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L’asessualità: sempre più spesso se ne sente parlare, ma sappiamo davvero che cos’è?

Asessualità: le persone asessuali si trovano oggi ad affrontare una lotta per i propri diritti, in quanto anch’essi sono bersaglio di discriminazione

Di Ambra Marzoli, Eleonora Casavecchi

Pubblicato il 05 Mag. 2021

Aggiornato il 30 Giu. 2022 12:27

Negli anni è cresciuto il numero di studi riguardanti l’asessualità e sono aumentati i differenti modi di concepire questo tema. Cerchiamo, quindi, di fare chiarezza, capire che cos’è e conoscere meglio l’asessualità.

 

Il termine “asessualità” fu riportato per la prima volta da Alfred Kinsey e colleghi nel 1948 attraverso l’inclusione di una categoria “X” alla nota scala Kinsey per la valutazione dell’orientamento sessuale, rappresentante l’insieme delle persone che non presentano attrazioni sessuali (Kinsey & Pomeroy, 1948). Successivamente l’asessualità fu descritta nel 1980 da Storms, il quale, attraverso il suo modello bidimensionale dell’orientamento sessuale, definì come gli individui asessuali si caratterizzano per la presenza di bassi livelli di eteroerotismo (attrazione per il sesso opposto) e bassi livelli di omoerotismo (attrazione per lo stesso sesso). Negli anni successivi l’asessualità ricevette ben poca attenzione accademica, fino a quando nel 2004 Bogaert non pubblicò i risultati di un’indagine su di un campione probabilistico inglese, in cui circa l’1% dei 18.000 rispondenti riportava la mancanza di attrazione sessuale.

Bogaert definì l’asessualità umana come la mancanza di attrazione sessuale verso qualcuno o qualcosa (Bogaert, 2004), specificando come l’assenza di sentimenti lussuriosi o inclinazioni sessuali verso gli altri debba avere una natura durevole o implicare una disposizione od orientamento stabile (Bogaert, 2015). Ma se la mancanza di attrazione sessuale è il comune denominatore che caratterizza le persone asessuali, ciò non significa che non vi siano differenze soggettive nel modo di vivere le relazioni, l’attrazione e l’arousal sessuale. Essere asessuali non significa infatti che le attività e i comportamenti sessuali siano assenti, né che vi sia una mancanza di desiderio sessuale in sé. Inoltre, l’essere asessuali non significa che vi sia una mancanza di attrazione romantica/affettiva verso le altre persone, ovvero non vuol dire che tutte le persone asessuali siano necessariamente aromantiche, dato che vi possono essere inclinazioni eteroromantiche, omoromantiche o biromantiche. Infine, la mancanza di attrazione sessuale non implica la mancanza di esperienze fisiologiche di arousal sessuale, dato che la capacità di lubrificazione vaginale e di erezione restano intatti (Bogaert, 2015).

La prevalenza di questo fenomeno non è ancora chiara data la mancanza di un consenso univoco sulla definizione di asessualità negli studi presenti in letteratura, ma le stime di ricerche recenti variano dallo 0.5% al 3.3% della popolazione ((Kinsey et al., 1948; Bogaert, 2004; Lucassen et al., 2011¸Hoglund, Jern, Sandnabba, & Santtila, 2014).

L’asessualità è stata concettualizzata in modi differenti nel corso del tempo e i vari inquadramenti del fenomeno la vedono o come un disturbo mentale, o come una parafilia, o come un disturbo del desiderio sessuale ipoattivo o come un orientamento sessuale unico. Di seguito verrà presentato un excursus delle varie definizioni.

Asessualità, neurodiversità e psicopatologia

Data la supposta centralità dell’attrazione sessuale come caratteristica fondamentale dell’essere umano, una delle domande che gli studiosi del fenomeno si sono posti è quella che indaga se l’asessualità sia o meno la manifestazione di una psicopatologia sottostante. Ci sono alcune evidenze che mettono in relazione l’asessualità con i disturbi dello spettro autistico. Gilmour, Schalomon e Smith ( 2012) riportano alti tassi di asessualità tra gli individui autistici, Ingudomnukul e colleghi affermano come il 17% delle donne con un disturbo dello spettro autistico riporta di essere asessuale o di non avere alcuna preferenza per nessuno dei due sessi (Ingudomnukul, Baron-Cohen,Wheelwright & Knickmeyer, 2007), mentre Chasin (2016) afferma come approssimativamente il 6 % degli uomini e delle donne asessuali riporta di non avere alcun interesse sessuale, così come di non identificarsi con nessun orientamento sessuale.

