Per favorire la collaborazione intergenerazionale sul posto di lavoro è fondamentale avere ben presente le caratteristiche fisico-sensoriali, cognitive ed emotivo-motivazionali tipiche di ogni fascia d’età, di questo ed altro si occupa l’Age Management.
Nel corso degli ultimi anni si è assistito a una vera e propria “rivoluzione grigia”, un aumento vertiginoso della speranza di vita spiegato dalle migliori condizioni igienico-sanitarie, dai livelli educativi più elevati e dagli stili di vita più salutari che caratterizzano la nostra società. Questo cambiamento demografico ha comportato chiaramente una serie di conseguenze anche sul mondo del lavoro, prima tra tutte il prolungamento dell’età lavorativa. All’interno dei contesti organizzativi sono sempre più numerosi gli older workers, o lavoratori senior, e gruppi di lavoro intergenerazionali dalle interazioni spesso conflittuali a causa di pregiudizi e stereotipi.
Una risposta alle criticità emergenti riconducibili al fattore età è la messa in atto di strategie di Age Management, una branca della diversity management sviluppatasi a partire dagli anni Novanta e il cui maggiore esponente è Alan Walker.
L’age management è un settore di intervento organizzativo specifico che permette di creare un ambiente e un clima organizzativo che favoriscono la presenza, accettazione e convivenza di più generazioni di lavoratori (Sarchielli & Fraccaroli, 2015). Inoltre, a seconda della tempestività dell’intervento, le pratiche di age management possono essere distinte in reattive, se l’invecchiamento del personale è già diventato una problematica per l’organizzazione, o preventive, in ottica di prevenzione del problema.
Per favorire la collaborazione intergenerazionale sul posto di lavoro è fondamentale avere ben presente le caratteristiche fisico-sensoriali, cognitive ed emotivo-motivazionali tipiche di ogni fascia d’età, gli stereotipi a esse associati e la conseguente predisposizione di interventi strutturati che, lavorando sugli aspetti metacognitivi, permettano un trasferimento dell’expertise tra generazioni.
Inoltre, affinché le organizzazioni si adeguino all’inevitabile invecchiamento della forza lavoro e promuovano pari opportunità tra lavoratori di diverse coorti è necessaria l’applicazione del job design, ovvero la definizione organizzativa del posto di lavoro e dei compiti e ruoli assegnati a ciascun lavoratore sulla base delle caratteristiche fisiche e psicologiche dello stesso. Nel caso del lavoratore anziano, sappiamo che con l’età possono aumentare i deficit sensoriali e i tempi di reazione, diminuire l’intelligenza fluida, rimanere costante l’intelligenza cristallizzata e migliorare la regolazione emotiva (De Beni & Borella, 2015). Per questa tipologia di lavoratori saranno quindi opportune misure ergonomiche, compiti che attivino processi di compensazione grazie all’esperienza accumulata e che prevedano il contatto con la clientela. Altra carta vincente, spesso erroneamente non utilizzata, è la formazione del personale senior. Essa viene tendenzialmente considerata un investimento con scarso ritorno economico ma se aggiorna e rafforza le abilità cristallizzate del lavoratore può vantare esiti positivi in termini di produttività, investendo successivamente il dipendente senior del ruolo di mentor (Sarchielli & Fraccaroli, 2015).
Ageismo sul posto di lavoro
L’invecchiamento della popolazione ha portato con sé sempre più fenomeni di ageismo, termine che sta a indicare un’alterazione di sentimenti, comportamenti e credenze nei confronti di individui di età diversa dalla propria (Butler, 1969).
Ashton Applewhite, attivista esperta di ageismo, afferma che “i più vecchi sono dannati se lavorano e dannati se non lo fanno”. Infatti, oltre ad attribuire all’anziano un inevitabile declino cognitivo e fisico, possono essere individuati una serie di miti sul suo rendimento lavorativo che comportano conseguenze negative dal punto di vista motivazionale e produttivo.
Il lavoratore senior viene dipinto come rallentato, più incline ad ammalarsi e ad assentarsi da lavoro, poco creativo, incapace a gestire lo stress e ad apprendere, tecnofobo e poco flessibile (Applewhite, 2017). Come anticipato, ne consegue che, proprio a causa di questi stereotipi, viene escluso dai programmi di formazione e dalle selezioni di assunzione, alimentando così difficoltà di scambio intergenerazionale.
In realtà è stato dimostrato che ogni aspetto della resa lavorativa migliora con l’età: i lavoratori sessantenni e settantenni sono assenti meno spesso, hanno meno incidenti, mostrano maggiore giudizio, lavorano più armoniosamente con gli altri e hanno risultati qualitativamente elevati (Fischer, 1978; Reade & McKenna, 2013).
Work Ability
Il costrutto di Work Ability è piuttosto recente e fa riferimento alla misura in cui un lavoratore è capace di svolgere il proprio lavoro, nel presente e nel futuro prossimo, rispetto alle richieste della propria mansione e alle proprie risorse materiali e fisiche (Ilmarinen, 2009).
Numerosi studi longitudinali hanno permesso di indagare la correlazione tra work ability e scelta di carriera degli individui (von Bonsdorff et al., 2011), dimostrando come una minore work ability determini una maggiore probabilità di pre-pensionamento.
Ne deriva la necessità da parte del management di promuovere la work ability durante il processo di invecchiamento del personale in modo da garantire una migliore qualità di vita e maggiore benessere, permettendo un migliore matching tra le risorse dei lavoratori e le esigenze lavorative.
Infine, la work ability sembrerebbe dipendere da quattro macro categorie di fattori trasversali: caratteristiche delle richieste del lavoro e ambientali; caratteristiche dell’organizzazione e della comunità di lavoro; competenze professionali; stile di vita.
La batteria MAUT
La batteria MAUT – Motivazione ad Acquisire, Utilizzare e Trasmettere conoscenze (Fiore et al., 2012) è composta da questionari self-report destinati a lavoratori giovani, lavoratori anziani, studenti universitari e studenti dell’Università della Terza Età. Tramite questo strumento è possibile valutare la disponibilità a scambiare e condividere abilità e conoscenze con persone di altre generazioni, gli stereotipi legati all’età e i fattori che incidono sulla disponibilità allo scambio.
La batteria, pertanto, si prefigge, tramite un approccio metacognitivo, di indagare le credenze ed emozioni individuali rispetto a persone di età diverse. Come sappiamo, gli stereotipi tendono a essere interiorizzati e hanno importanti ricadute sugli aspetti emotivo-motivazionali della persona e sulla sua performance.
Dunque, utilizzando questo strumento è possibile indagare la disponibilità del gruppo lavoro allo scambio intergenerazionale e predisporre degli interventi strutturati che aiutino a contrastare l’ageismo e a promuovere lo scambio di expertise.