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La comunicazione prima della parola e del simbolo: l’inconscio non rimosso

Non c’è conflitto, nell’inconscio non rimosso, ma piuttosto il retaggio di quel legame sensoriale stabilito nelle prime fasi di vita con l’oggetto materno.

Di Marta Rebecca Farsi

Pubblicato il 26 Apr. 2021

Aggiornato il 30 Apr. 2021 12:38

L’inconscio è la sede del rimosso, inteso come quel materiale psichico che, in contrasto con Super-Io e Io, viene “dimenticato”. Freud, però, ammette anche l’esistenza di un’ulteriore istanza, l’inconscio non rimosso, la cui formazione è collocabile in una fase evolutiva antecedente alla formazione delle istanze egoiche, supergoiche e dello stesso conflitto edipico.

 

Freud definisce l’inconscio come la sede del rimosso, inteso come quel materiale psichico che, in contrasto con i dettami censori del Super-Io e con la funzione regolatrice dell’ Io, viene “dimenticato”, e dunque segregato in una dimensione di non consapevolezza, attraverso il meccanismo della rimozione (Freud, 1917; Freud, A. 1936).

Questo stretto legame tra inconscio e rimozione lascia intendere che la principale funzione dell’inconscio sia quello di ospitare le pulsioni ritenute inaccettabili a seguito di una valutazione superegoica come anche egoica, e che pertanto non esista altra tipologia di inconscio al di là di quello “rimosso”.

In realtà è lo stesso Freud (1896) ad ammettere l’esistenza di un’ulteriore istanza – che egli chiama inconscio non rimosso – la cui formazione è collocabile in una fase evolutiva antecedente alla formazione delle istanze egoiche, supergoiche e dello stesso conflitto edipico.

Si tratta di un inconscio primitivo, destinato alla conservazione di tutte quelle modalità relazionali apprese nel contesto diadico, in uno stadio preverbale –presimbolico ove il canale somatico è l’unico strumento comunicativo e relazionale.

Al contrario della più nota tipologia di inconscio – quello rimosso – esso non è la sede di pulsioni esiliate perché potenzialmente in contrasto con la coscienza e l’accettabilità sociale. Non c’è conflitto, nel contenuto dell’inconscio non rimosso, ma “soltanto” il retaggio di quel legame sensoriale stabilito nelle prime fasi di vita con l’oggetto materno. Una relazionalità subsimbolica (Bucci, 1997) costruita sulla base di interscambi corporei, interazioni viscerali, percezioni somatiche, visive e prosodiche, che precedono il simbolo e la categorizzazione discreta, in quanto antecedenti qualsiasi processo valutativo o rielaborativo.

Per quanto precoci e connotate di immaturità espressiva, queste memorie conferiscono un’identità, pressoché indelebile, al modello affettivo costruito nel contesto diadico: una sorta di marchio relazionale maturato attraverso l’interazione con l’oggetto primario e per questo destinato a riprodursi per il resto della vita.

Oltre ad un luogo di deposito mnestico, l’inconscio non rimosso è dunque anche un luogo di origine e generazione, e l’assenza di conflitto che lo differenzia dal rimosso non basta a privarlo di una profonda dinamicità. La sua struttura e il suo contenuto molto possono dire sulla natura delle relazioni oggettuali primarie, e su come il loro evolversi trasformante abbia influito nell’organizzazione della vita affettiva, conducendola ove in una direzione evolutiva, ove in una patologica ( Klein, 1921-1958).