Gli individui asessuali secondo uno studio di Yule, Brotto e Gorzalka (2013) hanno una maggiore prevalenza di problemi di salute mentale e interpersonali, in particolare hanno più probabilità di riportare sintomi depressivi e ansiosi, nonché sintomi legati alla suicidalità rispetto agli individui non asessuali.

Uno studio di Brotto e colleghi del 2010 condotto su un ampio campione di donne e uomini che si auto-identificano come asessuali mostra come i livelli di depressione e di alessitimia siano comparabili a quelli della popolazione normativa, mentre si evidenziano alti tassi di ritiro sociale e di problemi interpersonali, così come la presenza di elevati tratti di personalità distante e socialmente inibita (Brotto, Knudson, Inskip, Rhodes & Erskine, 2010).

Questi risultati hanno portato gli autori a speculare sul fatto che gli individui asessuali potrebbero aver avuto problemi nell’attaccamento precoce in infanzia a causa di un temperamento evitante, i quali hanno poi portato allo sviluppo di un funzionamento sociale atipico e di problemi nelle relazioni intime nella vita adulta. In particolare gli autori si sono chiesti se gli individui asessuali presentino tratti corrispondenti ai disturbi di personalità del Cluster A del DSM-V, suggerendo come l’asessualità possa essere connessa al disturbo di personalità schizoide, caratterizzato da freddezza emotiva, mancanza di desiderio per le relazioni intime e da una limitata capacità di esprimere calore alle altre persone (American Psychiatric Association, 2013). Attraverso una serie di interviste qualitative condotte durante il follow-up dello studio su un sottogruppo di partecipanti si è evidenziato come la metà di questi riporti di possedere i tratti di personalità del disturbo schizoide (Brotto et al, 2010). Gli alti livelli di difficoltà interpersonale, di sintomi di ritiro sociale e l’elevata presenza di tratti di personalità inibiti ed evitanti riportati dagli individui asessuali nello studio di Yule e colleghi (2013) offrono sostegno all’ipotesi avanzata da Brotto e colleghi (2010), ma non è possibile arrivare a nessuna conclusione certa e l’argomento necessita di maggiori approfondimenti e studi futuri.

Nonostante le difficoltà e i problemi di natura mentale che gli individui asessuali possono presentare, è giusto ricordare come sia ragionevole concludere che l’asessualità non dovrebbe essere classificata né concettualizzata come un disturbo mentale o un sintomo di una condizione psichiatrica. È altresì possibile che i sintomi che riportano siano conseguenti la stigmatizzazione e la discriminazione deumanizzante che devono subire. È opinione dominante oggigiorno che il sesso sia un qualcosa di positivo, salutare e desiderabile e che non è possibile per un essere umano non provare attrazione sessuale. La pressione a conformarsi ad una norma sociale , il conflitto con le aspettative sociali e la percezione pubblica negativa dell’asessualità sono tutti fattori che possono generare distress, problemi mentali e difficoltà a relazionarsi con gli altri.

