Negli anni i ricercatori hanno proposto numerose spiegazioni per giustificare le differenze di sesso nella tolleranza al dolore, motivazioni che si focalizzano per lo più su fattori biologici, genetici ed ormonali ma, al giorno d’oggi, è più evidente come anche i fattori psicologici, tra cui i tratti individuali, giochino un ruolo cruciale.
La paura del dolore può essere definita come il timore estremo ed irrazionale del dolore fisico. Tale convinzione, propria di alcuni soggetti, talvolta raggiunge dei livelli così estremi da rivelarsi più invalidante del dolore stesso (Crombez, Vlaeyen, Heuts, & Lysens, 1999).
Infatti, quando il dolore è vissuto con poca paura, è probabile che i pazienti lo affrontino mantenendo l’impegno nelle attività quotidiane, attraverso le quali viene promosso il recupero funzionale. Al contrario, quando l’esperienza del dolore è temuta, le interpretazioni disfunzionali danno luogo a comportamenti associati alla ricerca di sicurezza, come l’evitamento e l’ipervigilanza, che possono portare a dolore cronico, disabilità e depressione (Leeuw et al., 2007).
I modelli che si focalizzano sui comportamenti connessi al dolore (Vlaeyen & Linton, 2000) delineano il ruolo cruciale svolto dalla paura di quest’ultimo nella comprensione del dolore cronico e forniscono un resoconto di come tale paura si sviluppi (Leeuw et al., 2007) ma, questi modelli, non tengono conto delle differenze di genere.
Difatti, quando soffrono, uomini e donne non reagiscono allo stesso modo.
Un corpus di letteratura indica che le donne, rispetto agli uomini, presentano soglie del dolore e livelli di tolleranza significativamente più bassi (Fillingim, 2003). Esse hanno infatti maggiori probabilità di riferire esperienze più intense e più frequenti di dolore clinico, tra cui tensione, emicrania o dolore muscoloscheletrico.
Negli anni i ricercatori hanno proposto numerose spiegazioni per giustificare queste differenze di sesso, motivazioni che si focalizzano per lo più su fattori biologici, genetici ed ormonali (Aloisi et al., 2009) ma, al giorno d’oggi, è più evidente come anche i fattori psicologici, tra cui i tratti individuali, giochino un ruolo cruciale nella minor tolleranza al dolore delle donne (Soric ́, Penezic ́, & Buric ́, 2013).
Nel contesto specifico della paura del dolore, il nevroticismo potrebbe ricoprire un ruolo rilevante. Difatti, secondo la maggior parte degli autori (Costa & McCrae, 1992; DeYoung & Gray, 2009), il nevroticismo implica una maggiore sensibilità alla minaccia, a cui consegue una serie di emozioni negative che accompagnano tali esperienze, tra cui ansia, depressione, rabbia ed irritazione.
Sembra dunque esserci un legame stabile tra nevroticismo e paura del dolore.
Secondo la teoria dei Big Five, il nevroticismo presenta sei sfaccettature: ansia, rabbia/ostilità, depressione, autocoscienza, impulsività e vulnerabilità. Di queste sfaccettature, l’ansia sembra essere più strettamente collegata alla paura del dolore (Keogh & Asmundson, 2004).
Inoltre, secondo la letteratura, le donne presentano tratti più elevati di nevroticismo, rispetto agli uomini (Vecchione, Alessandri, Barbaranelli, & Caprara, 2012).
I legami sopra esplicitati tra sesso, nevroticismo e paura del dolore suggeriscono dunque che il nevroticismo potrebbe mediare la relazione tra sesso e paura del dolore ma, tale modello di mediazione non è stato ancora verificato.
È per tal motivo che alcuni autori si sono proposti di verificare l’ipotesi che il nevroticismo possa mediare la differenza tra donne e uomini rispetto alla paura del dolore. Nello specifico, gli autori hanno ipotizzato che le donne avrebbero sperimentato più paura del dolore, rispetto agli uomini, in parte perché esse presentano tratti più elevati di nevroticismo.
Dato lo stretto legame tra paura, ansia e genere, ci si aspettava che la dimensione dell’ansia del nevroticismo avrebbe spiegato le differenze di sesso rispetto alla paura del dolore.
Allo studio hanno preso parte 227 soggetti, di cui 94 uomini e 133 donne, con un’età media di 23 anni. Al momento del reclutamento, i ricercatori hanno detto ai partecipanti che l’obiettivo dello studio era quello di comprendere le differenti percezioni che le persone hanno di loro stesse.
Al fine di poter valutare i tratti di nevroticismo e la paura del dolore, i soggetti hanno compilato rispettivamente il NEO-PI-R (Rolland, Parker & Stumpf, 1998) e il Fear of Pain Questionnaire (Albaret et al., 2004).
I risultati hanno supportato l’ipotesi del modello di mediazione; in altre parole, dati i livelli più elevati di nevroticismo, le donne hanno sperimentato più paura del dolore rispetto agli uomini.
Inoltre, nonostante le differenze significative tra i sessi sulle diverse sfaccettature del nevroticismo, era specificamente la sfaccettatura dell’ansia a mediare la relazione tra sesso e paura del dolore.
I risultati emersi sono coerenti con quelli di studi precedenti, nei quali è stato suggerito che l’ansia di tratto sia un antecedente distale della paura del dolore, che predice la sensibilità alla malattia (Vancleef et al., 2006).
Le analisi hanno anche rivelato che le precedenti esperienze dolorose hanno contribuito negativamente alla paura del dolore: gli individui che hanno sperimentato esperienze dolorose dal punto di vista fisico, probabilmente sviluppano un’idea del dolore in sé più realistica, che fornisce la possibilità di sviluppare strategie di coping più adattive (Rokke et al., 2004).
Collocando il nevroticismo alla radice del processo della paura del dolore, questi risultati offrono alcune potenziali implicazioni nella gestione del dolore per gli operatori sanitari.
Secondo il modello del fear avoidance (Vlaeyen & Linton, 2000), quando il dolore acuto non è percepito come minaccioso, è probabile che i pazienti mantengano l’impegno nelle attività quotidiane, attraverso le quali viene promosso il recupero funzionale (Leeuw et al., 2007).
Al contrario, quando il dolore viene interpretato in modo catastrofico ed è vissuto con impotenza da parte del soggetto, ciò non fa altro che alimentare un circolo vizioso (Sullivan, Bishop, & Pivik, 1995).
Difatti, queste interpretazioni disfunzionali danno origine alla paura legata al dolore e a comportamenti associati di ricerca della sicurezza, come l’evitamento e l’ipervigilanza, che peggiorano il problema, soprattutto nel caso di un dolore di lunga durata.
Ciò detto, sarebbe necessario che gli operatori sanitari valutino più specificamente la questione dell’ansia nei pazienti che soffrono di dolore (acuto o cronico), in modo da poter svolgere interventi psicoeducazionali sulla paura del dolore e sul dolore stesso (De Peuter, de Jong, Crombez, & Vlaeyen, 2009), che potrebbero aiutare a prevenire l’ulteriore sviluppo della paura del dolore nei loro pazienti.