Inconscio non rimosso e inconscio rimosso: differenze ed elementi patologici

Sia nell’inconscio non rimosso che in quello rimosso è presente un materiale inaccessibile alla dimensione conscia, ma le motivazioni di questa segregazione sono diverse: nel caso dell’inconscio rimosso si è verificata un’autentica espulsione del materiale, avvenuta a seguito di una valutazione dominata dai principi censori del Super-Io e dalla volontà egoica di uniformarsi agli stessi; nell’inconscio non rimosso, al contrario, il contenuto psichico non è stato prodotto da un’espulsione, bensì dall’accumularsi progressivo di quelle esperienze interattive inconsapevoli, automatiche e dalla forte connotazione viscerale, che non hanno mai avuto accesso alla coscienza perché collocate in una fase precedente la formazione delle capacità simboliche e simbolizzanti, con la quali comunicare aspetti intimi del Sé e accedere riflessivamente alle proprie e alle altrui emozioni (Craparo, 2018).

Più che un conflitto tra gratificazione e censura, il materiale depositato nell’inconscio non rimosso rappresenta dunque la memoria somatica delle prime dinamiche intersoggettive con l’oggetto relazionale.

Ma in assenza di un ambiente materno in grado di tramutare le emozioni in simboli e i simboli in parole, la dimensione emotiva rischia di rimanere intrappolata in una condizione di non accessibilità e non interpretazione in grado di compromettere la formazione stessa del Sé: ciò comporta che nel caso di interazioni sensoriali carenti, e dunque di un vissuto relazionale non adeguatamente responsivo, l’inconscio non rimosso diverrà il deposito di memorie traumatiche, deprivanti e potenzialmente predittive di un Sé patologico e non integrato.

Dunque, se nell’inconscio rimosso il disfunzionamento consiste nella conflittualità tra pulsioni inconciliabili, ma pur sempre maturata all’interno di un Sé già strutturato, coeso e ben differenziato dall’oggetto materno, l’elemento patologico dell’inconscio non rimosso non riguarda un conflitto, ma la natura stessa delle memorie somatiche occorse durante le prime fasi della vita, la cui traumaticità ha impedito la formazione integrata del Sé.

Da qui il possibile ruolo dell’inconscio non rimosso nella formazione di psicopatologie in cui il disagio mostra connotati interpsichici pervasivi e globali, e in cui il conflitto non riguarda lo scontro tra pulsioni contrapposte quanto la struttura, la coesione e in certi casi la sopravvivenza psichica (Craparo, 2018): ad esempio il disturbo psicotico, nel quale ogni possibile relazione rievoca vissuti somatici di frammentazione, distruzione e devitalizzazione, originati da un deficit di differenziazione tra il Sé individuale e quello materno.

Ma anche quei disturbi somatizzanti che McDougall (1989) etichetta come “isteria arcaica”, nella quale il conflitto pulsionale non è relativo al diritto di ottenere soddisfazione delle proprie pulsioni libidiche contro gli ostacoli reali o superegoici, bensì alla più arcaica angoscia di esistere.

L’inconscio non rimosso come memoria implicita

L’emisfero destro è notoriamente destinato all’elaborazione delle sensazioni somatiche, delle percezioni immediate, olistiche, intuitive. È la zona del cervello deputata all’elaborazione delle emozioni, laddove l’emisfero sinistro si mostra maggiormente utilizzato per la codifica dei messaggi verbali, linguistici, delle interpretazioni logiche e analitiche dei dati ambientali.

Ciò fa sì che proprio l’emisfero destro sia destinato a divenire il luogo deputato all’immagazzinamento mnestico di esperienze somatiche arcaiche, che con il tempo assumono la forma di una memoria procedurale costruita sulla base di percezione corporee, comunicazioni non verbali, regolazioni affettive inconsce ricorsive esperite con l’oggetto primario, in questa fase dotato di una forte valenza trasformativo-evolutiva ( Ogden, 1987; 1989).

L’inconscio non rimosso, in qualità di deposito mnestico di materiale protoverbale e non simbolizzato, potrebbe essere dunque collocabile proprio nell’emisfero destro, in cui si presenta come una sorta di memoria procedurale implicita, relativa a tutte quelle abilità e quelle competenze che siamo in grado di attuare senza far ricorso ad una volontà consapevole (Siegel, 1999).