Asessualità e parafilie

Un’altra concettualizzazione che è stata proposta è quella che vede l’asessualità come una parafilia e a supporto di questa ipotesi è stata presa in considerazione l’attività masturbatoria, la cui grande variabilità dimostra come non tutti gli individui asessuali esibiscano una completa assenza di attività sessuale. È stata trovata l’evidenza per cui una percentuale significativa di individui asessuali si masturba (Bogaert, 2013; Brotto et al., 2010; Yule, Brotto & Gorzalka, 2014), sebbene con una frequenza inferiore rispetto alle persone non asessuali (Bogaert, 2013). L’esplorazione qualitativa inerente le motivazioni che portano alla masturbazione rivela che almeno alcuni individui asessuali la concepiscono come un atto fisiologico non relato a incentivi sessuali, necessario piuttosto a “ripulire l’impianto” (Brotto et al., 2010) o ad alleviare la tensione (Yule et al., 2014). D’altronde la presenza di masturbazione associata alle fantasie sessuali solleva la possibilità che vi sia un interesse sessuale di tipologia parafilica, ovvero un’attrazione sessuale inusuale, non diretta verso un partner. Bogaert (2012) suggerisce come le persone asessuali possano presentare un’inversione, un rovesciamento o una disconnessione tra il sé e il tipico target dell’interesse sessuale, come mostrato per esempio dall’automonosessualismo, in cui l’attrazione sessuale è rivolta verso se stessi piuttosto che verso gli altri (Bogaert, 2008). Bogaert (2006) però nota come la probabilità che un individuo asessuale sia parafilico sia molto bassa dato che la parafilia senza alcun interesse verso un essere umano è rara e visto che la sua prevalenza è più frequente nel genere maschile, mentre molti asessuali sono di genere femminile (Bogaert, 2004; 2013). Nonostante questo, è stata avanzata l’ipotesi per cui vi sia un tipo specifico di parafilia che può caratterizzare gli asessuali, ovvero l’autochorisessualismo, definito come una “sessualità senza identità”. In altre parole, non c’è un “Sé” o un “Io” o un’identità coinvolta nell’espressione sessuale e le fantasie vengono rivolte a scene ritraenti personaggi sconosciuti, fittizzi, generici. La mancanza di fantasie rivolte a persone conosciute, a un partner o a personaggi connessi alla vita reale dell’individuo asessuale è in linea con l’assenza di un’attrazione sessuale verso gli altri (Bogaert, 2012).

Asessualità e disturbo del desiderio sessuale ipoattivo

Una terza ipotesi avanzata per inquadrare l’asessualità è quella che la considera come un disturbo del desiderio sessuale ipoattivo (presente all’interno del DSM-5 nella categoria dei disturbi sessuali) e, a questo proposito, Brotto, Yule e Gorzalka (2014) hanno condotto uno studio il cui obiettivo era quello di esplorare le somiglianze e differenze tra soggetti asessuali e soggetti che soddisfano i criteri diagnostici per il disturbo del desiderio sessuale ipoattivo. Entrambi i gruppi condividono una mancanza di desiderio rispetto al sesso, sebbene si differenzino in base alla mancanza, nei soggetti asessuali, di distress, ovvero di disagio clinicamente significativo, che permette al clinico di fare diagnosi del disturbo. Ad ogni modo, può essere presente angoscia nel soggetto asessuale, correlata all’impatto della propria asessualità sulla sua relazione, nel momento in cui il partner è un individuo sessuale. Un elemento importante riscontrato da Brotto et al. (2014) è che alla domanda “Accetteresti un trattamento efficace per migliorare il tuo desiderio sessuale?” i soggetti asessuali, unanimemente, hanno rifiutato questa opzione, cosa che invece non avviene nei soggetti con disfunzione del desiderio sessuale in quanto, essendo una condizione egodistonica, con più probabilità si recheranno da un terapeuta per chiedere aiuto. L’obiettivo nel trattamento per quest’ultima categoria di persone è aumentare il loro interesse per il sesso, mentre un soggetto asessuale, essendo egosintonico, in terapia è più probabile che trarrà vantaggio da un focus sull’autoaccettazione (Hinderliter, 2013), così come nel caso di soggetti omosessuali o sullo sviluppo di abilità utili per gestire le relazioni, specialmente se il loro partner è sessuale e motivato a fare sesso.

