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La censura sui social network per il benessere psicologico e sociale

Siamo così circondati e condizionati dall'informazione che l'attenzione verte necessariamente sul mondo virtuale e in particolare sui social network

Di Micol Carla Di Mattia

Pubblicato il 15 Feb. 2021

A partire dal concetto di “influenza sociale”, si cerca di spiegare in che modo determinati contenuti diffusi liberamente sui social network possano diventare pericolosi fino anche ad innescare possibili reazioni violente.

 

Ha fatto molto discutere, nei giorni scorsi, la scelta operata da Twitter di sospendere l’account personale di Donald Trump, in seguito alle sue ultime dichiarazioni riguardanti i tragici fatti di Capitol Hill.

Precedentemente anche Facebook aveva provveduto a fare la stessa scelta e ciò ci dovrebbe permettere di compiere una riflessione seria sul ruolo dei social network sulla nostra società, in quanto il problema non si basa sul caso specifico, piuttosto, sulla necessità di una regolamentazione di questi strumenti che sono così determinanti nella formazione dell’opinione pubblica.

In assenza di regole predeterminate e condivise, ogni piattaforma si autoregolamenta come ritiene più opportuno, con i pericoli che ne conseguono, anche perché, queste piattaforme, sono molto potenti e in grado di “manipolare” il nostro modo di pensare, esattamente come qualunque altro tipo di mass media.

In questo articolo, a partire dal concetto di “influenza sociale”, cercherò di spiegare in che modo determinati contenuti diffusi liberamente, possano diventare pericolosi fino anche ad innescare possibili reazioni violente.

Il fenomeno dell’influenza sociale ha cominciato a incuriosire gli studiosi all’inizio del secolo scorso, soprattutto a partire dal secondo dopoguerra, quando si cominciò a chiedersi come fosse stato possibile che intere popolazioni abbiano potuto condividere ideali perversi e intenzioni distruttive appartenenti, inizialmente, a poche altre persone.

Lo studio dell’influenza sociale esplora le modalità con cui i processi mentali, le emozioni e i comportamenti degli individui (o dei gruppi) sono modificati dalla presenza, effettiva o simbolica, di altri individui (o gruppi).

Influenzare deriva dal latino influere che significa “fluire, scorrere dentro”, termine che descrive perfettamente l’idea di ciò che potrebbe accadere durante un processo di influenza, sia a livello individuale, che a livello sociale.

L’informazione, quindi, è come un’energia che fluisce, che penetra, che coinvolge e può avvicinare o allontanare le persone.

Oggi siamo così pienamente circondati e condizionati dall’informazione che l’attenzione verte necessariamente sul mondo virtuale e, in particolare sui post che vengono divulgati nei vari social network.

Occorre considerare che una delle più comuni accezioni che si possono riscontrare nella letteratura scientifica, ma anche nel linguaggio comune, è quella di “potere”, ovvero, influenzare significa anche esercitare un potere su un ipotetico bersaglio.

Per “potere” intendiamo la capacità di far fare a qualcun’altro (o ad altri) quello che vogliamo, ossia la capacità di interferire nella sua volontà e di spingerlo attraverso la nostra.

Nel 1955 Katz e la Lazarsfeld effettuarono una ricerca sulla funzione svolta dai leader d’opinione su scelte di vario tipo che evidenziò come i media, con le loro modalità persuasive, non erano in grado, però, di indurre un cambiamento di atteggiamento o di idee, ma risultavano efficaci unicamente come rinforzo di convinzioni e scelte già precedentemente acquisite.

Partendo dal presupposto che le qualità positive e negative dell’essere umano possono essere sia stimolate, che represse, deduciamo allora che qualsiasi rinforzo appositamente studiato può influire su un soggetto e rinforzare le sue qualità (positive o negative) anche in modo automatico, cioè senza trovare da parte sua, alcuna resistenza.