La memoria implicita non soggetta alla rimozione, non verbalizzabile né rievocabile dal punto di vista mnestico, riguarda proprio l’archiviazione inconscia delle esperienze primarie occorse con l’oggetto materno, dalle quali è destinato ad originarsi il nucleo stesso dell’inconscio non rimosso e di tutto quel contenuto presimbolico che avrà un influsso determinante sullo sviluppo della vita affettiva e cognitiva del soggetto. Freud lo definisce come un “patrimonio mnestico di percezioni precedenti che, in quanto mondo interiore, rappresentano un possesso e un elemento costitutivo dell’Io stesso” ( 1923, p. 612).

L’eco dell’inconscio non rimosso

A dispetto della sua natura non verbale e non simbolica, l’impronta della memoria viscerale impressa nell’inconscio non rimosso non si mostra certo priva di capacità comunicativa. Né è destinata a scomparire, con il tempo, quando il linguaggio verbale diventa la principale forma di espressione e relazionalità.

Per quanto non rievocabili a livello cosciente, le esperienze affettive arcaiche e le prime relazioni con l’ambiente sono da considerarsi tutt’altro che perdute. Al contrario, all’interno di questo contenuto misterioso e non verbalizzabile – sovrapponibile ad una memoria procedurale implicita – è percepibile l’ombra stessa dell’oggetto affettivo e delle sue modalità relazionali precipue destinate ad influenzare quelle future (Bollas, 1987).

Proprio in riferimento alla memoria implicita, Siegel (1999) mette in evidenza la sua capacità di influenzare non solo il presente, ma anche e soprattutto il funzionamento individuale futuro. Essa è infatti:

l’insieme dei processi in base al quale gli eventi del passato influenzano le risposte future. Il cervello interagisce con il mondo e registra le diverse esperienze attraverso meccanismi che modificano le sue successive modalità di reazione. (ibidem, 1999, p. 23-24)

Dunque il passato impresso nel nucleo dell’inconscio non rimosso sarà in grado di esercitare una profonda influenza nell’esistenza futura del soggetto, ove si mostrerà come una sorta di risonanza, un’eco affettiva che molto potrà dire sulla natura dell’oggetto primario e del suo approccio relazionale specifico.

In particolare l’impronta di questo materiale subsimbolico sarà percepibile nelle modalità in cui un soggetto costruisce i modelli affettivi che traggono ispirazione proprio dalla natura, più o meno funzionale, dell’holding environment (Winnicott, 1965) e dei primi approcci relazionali con la figura materna (Mancia 2006; Siegel, 1999).

Secondariamente, in quanto elemento somatico, sarà possibile percepirne la presenza negli aspetti concernenti l’espressività corporea, e dunque la capacità di comunicazione non verbale, l’approccio fisico all’altro, la gestione di spazi e distanze, la capacità di guardare e tollerare lo sguardo, e anche l’utilizzo di quegli aspetti paraverbali – prosodia, tono di voce, ritmicità dell’eloquio – che, non meno della componente verbale, si mostrano canali di espressività soggettiva.

A tal proposito Mancia (2006) evidenzia come nella componente prosodica del linguaggio sia presente una forte connotazione emozionale, una sorta di alone affettivo strettamente legato alla fase in cui la parola poteva essere intesa solo nel suo significato ritmico, essendo inaccessibile quello semantico. Il riferimento va alla musicalità espositiva del linguaggio materno, alla sua capacità di sintonizzarsi con lo stato emotivo del bambino e di generare, nella sua dimensione psichica, un senso di ordine e protezione garantito dalla familiarità di quel ritmo sonoro rassicurante, per quanto incomprensibile.

