La metacognizione può essere definita come la capacità di riflettere sui propri stati mentali.
Adrian Wells da anni si occupa di studiare la metacognizione e ha proposto un particolare modello, il Modello dell’Autoregolazione delle Funzioni Esecutive (Self-Regulatory Executive Function model, S-REF) attraverso il quale vengono delineati i fattori cognitivi e metacognitivi coinvolti nell’eziologia e nel mantenimento dei disturbi emotivi (Myers & Wells, 2015).
Il prolungamento dell’attivazione della S-REF darebbe origine alla sindrome cognitivo-attenzionale (CAS). Il CAS consiste in una particolare forma di pensiero ripetitivo e perseverante, caratterizzata da rimuginio, ruminazione, monitoraggio di stimoli minacciosi e strategie di coping controproducenti. Secondo il modello S-REF i disturbi psicologici dipenderebbero proprio dal CAS (Wells & Matthews, 1996). Generalmente, a tutte le persone capitano dei periodi caratterizzati da emozioni negative, tuttavia tali periodi sono saltuari e limitati nel tempo. Quando, invece, il CAS viene attivato, il soggetto si trova invischiato in una spirale in cui le emozioni negative si mantengono e le idee negative vengono rinforzate. Per il CAS risultano rilevanti due tipologie di credenze metacognitive: le metacredenze positive che si riferiscono all’utilità del preoccuparsi e del ruminare (rimuginio e ruminazione vengono utilizzate come strategie di coping); le metacredenze negative che riguardano, invece, l’incontrollabilità e la pericolosità dei pensieri e delle emozioni (Wells, p. 11, 2012).
La metacognizione si sviluppa durante l’infanzia o l’adolescenza (Schneider, 2008) e potrebbe essere influenzata da esperienze vissute nell’ambiente familiare come le esperienze di attaccamento (Malik, Wells e Wittkowski, 2015), lo stile genitoriale (Spada et al., 2012) e lo stile metacognitivo dei genitori (Esbjørn, Normann, Lønfeldt, Tolstrup e Reinholdt-Dunne, 2016).
Una overview della letteratura condotta dal gruppo di ricerca di Studi Cognitivi (Mansueto, Caselli, Ruggiero e Sassaroli, 2019) ha evidenziato che:
- l’esposizione all’abuso o all’abbandono infantile sembra essere associata a convinzioni metacognitive disfunzionali in età adulta;
- in soggetti adulti sia sani che clinici, le credenze metacognitive sembrano mediare l’associazione tra le avversità infantili e il pensiero ripetitivo ed emozioni negative.
Questi risultati sono in linea con il modello S-REF il quale ipotizza che l’angoscia, causata da avversità infantili, potrebbe generare convinzioni metacognitive disfunzionali e quindi attivare il CAS, predisponendo alla vulnerabilità emotiva. Di conseguenza, le credenze metacognitive potrebbero avere un ruolo nel mediare il legame tra avversità infantili e disturbi psicologici (Mansueto et al., 2019).
In particolare, si può ipotizzare che le avversità infantili potrebbero essere più frequentemente associate a credenze negative relative all’incontrollabilità e alla pericolosità dei pensieri. All’inizio il CAS è attivato da convinzioni metacognitive positive, che non sono di per sé problematiche e che sono esperienza comune a tutte le persone (Myers & Wells, 2015). Tuttavia, quando il CAS risulta attivato per un tempo prolungato senza una riduzione dell’angoscia, le persone si trovano in difficoltà nello sviluppare una strategia flessibile per la regolazione delle proprie emozioni e ciò potrebbe portare allo sviluppo di credenze metacognitive negative circa l’assenza di controllo sui propri pensieri (Wells, 2012).
La relazione tra avversità ambientali e vulnerabilità emotiva rappresenta un interessante tema di ricerca. Il presente studio si propone di esplorare la relazione tra avversità ambientali e disturbi emotivi.
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