Clubhouse è un social network messo a punto nel 2020, ma il boom in Italia c’è stato solo tra la fine di gennaio e gli inizi di febbraio 2021. Perché tutti vogliono potervi avere accesso?
Negli ultimi tempi, abbiamo assistito all’esplosione di un nuovo trend: quello di Clubhouse. È un nuovo social a cui, almeno per ora, si può accedere solo su invito e, proprio per questo, nei siti di e-commerce si sta osservando un fenomeno piuttosto interessante: molte persone, pur di aver accesso alla piattaforma, sarebbero disposte anche a pagare somme che vanno oltre il centinaio d’euro. Che cos’è che farebbe scattare questa molla?
Prima di rispondere alla domanda, spieghiamo brevemente di che cosa si tratta.
Clubhouse è un social network messo a punto nel 2020, ma il boom in Italia c’è stato solo tra la fine di gennaio e gli inizi di febbraio 2021.
Dalla home, l’utente può accedere alle diverse room, dove gli speaker comunicano utilizzando un unico canale: la propria voce. Non ci sono immagini, né chat scritte. Nessun filtro fotografico e nessun effetto speciale: solo la voce.
L’applicazione di Clubhouse, al momento, è disponibile solo su iOS ed è ancora in fase beta. Questo apre lo spazio per un’altra importante riflessione: quella sull’esclusività.
Torniamo quindi alla nostra domanda iniziale: perché tutti lo vogliono? Uno dei motivi principali è proprio il fatto che Clubhouse, in questo momento, non è accessibile a tutti ma solo a un’élite: chi ha un dispositivo Apple e chi ha avuto il privilegio di “esser stato nominato” .
Quali meccanismi psicologici entrano in azione in questo caso? Senza soffermarci sulle singole motivazioni individuali, che come tali restano uniche e personalissime, in linea generale possiamo rifarci, essenzialmente, a tre modelli teorici: il principio di scarsità, la teoria dei bisogni di Maslow e la teoria dei sistemi motivazionali di Lichtenberg.
Il principio di scarsità, noto anche come “la regola dei pochi”, è ben enunciato da Robert Cialdini (1989): le opportunità ci appaiono più desiderabili quando la loro disponibilità è limitata (Mannetti, 2002). Lo sanno bene i collezionisti: i pezzi più ambìti sono proprio quelli meno disponibili (Cialdini, 1989). Questo principio lo possiamo intravedere non solo nell’esclusività dell’accesso alla piattaforma (che, ricordiamo, al momento è solo su invito), ma anche nell’irripetibilità dei suoi contenuti: su Clubhouse tutto è in diretta, senza possibilità (attualmente) di registrare le conversazioni. Non è, dunque, un podcast che possiamo riascoltare in qualsiasi momento, ma una conversazione di gruppo di cui puoi fruire solo nel qui ed ora: se non ci sei, ti stai perdendo qualcosa.
Abraham Maslow, nel 1954, propose un modello motivazionale basato sui bisogni. Dispose questi ultimi, secondo un ordine gerarchico, lungo una piramide, tanto che questa teoria divenne nota come la “piramide dei bisogni” di Maslow. Alla base troviamo quelli fondamentali, necessari per la sopravvivenza dell’individuo e della specie (i cosiddetti “bisogni fisiologici” come respirare, mangiare, dormire, bere e avere una vita sessuale) mentre, salendo verso l’alto, troviamo via via quelli più immateriali: i bisogni di sicurezza, di appartenenza, di stima e, al vertice della piramide, quelli di autorealizzazione (Maslow, 1954; Gennaro, 2009; Avallone, 2011). A proposito del successo di Clubhouse, il bisogno di appartenenza gioca sicuramente un ruolo importante. Questo livello della piramide, infatti, ha a che fare con la necessità di sentirsi amati, riconosciuti e accettati come membri di un gruppo e di una comunità. Rappresenta la voglia di cooperare e d’identificarsi in un’entità collettiva. Questo bisogno potrebbe divenire ancora più irrefrenabile quando il gruppo in questione è particolarmente attraente, per il motivo che spiegavamo prima: essendo nato su una base elitaria, la desiderabilità che esercita è ancora più forte.
Lichtenberg (1989), a proposito di motivazione, ha elaborato la cosiddetta teoria dei sistemi motivazionali. Al suo interno troviamo un sistema motivazionale preciso, che è quello dell’affiliazione: ogni essere umano, cioè, proverebbe un innato impulso verso l’aggregazione, che si manifesterebbe nel desiderio di appartenenza e, specularmente, nel dolore del non sentirsi parte di alcunché. Alla base di questo sistema vi sarebbe, quindi, la necessità di appartenere a un gruppo, da cui si svilupperebbe poi l’identità sociale dell’individuo stesso. (Lichtenberg, 1989; Amadei et al., 2015). Se vogliamo utilizzare questo modello teorico per rispondere alla nostra domanda iniziale, potremmo declinarlo dicendo che, quando una piattaforma diventa particolarmente in voga, il desiderio di entrarne a far parte risponderebbe, da un lato, alla necessità innata di sentirsi parte di un gruppo più ampio; dal’altro, in maniera simmetrica, alla frustrazione del sentirsene esclusi. Due bisogni complementari, dunque, che sono insiti nella natura stessa dell’essere umano.
Queste teorie potrebbero, almeno in parte, spiegare perché ultimamente la “corsa agli inviti” per Clubhouse sia letteralmente impazzata.