Questa esperienza sensoriale, così come altre verificatesi nelle prime fasi della vita, una volta impressa nell’inconscio non rimosso diverrà una sorta di marchio indelebile destinato a condizionare lo sviluppo di capacità espressive più evolute – ma prima di tutto farà avvertire la sua presenza nella dimensione relazionale corporea, dotandola al contempo di una forte componente interpretativa e rivelatrice del vissuto preverbale del soggetto.

Ciò sta a significare che, anche in un setting psicoterapico, il clinico dovrebbe prestare attenzione a tutte quelle componenti espressive che fanno parte della dimensione somatica del paziente, riconoscendo nella stessa l’eco di quelle relazioni affettive primarie che tanto possono dire sul suo vissuto preverbale specifico.

Il soffermarsi unicamente sul contenuto semantico del linguaggio, tralasciando quello metasignificante espresso dal soma, significherebbe togliere possibilità espressiva a quel materiale presimbolico che dall’inconscio non rimosso continua a parlare, dando voce a tutti le esperienze che hanno preceduto la parola, e per certi versi le hanno preparato la strada (Craparo, 2018).

Conclusioni

Il corpo è in grado di parlare con un linguaggio che sfugge alla parola e che, evidenziando importanti aspetti del Sé attuale e del Sé arcaico, molto rivela sulla natura funzionale o patologica di entrambi.

L’inconscio non rimosso riesce pertanto a comunicare la sua presenza anche dopo l’avvento del simbolo e della parola, sebbene lo faccia in un modo che non segue le stesse regole del dire verbale. Esso non ignora la parola o il simbolo, semplicemente ne precede la formazione. E cercando di esprimere il proprio contenuto subsimbolico valorizza la componente interpretativa, modificativa e mnestica dello strumento somatico come Io corporeo (Winnicott, 1949) che, ancor prima di quello verbale, è capace di proiettare il soggetto in una dimensione relazionale, fissando memorie funzionali e formative, così come traumatiche e annichilenti, per poi riprodurne il contenuto implicito nella formazione del Sé globale.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Bollas, C. (1987), L’ombra dell’oggetto, tr. it. Raffaello Cortina, Milano;
  • Bucci, W. (1997), Symptoms and symbols: a multiple code theory of somatization, in Psychoanalytic inquiry, 17, pp. 151-172;
  • Craparo, G. (2018), L’inconscio non rimosso, Raffaello Cortina, Milano;
  • Freud, S. (1896) Nuove osservazioni sulle neuropsicosi da difesa, O.S.F., tr.it. vol. 2, pp. 307- 327;
  • Freud, S. (1917) Introduzione alla psicoanalisi, Bollati Boringhieri, Torino 2012;
  • Freud, S. (1923) Nevrosi e psicosi, Newton Compton, Milano, 1970;
  • Freud, A. (1936) L’io e i meccanismi di difesa, Giunti, Firenze, 2012;
  • Klein, M. (1921-1958), Scritti, Bollati Boringhieri, Torino, 1978;
  • Mancia, M. (2006) Memoria implicita e inconscio precoce non rimosso: loro ruolo nel transfert e nel sogno, in Rivista di Psicoanalisi 52, pp. 629-655;
  • McDougall, J. (1989), I teatri del corpo, tr..it. Raffaello Cortina, Milano;
  • Ogden, P. (1987), L’ombra dell’oggetto, Raffaello Cortina, Milano;
  • Ogden, P., Fisher, J. (1989), Psicoterapia senso motoria: interventi per il trauma e l’attaccamento, tr.it. Raffaello Cortina, Milano, 2016
  • Siegel, D.J. (1999) La mente relazionale. Neurobiologia dell’esperienza interpersonale, tr.it. Raffaello Cortina Milano, 2001;
  • Winnicott, D.W., (1949), L’intelletto e il suo rapporto con lo psiche-soma, tr.it. in Dalla pediatria alla psicoanalisi, Martinelli, Firenze 1975, pp. 291-304;
  • Winnicott, D.W. (1965) Sviluppo affettivo e ambiente, Armando, Roma.
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