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Recensione di un libro sui Beatles, di un blog e di un blogger

Questa non è solo la recensione del libro "Getting Better" sui Beatles di Leonardo Tondelli, ma anche del suo blog e forse è una recensione del blogger..

Di Giovanni Maria Ruggiero

Pubblicato il 27 Apr. 2021

Il blog di Leonardo Tondelli, l’autore di Getting Better, fu uno dei primi. Scrive bene, scrive pop e colto, colto e pop, non è un trombone, ma nemmeno troppo leggero. Il suo umorismo è efficace, mai adolescenziale o peggio bislacco o da caserma come in molti aspiranti spiritosi del web avviene.

 

È uscito un bel libro sui Beatles: Getting Better di Leonardo Tondelli, pubblicato per Arcana. Non sono un cultore di rock e pop e nemmeno dei Beatles, eppure mi è capitato di ascoltarli moltissimo soprattutto dopo aver letto questo libro. Anzi, ho finito per ascoltarle tutte le canzoni dei Beatles, man mano che leggevo. Mi è anche capitato di leggere altra roba su di loro e ho scoperto che questo non è il primo libro che esamina tutte le canzoni dei Beatles una per una, ma è l’unico che mi abbia incoraggiato ad ascoltarle tutte e, se non altro per questo, lo raccomando. Non ho molto da aggiungere se non quello che dice la presentazione del libro: è fatto bene, è coinvolgente, ti invoglia ad ascoltare le canzoni una a una man mano che si legge. Non si tratta solo dell’aneddoto che accompagna ogni canzone e che l’autore è andato a pescare in ogni fonte possibile ma anche del fatto che Leonardo ti sa parlare dei Beatles come inventori di un nuovo modo di far musica (ricordo le analisi di Ticket to Ride, di I Want You (She’s so Heavy), delle canzoni di George Harrison e della grandezza della batteria di Ringo Starr in Come Together), come contestatori dei ruoli tradizionali di genere e al tempo stesso inguaribili maschilisti, grandi interpreti ma anche esecutori maldestri. Ti racconta i dolori intimi di John Lennon e ti fa capire la sua strana storia d’amore e maternità con Yoko Ono come nessuno. E come nessuno ti fa capire l’impenetrabilità inquietante della psiche di Paul McCartney. E così via.

In realtà non volevo parlare solo di questo. Volevo raccontare che Leonardo questo libro, prima di pubblicarlo, lo ha fatto uscire a puntate sul suo blog (leonardo.blogspot.com). Lo confesso, questa non è solo una recensione del libro di Leonardo ma anche del suo blog. Oggi i blog sono non dirò dimenticati e nemmeno semi-dimenticati, ma sono in quello stadio del quasi dimenticato che ancora tutti ricordano. Ricordiamoci: i blog esplosero all’inizio del millennio, prima dei social. Più liberi di Facebook o Tweeter, ognuno se li costruiva come voleva e permettevano di realizzare un vecchio sogno:

“anche io saprei scrivere come Giorgio Bocca, se solo potessi pubblicare anche io su un giornale gliela farei vedere a tutti”.

Chi ha pronunciato questi virgolettati? Nessuno in verità, o forse tutti noi, oppure più o meno un mio vecchio compagno di università che, stranamente, si chiamava anche lui Leonardo. E chi era Giorgio Bocca? Un giornalista di tanto tempo fa che dal quasi dimenticato sta passando a essere semidimenticato; a suo modo Giorgio Bocca, come tutti i giornalisti d’opinione, era un po’ ciò che c’era prima dei blog: gente che scriveva sui giornali, cha dava l’impressione di scrivere come tutti (“anche io saprei scrivere come Giorgio Bocca”) e che per questo esprimeva l’opinione un po’ di tutti come avviene oggi sui social e ieri sui blog, e che generava la voglia di scrivere come loro su una tribuna nazionale (“se solo potessi pubblicare anche io su un giornale gliela farei vedere a tutti”).

