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La relazione tra attività fisica ed aggressività

Sport come quelli di combattimento vengono tipicamente assunti come determinanti dell’aggressività ma qual è l'effettiva relazione tra sport e aggressività?

Di Dominique De Filippis

Pubblicato il 07 Giu. 2021

Aggiornato il 11 Giu. 2021 13:27

La letteratura riguardante la relazione tra l’esercizio fisico e l’aggressività è fortemente eterogenea (Williams & Gill, 2000) e ciò potrebbe essere dovuto all’interazione di una serie di fattori, ovvero variabili moderatrici, che hanno dato luogo a risultati differenti.

 

Esistono almeno due macro-categorie di moderatori che sembrano avere una rilevanza quando si analizza l’influenza dello sport sull’aggressività e sui sentimenti aggressivi, ovvero gli aspetti metodologici degli studi e le circostanze in cui l’esercizio fisico ha luogo come, ad esempio, le condizioni sociali o il tipo di movimento. Attraverso la considerazione di questi moderatori, è possibile chiarire i potenziali meccanismi attraverso i quali lo sport e l’esercizio fisico contribuiscono alla riduzione dell’aggressività.

Per quanto riguarda gli aspetti metodologici, la definizione della variabile dipendente è un moderatore chiave.

L’aggressione può essere definita come “qualsiasi comportamento diretto verso un altro individuo che viene messo in atto con l’intento di causare danno”, mentre, i sentimenti aggressivi possono influenzare l’aggressione in diversi modi, ad esempio aumentando i livelli di eccitazione (Anderson & Bushman, 2002, p. 28).

Per quanto riguarda le circostanze in cui l’esercizio ha luogo, le evidenze precedenti indicano che sia il tipo di movimento che le condizioni sociali possono agire come moderatori.

Rispetto al tipo di movimento, alcune attività sportive vengono tipicamente assunte come determinanti dell’aggressività, in particolare modo gli sport di combattimento (Jarvis, 2006). A sostegno di ciò, l’inizio di queste attività è stato associato ad un aumento di comportamenti antisociali, mentre l’interruzione determina una diminuzione dei suddetti (Endresen & Olweus, 2005). Tuttavia, esistono anche prove del contrario.

I risultati incoerenti in questo caso possono essere spiegati da ricerche successive che indicano che l’influenza degli sport da combattimento sull’aggressività dipende da come uno sport viene insegnato. Per esempio, l’allenamento moderno delle arti marziali porta a punteggi più alti di delinquenza (Trulson, 1986), mentre, le lezioni di taekwondo, che incorporano un’istruzione specializzata, promuovono più comportamenti prosociali rispetto alle lezioni standard di educazione fisica (Lakes & Hoyt, 2004).

Per quanto riguarda le condizioni del compito sociale, la ricerca suggerisce che la competizione potrebbe aumentare i sentimenti aggressivi. Alcuni autori concordano sul fatto che la competizione causi frustrazione, che, a sua volta, porta a punteggi più alti di aggressività, in quanto gli avversari interferiscono con il raggiungimento di obiettivi individuali (Tjosvold, 1998).

Al contrario, la cooperazione richiede uno scambio reciproco per raggiungere un obiettivo comune (Tjosvold, 1998), che determina la formazione di un’identità sociale positiva e, a sua volta, a una maggiore autostima (Luhtanen & Crocker, 1992), che riduce i sentimenti aggressivi. Di conseguenza, i giochi cooperativi si sono rivelati un’opzione di trattamento efficace per ridurre l’aggressività (Bay-Hinitz & Wilson, 2005).

Oltre al tipo di movimento e alle condizioni del compito sociale, devono essere prese in considerazione le condizioni quantitative, come l’eccitazione, per spiegare l’entità della riduzione dell’aggressività attraverso lo sport. Tuttavia, anche in questo caso la letteratura contiene una contraddizione: da un lato, l’ipotesi della catarsi afferma che un’elevata eccitazione durante un’attività comporti una riduzione della tensione psichica (Bushman, Stack, & Baumeister, 1999). D’altra parte, studi empirici hanno dimostrato che le attività eccitanti possono portare a un comportamento ancora più aggressivo (Lemieux, McKelvie, & Stout, 2002).

In sintesi, le ricerche e le considerazioni teoriche descritte in precedenza suggeriscono che i sentimenti aggressivi associati allo sport dipendono dal tipo di movimento e dalle condizioni in cui l’attività è condotta.

Dunque, sulla base di quanto appena esposto, alcuni autori hanno ipotizzato che gli individui presi in esame avrebbero riportato una riduzione dei sentimenti aggressivi a seguito di attività fisiche che non implicano movimenti aggressivi e, soprattutto, hanno supposto che vi sarebbero state delle differenze, rispetto ai sentimenti aggressivi, tra un’attività fisica condotta in modo cooperativo rispetto a un’attività condotta in presenza di un avversario.

