla. Come l’anoressia mi ha insegnato a vivere", Michela Marzano, affermata filosofa e scrittrice, racconta la sua storia

Di Silvia Barchetta

Pubblicato il 04 Giu. 2021

Aggiornato il 08 Feb. 2024 14:55

Volevo essere una farfalla, attraverso la storia di Michela, può insegnare che amarsi è una necessità e che, a volte, ascoltare quella vocina nell’orecchio che ci spinge a fare ciò che più desideriamo, non è sbagliato se ci fa stare bene.

 

Introduzione

Mi ero convinta che se fossi riuscita a diventare leggera come una farfalla, tutto sarebbe andato a posto. Sarei diventata forte, indipendente, libera. E non avrei mai più avuto bisogno di nessuno.

 Nel libro Volevo essere una farfalla. Come l’anoressia mi ha insegnato a vivere, Michela Marzano, affermata filosofa e scrittrice, racconta la sua storia.

Michela è cresciuta in un ambiente familiare in cui «l’educazione consisteva nell’inculcare il dovere», quel forte senso di obbedienza, che da un lato le ha permesso di raggiungere i suoi obiettivi professionali, dall’altro l’ha fatta sprofondare nell’anoressia.

Michela, sempre obbediente e disciplinata, farebbe di tutto pur di sentirsi amata dal padre. Farebbe di tutto pur di sentirsi «piena» d’amore, quell’amore che probabilmente non ha sperimentato nella sua infanzia, perché sotterrato dalle troppe aspettative, dalle troppe attese. Solo che, quando si costruisce il proprio mondo sulla base delle aspettative altrui, non si vive mai appieno.

Michela racconta la tubercolosi che ha dovuto combattere, i tentati suicidi e i risvegli in ospedale, gli amori tossici e gli sguardi giudizievoli.

Descrive l’anoressia e le intense sedute di psicoanalisi a cui si è sottoposta, la paura di non farcela e il vuoto che l’ha attanagliata. Ed infine, come ha imparato piano piano a ricostruirsi e com’è riuscita a ripartire da

quella consapevolezza sottile e fragile di poter essere “altro” rispetto alle esigenze del “dover essere”.

La potenza del desiderio e l’arte dell’accettazione

Entrare nella logica per cui ci si ritiene degni d’amore solo se si compiace l’altro, solo se ci si uniforma a ciò che l’altro vorrebbe che noi fossimo, potrebbe scatenare conseguenze devastanti.

Ognuno di noi ha bisogni e desideri. Abbiamo bisogno di desiderare, perché il desiderio ci fa sentire vivi, anima il nostro corpo e ci spinge ad agire. Ogni desiderio deriva da una mancanza, e non sempre sappiamo esattamente cosa vogliamo; non sempre desideriamo veramente ciò che diciamo perché

i nostri desideri si trasformano, cambiano, si contraddicono. Soprattutto quando siamo combattuti tra un “Io ideale” che ci spinge a domandarci che tipo di vita condurre e un “Io reale” che ci interroga riguardo a ciò che vogliamo davvero. A volte siamo lacerati tra il desiderio di esporci, scegliere, costruire il nostro destino, e il bisogno di ritirarci in noi stessi, di non scegliere, di abbandonarci all’estro del momento. 

 Siamo esseri sociali: l’identità personale di ognuno di noi si origina dall’incontro con l’altro. L’empatia, l’accettazione, l’ascolto attivo dovrebbero essere alla base di ogni relazione tra individui, ma molte volte non è così. E quando le relazioni che viviamo non ci fanno sentire riconosciuti nella nostra soggettività, non ci fanno sentire accolti e accettati, iniziamo a vacillare, a perdere il controllo.

L’autrice, nella sua autobiografia, mette in risalto l’importanza dell’accettazione.

Accettare noi e l’altro diverso da noi, non è mai un’azione passiva: non significa rassegnarsi al cliché del “io sono fatto così” privandosi della possibilità di scoprire i motivi che ci spingono a mettere in atto determinati comportamenti, bensì imparare a rispettarsi nella totalità e unicità del proprio essere, comprese debolezze e fragilità, lasciandosi semplicemente il diritto di esistere.

Accettarsi è comprendere che ogni nostra emozione, non necessariamente piacevole, è espressione di noi stessi. È accettare che non possiamo scegliere quale emozione provare, ma possiamo cercare di capire il motivo per cui si è presentata e cosa vuole dirci, in quanto

ognuno di noi ha un percorso personale complesso. Nessuno può essere “programmato” come una macchina, per scegliere e agire solo dopo aver calcolato in modo esatto costi e benefici delle proprie azioni. Che piaccia o no, siamo tutti in balia delle nostre emozioni.

Siamo immersi in una cultura che esalta la verità, la bellezza, la positività, ma condanna il dubbio, le lacrime, la frustrazione. Tendiamo a nascondere le nostre sofferenze, «gettandoci nel vortice del “fare”» pur di evitare di vivere il dolore.

Come se le nostre fragilità fossero un virus da debellare. Come se potessimo scegliere come sentirci. Come se potessimo scegliere di vivere di sola luce.

Siamo contemporaneamente bene e male, luce e ombra perché

il pensiero […] è duttile, controverso, contraddittorio.

Ognuno di noi ha una propria rappresentazione della realtà che non è mai oggettiva, ma sempre filtrata dalle nostre credenze e dal nostro vissuto, da ciò che siamo e da ciò che ci è stato insegnato.

Consiglio vivamente la lettura di questo libro perché, attraverso la storia di Michela, possiamo imparare che amarsi è una necessità e che, a volte, ascoltare quella vocina nell’orecchio che ci spinge a fare ciò che più desideriamo, non è sbagliato se ci fa stare bene.

Piegarsi totalmente al dovere, annullando il proprio volere, è un pò come morire, lentamente.

Ciò che possiamo fare è smettere di scappare dalle nostre emozioni, ma fermarci ad ascoltarle per entrare davvero in contatto con noi stessi.

C’è sempre un modo per reinventarsi, c’è sempre un modo per “ricominciarsi”: ogni ferita e ogni «frattura» fanno parte di noi e del nostro vissuto, ed

è da lì che si deve ripartire. […] Senza passare il tempo a sperare che forse un giorno tutto sarà diverso. Perché tutto è già diverso, non appena si fa la pace con i propri ricordi.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Marzano, M.(2019). Volevo essere una farfalla. Come l’anoressia mi ha insegnato a vivere. Milano, Mondadori
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