In quei giornalisti, Bocca a sinistra, Montanelli a destra e tanti altri, ci si rispecchiava e attraverso loro si aveva l’impressione di esprimersi, l’illusione di contare qualcosa, di non navigare sommersi in una massa irrilevante ma di essere cittadini di Atene, pieni e rilevanti partecipatori della democrazia. Con in più il vantaggio che quei giornalisti erano in fondo pochi, dieci o poco più o poco meno. Non vi era quindi profusione di opinioni, non vi era caos, non vi era frammentazione.

Poi arrivarono i blog. Apparirono, e fu il primo segnale di minaccia per i giornali. Ognuno si apriva la sua tribuna pubblica su internet e iniziava a dire la sua. A quei tempi si discuteva di Berlusconi soprattutto. Poi sopraggiunse l’11 settembre e si passò a parlare di Islam e Occidente, con un po’ o tanto Cristianesimo. E tutti a dire la loro, come tanti Bocca e Montanelli. Il sogno di essere tutti Giorgio Bocca si realizzava.

La realtà era però diversa. Prima di tutto la frammentazione, all’inizio poco apparente. I primi blog erano pochi. Poi esplosero e iniziò il caos. Non una ma mille opinioni. Lungi dal dialogare, ognuno iniziò a parlare per sé. E poi le gerarchie. L’idea che tutti potessero essere Giorgio Bocca era un’idea utopica, se vogliamo comunista. L’idea che non vi sarebbe stata più una sola élite privilegiata che aveva tutto non solo la ricchezza ma soprattutto l’accesso alla parola pubblica. Al suo posto sarebbe apparsa un’umanità egualitaria ma non mediocre che tutta scrive bene e tutta bene parla e si esprime e dialoga e contribuisce all’avanzamento civile e sociale e che mira ed è mirata, e in cor s’allegra.

Illusioni. Purtroppo, non era così e non poteva essere così. Ben presto fu chiaro che non eravamo uguali. C’era chi scriveva bene e chi no. E c’era chi scriveva meglio e chi peggio, chi solo benino e chi benissimo. E questa fu la prima dolorosa rivelazione.

Tra questi che scrivevano Leonardo emerse ben presto. Il suo fu uno dei primi blog e spiccò subito. Mi capitò di leggerlo e da allora, catturato dalla sua scrittura, non ho smesso di seguirlo. Scrive bene, c’è poco da fare, c’è da invidiarlo ma anche da imparare da lui, anche copiandolo. Scrive pop e colto, colto e pop, non è un trombone ma nemmeno troppo leggero. Il suo umorismo è efficace, mai adolescenziale o peggio bislacco o da caserma come in molti aspiranti spiritosi del web avviene. E non è un caso se ancora oggi il suo blog è li e si fa leggere. Io ho imparato molto da lui, ero da buon ex studente di Liceo Classico trombone e sostanzialmente illeggibile; non so se sono davvero migliorato come comunicatore ma Leonardo mi ha indicato una via e lo ringrazio.

Inoltre, Leonardo ha fatto carriera, ha scritto sull’Unità e sul Post, a conferma che le cose sono sempre complesse: i blog hanno corroso i giornali ma non li hanno sostituiti. Semmai sono i social ad aver sostituito i blog, che sono rimasti davvero in pochi a essere letti e aggiornati con nuovi argomenti, e tra questi solo quello di Leonardo forse davvero è ancora vivo mentre gli altri sono in rovina. Insomma, i blog hanno aperto la strada ai social, piattaforme già pronte, aperte al contributo occasionale e momentaneo, non costruito come quello dei blog che imitava il formato dell’articolo di giornale. Troppo complesso il blog per la media di noi medio-men, solo uno con il talento del giornalista di Leonardo poteva farcela a tenere in piedi il suo a quasi vent’anni dalla comparsa di Facebook. Leggetelo.