Il campione preso in esame era composto da 60 studenti. I partecipanti sono stati assegnati in modo casuale a sei diversi gruppi di trattamento. Difatti, i due sport presi in considerazione, il canottaggio e il combattimento, sono stati eseguiti in tre diverse condizioni: individualmente, in un ambiente competitivo e in un ambiente cooperativo.

All’inizio dello studio, al fine di indurre dei sentimenti aggressivi, tutti i partecipanti hanno ricevuto un feedback negativo da parte di un assistente.

In generale, si è assistito ad una significativa riduzione dei sentimenti aggressivi nel corso dei compiti sperimentali e, in particolar modo, si è assistito ad una riduzione significativa dei sentimenti aggressivi nei partecipanti che avevano preso parte al compito di canottaggio individualmente, rispetto alla condizione di combattimento.

Inoltre, nel corso delle attività da combattimento, non è stato rinvenuto nessun aumento dei sentimenti aggressivi, ciò significa che l’ipotesi che i movimenti assimilabili al combattimento inducano effetti negativi non può essere sostenuta.

Questi risultati supportano in parte l’ipotesi che i movimenti meno aggressivi determinino una riduzione dell’aggressività, rispetto ai movimenti altamente aggressivi.

Ulteriormente, va aggiunto che le due condizioni di cooperazione e competizione non differivano dalla condizione di esercizio individuale, in termini di cambiamenti nei sentimenti aggressivi.

Ciò può essere spiegato dal fatto che l’avversario della condizione competitiva non era un vero avversario e, al contempo, la relazione tra i due partner nel compito cooperativo non era abbastanza positiva.

Quanto appena detto mostra che se l’attività fisica di gruppo fosse messa in atto per ridurre l’aggressività all’interno del team, la qualità della relazione tra le persone coinvolte sarebbe più rilevante del contesto sociale stesso. Di conseguenza, sarebbe poco utile definire semplicemente un compito in cui i partecipanti devono cooperare o competere tra loro, bensì sarebbe importante formare e sviluppare le relazioni interpersonali nel corso del compito.

In altre parole, l’esercizio fisico è in grado di ridurre l’aggressività, in particolar modo nei casi in cui i partecipanti sperimentano i movimenti come soddisfacenti. Si può supporre che le attività fisiche, specialmente quelle che soddisfano i bisogni psicologici di base, sono in grado di ridurre i sentimenti di aggressività e frustrazione. Concludendo, i suddetti risultati suggeriscono che la riduzione dell’aggressività non sia tanto legata al tipo di movimento o al compito sociale, bensì che essa sia una questione di appagamento personale.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Anderson, C. A., & Bushman, B. J. (2002). Human aggression. Annual Review of Psychology, 53(1), 27–51. doi:10.1146/annurev.psych.53.100901.135231
  • Bay-Hinitz, A. K., & Wilson, G. (2005). A cooperative games intervention for aggressive preschool children. In L. A. Reddy, T. M. Files-Hall & C. E. Schaefer (Eds.), Empirically based play interventions for children (pp. 191–211). Washington, DC: American Psychological Association.
  • Bushman, B. J., Stack, A. D., & Baumeister, R. F. (1999). Catharsis, aggression, and persuasive influence: Self-fulfilling or self-defeating prophecies? Journal of Personality and Social Psychology, 76(3), 367–376.
  • Endresen, I. M., & Olweus, D. (2005). Participation in power sports and antisocial involvement in preadolescent and adolescent boys. Journal of Child Psychology and Psychiatry, 46(5), 468–478. doi:10.1111/j.1469-7610.2005.00414.x
  • Jarvis, M. (2006). Sport psychology: A student’s handbook. London, England: Routledge.
  • Lakes, K. D., & Hoyt, W. T. (2004). Promoting self-regulation through school-based martial arts training. Journal of Applied Developmental Psychology, 25(3), 283–302. doi:10.1016/j.appdev.2004.04.002
  • Lemieux, P., McKelvie, S. J., & Stout, D. (2002). Self-reported hostile aggression in contact athletes, no contact athletes and non-athletes. Athletic Insight, 4(3), 42–56.
  • Luhtanen, R. K., & Crocker, J. (1992). A collective self-esteem scale: Self-evaluation of one’s social identity. Personality and Social Psychology Bulletin, 18(3), 302–318. doi:10.1177/0146167292183006
  • Pels, F., & Kleinert, J. (2016). Does exercise reduce aggressive feelings? An experiment examining the influence of movement type and social task conditions on testiness and anger reduction. Perceptual and motor skills, 122(3), 971-987.
  • Tjosvold, D. (1998). Cooperative and competitive goal approach to conflict: Accomplishments and challenges. Applied Psychology, 47(3), 285–313. doi:10.1111/ j.1464-0597.1998.tb00025.x
  • Trulson, M. E. (1986). Martial arts training: A novel ‘cure’ for juvenile delinquency. Human Relations, 39(12), 1131–1140.
  • Williams, L., & Gill, D. L. (2000). Aggression and prosocial behavior. In D. L. Gill (Ed.), Psychological dynamics of sport and exercise (2nd ed., pp. 239–254). Champaign, IL: Human Kinetics.
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