Dallo studio emerge inoltre come i soggetti asessuali hanno probabilità inferiori di essere in una relazione rispetto ai soggetti con disturbo da desiderio sessuale ipoattivo e presentano d’altro canto un numero inferiore di partner sessuali e/o romantici (Brotto et al., 2014). I risultati indicano che sebbene i due gruppi condividano un disinteresse simile per l’attività sessuale, questi possono essere differenziati anche dal fatto che le persone asessuali riferiscono di avere livelli di desiderio ancora più bassi rispetto a quelli dei soggetti con disfunzione del desiderio sessuale. Nonostante tra i criteri del DSM-5 del disturbo in questione sia presente il criterio assenza o riduzione di fantasie sessuali, l’85% dei soggetti con tale diagnosi riferisce di aver sperimentato fantasie sessuali e quasi la metà attualmente sperimenta una fantasia sessuale a settimana, mentre il 38% dei soggetti asessuali riferisce di non aver mai sperimentato una fantasia sessuale (il restante 62% riferisce di aver sperimentato fantasie sessuali, ma i ricercatori non hanno esplorato i contenuti di esse, utilizzando le ipotesi che Bogaert (2012) ha nel merito delle fantasie sessuali “senza identità”, descritte precedentemente); ciò è interessante in quanto si potrebbero differenziare i due gruppi anche in base alla frequenza delle fantasie sessuali. I bassi tassi delle attività sessuali dei soggetti asessuali porta i ricercatori ad affermare come la mancanza di attrazione sessuale si rifletta in una mancanza di comportamenti sessuali; il ridotto desiderio sessuale è riscontrabile anche nelle attività sessuali non genitali (il 7.9% non ha mai svolto alcun tipo di attività sessuali, come i baci e le carezze). Il gruppo di soggetti con disturbo da desiderio sessuale ipoattivo, invece, nonostante il disagio esperito, continuano ad impegnarsi in attività sessuali. Infatti, l’89.3% dei soggetti asessuali ha riferito che preferirebbe non avere rapporti sessuali, a differenza dei soggetti del secondo gruppo, che segnalano di avere desiderio di rapporti sessuali e di altri comportamenti sessuali. Un ulteriore elemento che differenzia i due gruppi è che a differenza dei soggetti con basso desiderio sessuale, i quali riferiscono una riduzione di esso da un precedente livello più alto di desiderio, i soggetti asessuali descrivono un modello più duraturo di assenza di attrazione o di desiderio sessuale, descrivendosi come se non potessero relazionarsi. Per quanto riguarda il livello di funzionamento psicologico, è stata riscontrata una differenza significativa nei sintomi depressivi nel campione asessuale, che mostra tassi più bassi rispetto ai soggetti con disfunzione del desiderio, i quali presentano tassi più alti, equivalenti a un livello lieve di disturbo depressivo. Gli autori concludono suggerendo che, visti i risultati e la letteratura esistente, l’asessualità è una categoria distinta da una disfunzione del desiderio sessuale, tant’è vero che nel DSM-5, sia per il disturbo del desiderio sessuale ipoattivo (nell’uomo) che per il disturbo del desiderio sessuale e dell’eccitazione sessuale (nella donna) viene esplicitamente menzionato come criterio di esclusione per la diagnosi l’asessualità.

Asessualità come orientamento sessuale

L’ultima concettualizzazione proposta è quella che vede l’asessualità come un orientamento sessuale unico, al pari dell’orientamento etero e omosessuale. L’orientamento sessuale è definito come un meccanismo interno che dirige la disposizione sessuale e romantica di una persona verso persone del proprio sesso, del sesso opposto o entrambi. Se si prende come riferimento questa definizione, si potrebbe concludere che l’asessualità è in realtà assenza di orientamento sessuale.

Oliveira (2014), infatti, sottolinea come l’asessualità non possa essere concepita come un orientamento sessuale in quanto manca l’aspetto principale di quest’ultimo, ovvero l’interesse sessuale rivolto a un target. Le persone che si definiscono asessuali hanno sostenuto, tuttavia, che l’asessualità sia un orientamento sessuale unico e hanno fatto pressioni per la sua inclusione nelle società delle minoranze sessuali. Gazzola e Morrison (2012), a questo proposito, hanno cercato di riconcettualizzare il termine orientamento sessuale, definendolo come l’aspetto della propria identità personale e sociale che indica la presenza o l’assenza di target delle proprie attrazioni sessuali o comportamentali, per poter includere l’asessualità. Bogaert (2006) ritiene che sia l’attrazione sessuale, piuttosto che il comportamento sessuale a costituire il nucleo dell’orientamento sessuale. La scoperta che gli individui asessuali hanno riferito di sentirsi sempre in questo modo (Brotto, Knudson, Inskip, Rhodes, & Erskine, 2010; Van Houdenhove, Gijs, T’Sjoen, & Enzlin, 2015) suggerisce che la loro mancanza di attrazione sessuale può durare per tutta la vita ed è una caratteristica personale innata piuttosto che una reazione a un incontro (sessuale) sfavorevole; il fatto di non mettere in atto comportamenti sessuali risulta essere una tendenza comportamentale che confermerebbe il concetto di orientamento sessuale.