E tuttavia non basta. Leonardo non è solo un blogger che ce l’ha fatta a diventare giornalista. Questa è una recensione non solo del suo libro sui Beatles o del suo blog ma forse è una recensione di Leonardo blogger. Una disanima dei temi che tratta prenderebbe troppo tempo e spazio. Mi limiterò a due o tre argomenti e considerazioni che fanno di Leonardo un tipo davvero interessante. Se ho capito bene, insegna italiano o comunque materie letterarie alle scuole medie di Carpi e, se insegna come scrive, deve essere davvero bravo. Come tipo sembra -ma potrei sbagliare- molto emiliano e si porta addosso un po’ di quel sapore stereotipato -e con gli stereotipi si va sul sicuro o si sbaglia di sicuro- ma innegabilmente proprio di quella terra sempre tra Peppone e Don Camillo che riesce ad essere al tempo stesso bonariamente comunista e bonariamente capitalista, bonariamente cattolica ma anche anticlericale ma anche qui bonariamente, non alla maniera irritata e aggressiva dei loro cugini romagnoli. Ha questo afflato educativo a metà strada tra il toscano Don Milani e il piemontese Gianni Rodari, afflato che nel tessuto scolastico emiliano credo abbia trovato il suo terreno di coltura, favorito dall’amministrazione comunista ma anche al fondo cattolica e quindi attentissima alla crescita culturale e sociale del popolo. Una delle sue serie migliori sono i post “Emilia paranoica” e lì qualche volta Leonardo si confessa, facendo intravedere la sua storia e il suo ambiente, a metà strada tra Lenin e Stato della Chiesa, che è il marchio di fabbrica dell’Emilia. E così via andando avanti, accumulando mezze verità e banalità plausibili.

Ora però basta con queste genericità e guardiamo Leonardo in azione. Oltre i Beatles ed Emilia paranoica, un altro dei suoi argomenti favoriti sono le vite dei Santi. Le pubblica sul suo blog ma anche sul Post. Questa serie rappresenta davvero Leonardo al suo meglio. Leonardo prende un santo e ne descrive la vita e l’effetto è davvero spiazzante. Non è mai agiografico ma nemmeno banalmente dissacrante come un illuminista di provincia. Può rivelare certe ipocrisie della santità, certe credenze irrazionali (come l’esistenza o l’inesistenza di san Cristoforo) ma poi non insiste troppo su questo punto neo-razionalista. A volte sembra sfiorare un atteggiamento alla Chesterton, la posa da conservatore-chic di chi da moderno torna al cattolicesimo cercando una fonte di genuina appartenenza e identità tradizionale per reagire alla liquidità alla Bauman e vischiosa dell’età contemporanea.

Quest’ultima è l’operazione culturale tentata ad esempio dal Foglio, un giornale che quando apparve sembrava più un blog collettivo -esistevano anche i blog collettivi, come Macchianera (macchianera.net) che esiste ancora e nessuno legge più- che un giornale e che in fondo è rimasto un po’ quello. Conosciamo la strategia del Foglio ed è quella dell’ateo devoto ed è in due passi: il primo è decidere di credere pur avendo perso ogni fede perché la delusione della perdita della fede illuminista e giacobina è stata troppo forte; il secondo passo è iniettare sangue letterario in questa operazione che rischia di essere esangue rimpolpandola di un dandysmo anti-moderno e al tempo stesso ultra-moderno portato al limite estremo, curando allo spasimo lo stile e la perfezione scolpita della scrittura per giustificare i rischi della deriva reazionaria per non dire nazi-chic.

