Nonostante i significativi progressi di natura epidemiologica e genetica nella ricerca scientifica sull’autismo, l’eziologia e la patogenesi di questa condizione sono lungi dall’essere chiarite e attualmente non esiste alcun trattamento curativo (Davidson, 2017).
Con la classificazione dimensionale “disturbi dello spettro autistico” si fa riferimento a una vasta gamma di manifestazioni sintomatologiche di disturbi del neurosviluppo, caratterizzati da una notevole eterogeneità in termini di gravità/pervasività del sintomo e compromissione del funzionamento, ma accomunati dai seguenti pattern: reciprocità socio-emotiva deficitaria, comunicazione non verbale inficiata (es. mancanza di espressività facciale e anomalie del contatto visivo), difficoltà interpersonali, interessi limitati, stereotipie, mancanza di flessibilità cognitiva e iper- o iporeattività a stimoli sensoriali (APA, 2013). Nonostante i significativi progressi di natura epidemiologica e genetica nella ricerca scientifica sull’autismo, l’eziologia e la patogenesi di questa condizione sono lungi dall’essere chiarite e attualmente non esiste alcun trattamento curativo; considerata la prognosi sfavorevole che non contempla la reversibilità della condizione, ma soltanto dei miglioramenti significativi in alcune aree dello sviluppo, a fronte di interventi precoci e mirati (Davidson, 2017).
La prima definizione e concettualizzazione dell’autismo risale al 1943, ad opera del medico psicanalista Leo Kanner: il quale descrive la fenomenologia di tale condizione in maniera similare a quella attuale (Kanner, 1973); in termini eziologici, però, era predominante la credenza secondo cui una scarsa responsività materna al soddisfacimento immediato dei bisogni primari evolutivi del bambino, sarebbe potuta esserne la causa. “Madre frigorifero” era l’espressione utilizzata per descrivere quel prototipo di madre assente e non responsiva ai bisogni emotivi basilari del bambino: questa era la spiegazione vigente, a metà del secolo scorso, per descrivere il senso di autoisolamento e di distanziamento sociale del bambino con autismo dal mondo esterno (Bettelheim, 1956). All’inizio degli anni ’80, grazie alla pubblicazione della terza edizione del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM-III; APA, 1980), il fenomeno dell’autismo viene per la prima volta concettualizzato come un disturbo del neurosviluppo; divenendo oggetto di ricerca scientifica, oltre che di assistenza clinica e sociale (Davidson, 2017).
Negli stessi anni è, però, concomitante la proliferazione totalmente infondata e priva di alcuna base scientifica dell’eziologia dell’autismo spiegata dalla somministrazione dei vaccini; postulando un erroneo rapporto di causalità tra autismo e vaccino (DeStefano, 2007). Il criterio con cui tale “mito causale” si è diffuso è una mera coincidenza temporale tra l’esordio della prima manifestazione sintomatologica del disturbo e la somministrazione dei vaccini per parotite, morbillo e rosolia (MMR), tra i 12 e i 18 mesi (Davidson, 2017). L’attribuzione di un legame causale a una semplice sovrapposizione temporale costituisce un bias cognitivo, senza alcun fondamento logico e soprattutto clinico. Fortunatamente negli anni successivi il rapporto diretto di causalità tra autismo e vaccino è stato demistificato da studi scientifici finalizzati all’analisi sia dell’epidemiologia dell’autismo, sia degli effetti indotti dai vaccini MMR (Maglione et al., 2014; Taylor, Swerdfeger & Eslick, 2014). Di fatti, nonostante fossero sempre più numerose le rinunce alla vaccinazione MMR, i tassi di autismo erano in aumento (Modabbernia, Velthorst & Reichenberg, 2017). Nonostante il passare del tempo e il significativo incremento delle evidenze scientifiche a favore della varianza fenotipica del disturbo spiegata da fattori genetici, il mito causale tra vaccino e autismo ha continuato a essere radicato nelle menti di molti, i quali hanno preferito privarsi degli effetti benefici del vaccino; per tutelare i loro figli da un eventuale esordio della sintomatologia (Offit, 2014). Anche dopo decenni dalla diffusione mediatica di tali credenze infondate sull’eziologia dell’autismo, all’interno di tale rassegna è possibile rivolgere il focus attentivo su un tema estremamente attuale: la tendenza a lasciarsi trasportare acriticamente dal luogo comune verso spiegazioni illogiche di un fenomeno e delle sue conseguenze, fomentate dalla continua ricerca di prove confermative fallaci, ma che nell’immediato possono risultare convincenti; anziché orientare le proprie scelte sulla base di dati empiricamente dimostrati.