Hikikomori è un termine giapponese che significa letteralmente “ritirarsi” (Zielenziger, 2008) e che rimanda ad una particolare condizione riscontrata nei giovani adolescenti, i quali si ritirano letteralmente dalla vita sociale, passando gran parte del loro tempo nella propria stanza, guardando la tv o giocando ai videogiochi.
Si riduce volontariamente lo spazio dedicato alle relazioni compensandolo con la partecipazione alla vita virtuale, tramite i social (Ohashi, 2008).
Viene invertito il ritmo sonno-veglia e si riscontra nel tempo una compromissione del percorso di studi o della ricerca di lavoro (Aguglia et al., 2010). Ci sono diversi dibattiti in merito, alcuni dei quali sottolineano come uno dei fattori che spinge al ritiro sociale sia dovuto ad una inadeguatezza rispetto agli standard troppo alti di apparenza e successo, propri della nostra società.
Periodi prolungati di solitudine contribuiscono alla perdita delle competenze sociali e abilità comunicative indispensabili per interagire con il mondo esterno (Aguglia et al., 2010).
Come ha contribuito la pandemia da COVID-19 al fenomeno hikikomori?
Questa pandemia ha messo tutti con le spalle al muro, ognuno dentro il proprio ruolo costretto a dover rivedere il modo di vivere, adattandolo alle svariate indicazioni da seguire atte a contenere i contagi. Se c’è una categoria che però ne sta risentendo particolarmente è quella adolescenziale.
L’adolescenza è un periodo della vita molto delicato, una fase di transizione, dallo stato infantile a quello adulto, che pone le basi per lo svincolo dalla famiglia di appartenenza.
L’adolescente rivendica la propria autonomia e individualità, rispecchiandosi nel gruppo dei pari, piuttosto che nella propria famiglia (Marcelli & Braconnier,1994). In questo periodo infatti sono prevalenti le relazioni di amicizia (Bonino,2018). Tuttavia questa situazione di restrizioni e distanziamento sociale sta trattenendo i giovani dentro le mura della propria casa, disabituandoli ai rapporti sociali. Per contro, cresce sempre più il bisogno di confrontarsi non con i genitori, ma con il proprio smartphone, dal quale è possibile ricevere tutte le risposte desiderate.
Ciò che viene a mancare però, all’interno di questa cornice, è lo sviluppo dell’affettività, dei sentimenti, delle relazioni sociali vere. Per cui il mondo esterno viene sostituito con la propria stanza che diventa invece un mondo interno, nel quale i ragazzi mettono le fondamenta per la propria zona di comfort, rischiando così di perdere la completamente la voglia di uscirne, poiché metterebbero a nudo la propria vulnerabilità.
Come prevenire questo fenomeno?
Educare alla genitorialità resta sicuramente l’antidoto principe. Educare ai sentimenti, ai valori.
Bisognerebbe far prendere coscienza ai genitori delle risorse sulle quali costruire un lavoro insieme. Una risorsa riguarda proprio la vicinanza del figlio in casa, che pur sfuggendo al loro controllo resta sempre nella porta accanto, ed in punta di piedi i genitori potrebbero farsi accogliere e instaurare una forma nuova di dialogo, più costruttiva, che funga da esempio per le relazioni col mondo esterno. È bene non sottovalutare i bisogni fisiologici e gli stati emotivi della persona, aiutarlo nella ricerca della sua identità e progetto di vita, ma soprattutto far comprendere ai propri figli di essere un porto sicuro dal quale partire e tornare ogni qualvolta se ne abbia bisogno.