Leonardo non tenta mai questa operazione ambigua ma talvolta ti spiazza lambendo certi confini neo-conservatori, ma mai con il dandysmo e le pose del Foglio. Se a volte lo fa ci riesce in maniera sottilissima, così sottile da essere impercettibile. O forse, siamo sinceri, non lo fa mai davvero e semmai usa l’onestà intellettuale per insegnarci qualcosa. Quando ad esempio ammette di essere stato vittima di arroganza illuminista quando aveva deriso le processioni contro la peste del 1576 indette da San Carlo Borromeo, processioni superstiziose e dannose perché naturalmente avrebbero diffuso la peste malgrado tutte le preghiere che durante esse si sarebbero recitate. Perché arroganza? Perché lo stesso Leonardo, quando scopre che San Carlo aveva raccomandato che a queste processioni si dovesse rispettare il distanziamento sociale di tre metri, lo ammette e lo scrive. E lo scrive in una maniera tale che sembra che tutto sia calcolato fin dall’inizio, che quasi Leonardo abbia attirato il lettore nella sua invettiva illuminista e anti-clericale per poi fregarlo accompagnandolo a scoprire insieme a lui che questi cattolici di qualche secolo fa, lungi dall’essere superstiziosi e irrazionali come pensavamo noi illuministi, sapevano bene proteggersi dal contagio tenendosi a distanza di tre metri l’uno dall’altro per tutta la processione. E qui arriva poi il colpo da maestro in cui Leonardo lambisce la posizione reazionaria-chic ma senza impantarcisi: che poi a quei tempi -scrive Leonardo (ma non sto riportando le parole esatte, badate; andate a cercarvi da soli quel post sul suo blog)- più severi e seri dei nostri le distanze sociali erano rispettate sul serio, se non altro per la maggiore severità della polizia. Ancora un po’ e scrive che a quei tempi i treni arrivavano in orario.

Ci senti un po’ il piacere dell’intelletto acuto che sa scandalizzare non solo il borghese conservatore ma anche quello un po’ più radical-chic. Ecco, radical-chic è un termine che Leonardo odia e a ragione. Questo odio gli consente di non diventare mai un Tom Wolfe, un conservatore dandy. Eppure, al tempo stesso Leonardo un calcetto qua e là ai radical-chic lo rifila sempre, se non altro costringendoli, dopo avere a loro e a noi regalato il più bel libro sui Beatles mai pubblicato (esagero? No), a leggere la più bella serie di santi cristiani mai scritta (esagero? Forse) nella quale, accanto a tante giuste critiche laiche e progressiste alla religione, ci sono improvvise e strategicamente piazzatissime e piccole e decise spinte a riesaminare un certo anticlericalismo un po’ spicciolo che affligge il borghese illuminato.

Concludo qui, mettendo da parte altri tesori del blog e del blogger Leonardo. Non citerò la sua convincente critica al vecchiume umanistico di chi si attarda a studiare l’aoristo greco che si unisce al suo intenso amore per le materie umanistiche (la sua cultura è vasta e solida), non citerò la sua serie di Bob Dylan altrettanto bella di quella sui Beatles (a quando il libro?), non citerò il suo amore senza snobismi elitari non solo per i Beatles e Bob Dylan ma per molta altra musica pop, non citerò nemmeno un suo strano romanzo distopico e fantascientifico alla Philip Dick che gli occupò il terzo o quarto anno di vita del suo blog, e così via. Forse c’è un filo rosso che tiene insieme tutto: l’umanesimo classico e la polemica anti-classica, il progressismo e le spintarelle anti-anticlericali, il pop nella musica e la classicità intessuta di pop nella scrittura. Ci sono anche le ossessioni simpatiche sebbene a tratti inquietanti, come quella contro Renzi trasformato nel simbolo del male; ma forse è solo uno dei suoi trucchi per attirare il lettore radical-chic, o forse no, non posso e non voglio ridurre Leonardo Tondelli -la persona e il blogger- a uno schema. Insomma, andate a leggervi il suo blog: https://leonardo.blogspot.com/. C’è tutto quel che ha scritto da venti anni e più.

 

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Giovanni Maria Ruggiero
Giovanni Maria Ruggiero

Direttore responsabile di State of Mind, Professore di Psicologia Culturale e Psicoterapia presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna, Direttore Ricerca Gruppo Studi Cognitivi

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