Gli orientamenti più recenti sottolineano, insieme all’idea del rinforzo, anche quello della quantità di comunicazione a cui un soggetto si trova esposto, di conseguenza più una persona osserva certi tipi di messaggi (alla televisione, sui giornali, su internet…) e maggiore sarà l’influenza dei media sul suo modo di pensare.

Una grande quantità di messaggi violenti, a cui oggi siamo continuamente esposti, ha un effetto negativo, come di risonanza, in quanto richiama automaticamente in noi ciò che potrebbe essere in sintonia con questi contenuti.

Difficilmente possiamo dimostrare, in maniera scientifica, se gli individui violenti siano attirati da contenuti violenti (tramite post, programmi televisivi, etc…) o se, invece, i contenuti violenti inducano essi stessi comportamenti di tipo violento.

Stabilire la direzione causale di tale relazione non è semplice, ma i due fenomeni non si escludono a vicenda.

Anche se possiamo ammettere che un po’ di violenza sia presente in ognuno di noi, probabilmente gli individui che risultano più violenti sono attirati da messaggi violenti, i quali alimentano e stimolano la loro violenza interiore in vari modi.

L’esposizione e la relativa osservazione di alcuni tipi di contenuti porta a vivere su di sé ciò che viene trasmesso o divulgato dai mass media, di qualunque cosa si tratti: a chiunque di noi è capitato di rimanere colpito, in modo più o meno ossessionato, dopo aver guardato un certo tipo di programmi televisivi o dopo avere letto determinati post sui social network.

Negli anni ’60 Bandura, insieme ad alcuni suoi colleghi, ha formulato la teoria dell’apprendimento sociale, secondo la quale l’aggressività, quale comportamento sociale, viene acquisito e mantenuto solo a determinate condizioni.

Anche se questa teoria trasferisce la responsabilità del comportamento aggressivo all’ambiente, ovvero ad una situazione esterna, piuttosto che all’individuo, certamente l’osservazione di un comportamento aggressivo, più è in grado di produrre i risultati sperati e più aumenta la probabilità che l’osservatore adotti quel tipo di comportamento in situazioni analoghe.

E’ lecito augurarsi, tuttavia, che l’osservatore voglia adottare quel comportamento perché è in sintonia con ciò che egli prova nel profondo, altrimenti la speranza è che rimanga un semplice osservatore, probabilmente contrariato, se non addirittura disgustato da ciò che ha osservato.

Noelle – Newman (1974; 1984) infine, ha formulato la teoria della spirale del silenzio, secondo la quale i media sono uno strumento attraverso cui l’opinione pubblica – o ciò che dovrebbe diventare l’opinione pubblica – esercita una pressione al conformismo, mettendo a tacere le posizioni minoritarie.

Grazie a questa teoria osserviamo, infatti, che coloro che non condividono determinati messaggi precedentemente divulgati, tendono ad autocensurarsi per paura di essere considerati diversi e di rimanere soli.

La tendenza all’imitazione, che non riguarda solo i bambini, ma anche noi adulti, è un aspetto non trascurabile che, di fatto, alimenta e sostiene tutto questo processo, dimostrando ogni giorno, sempre di più, l’enorme potenza che hanno i modelli negativi, trasmessi dai mass media, sulle persone coinvolte.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Bandura, A. (1977). Social Learning Theory. New York, General Learning Press.
  • Gocci,  G., Occhini L., (2005). Atteggiamenti e comunicazione, Collana Zefiro Collettivo e individuazione, Edizioni Studio @lfa.
  • Katz, E., Lazarsfeld, P.F., (1968). L’influenza personale nelle comunicazioni di massa, ERI, Torino, (ediz. orig.: Personal influence: the part played by people in the flow of mass communications, Free Press, New York, 1955).
  • Mucchi Faina, A., (1996). L'influenza sociale, Il Mulino, Bologna.
  • Noelle-Neumann, E., (1984). The Spiral of Silence. Opinione pubblica - La nostra pelle sociale. Chicago University Press, Chicago.
 
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