Una prova indiretta a sostegno dello sviluppo innato di un orientamento sessuale deriva dalla ricerca sui biomarcatori; Bogaert (2004, 2013) ha riferito che la tendenza delle donne asessuali ad avere caratteristiche mestruali atipiche rispetto alle donne sessuali, una statura più bassa e un numero maggiore di problemi di salute fornisce supporto per il ruolo delle prime influenze biologiche sull’asessualità. Ulteriori prove provengono da uno studio in cui donne e uomini asessuali avevano una probabilità significativamente maggiore di essere mancini (Yule, Brotto e Gorzalka, 2014b) e dato che la manualità è stata considerata un marker biologico associato allo sviluppo dell’orientamento sessuale (Lalumie`re, Blanchard, & Zucker, 2000), questi risultati forniscono delle prove indirette dell’asessualità come orientamento sessuale.

Seto (2012) ha suggerito tre criteri per capire se l’asessualità si adatta alla definizione di orientamento sessuale: l’età di esordio, il comportamento sessuale e romantico e la stabilità dell’attrazione nel tempo. Per quanto riguarda il primo criterio, i soggetti asessuali rivelano che, essendosi sempre sentiti in quel modo, negano l’esistenza di un evento significativo che ha innescato la perdita di attrazione sessuale; per quanto riguarda il secondo criterio, sebbene vi sia una grande variabilità nell’entità dell’attrazione romantica tra gli individui asessuali, c’è una relativa coerenza nella loro mancanza di motivazione per il sesso. Se questo è vero, allora l’asessualità soddisferebbe effettivamente questo criterio poiché la loro (relativa) mancanza di comportamento sessuale è parallela alla loro mancanza di attrazione sessuale. Per quanto riguarda l’ultimo criterio (la stabilità dell’attrazione nel tempo), ci sono stati studi (Cranney, 2016) che hanno segnalato una mancata continuità della non attrazione sessuale. L’asessualità, infatti, risulta essere la classe più eterogenea di orientamento sessuale e ciò fa pensare che ci possa essere una certa fluidità associata con l’identificazione dell’asessualità.

Nell’asessualità sono state riportate due categorie: le persone asessuali romantiche (che provano attrazione romantica, sentono interesse amoroso e desiderano mantenere una relazione amorevole con gli altri) e gli aromantici asessuali (che non hanno interesse a farsi coinvolgere romanticamente con qualcuno). Ci sono, inoltre, individui che si identificano come asessuali, ma che possono provare attrazione sessuale quando esiste già un contatto affettivo o emotivo e sono le persone demisessuali; oltre a questa categoria troviamo i soggetti gray-a, la cui attrazione sessuale può verificarsi in circostanze molto limitate, particolari e ancora non del tutto chiare. Nonostante queste due categorie si trovino in una posizione intermedia tra le persone asessuali e quelle sessuali, i soggetti gray-a e demisessuali si identificano come asessuali, a causa della bassa frequenza della loro attrazione sessuale. Proprio a causa di questa eterogeneità e fluidità, è probabile che il modo in cui si sperimenta la propria identità asessuata sia probabilmente diverso rispetto ad altri che rientrano nello stesso ombrello asessuale. Sta di fatto che, per fortuna, grazie alle spinte della comunità asessuale, c’è stata un’apertura da parte della ricerca a trovare prove per cercare di attenuare lo stigma nei confronti delle persone asessuali; le prove di correlazioni biologiche o predisposizioni all’asessualità sono, ad oggi, sufficienti per classificare l’asessualità come un orientamento sessuale unico.

Concludiamo ricordando come le persone asessuali si trovano ad affrontare una lotta per i propri diritti, in quanto anch’essi, come le persone che fanno parte della comunità LGBT, sono bersaglio di pregiudizi e discriminazione. Va sottolineato inoltre che la comunità asessuale risulta più invisibile rispetto alle altre minoranze sessuali, in quanto non rientrano nel movimento sociale per la legittimazione dell’orientamento sessuale e sono assenti dall’acronimo che caratterizza e determina il gruppo sopra citato. Perciò, facciamo presente che dal 2002, grazie a David Jayil, esiste la comunità AVEN (acronimo di Asexuality and Visibility Education Network – sito italiano https://it.asexuality.org/), la più grande e importante comunità asessuale al mondo (ad oggi conta circa 120 mila membri registrati in tutto il mondo), creata con l’obiettivo di promuovere discussioni sull’asessualità, stimolare la crescita e la visibilità della comunità asessuale e come risorsa informativa per le persone che si identificano come asessuali e per la comunità scientifica, per i media e per la società in generale.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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