Ad alimentare i pregiudizi sulla sessualità nella terza età vi sono il presupposto che vede la sessualità legata esclusivamente alla procreazione e alla vita coniugale e una società che esalta la bellezza dei corpi giovanili, ripudiando quelli più vecchi.
L’OMS definisce la salute sessuale una “integrazione di aspetti somatici, affettivi, intellettivi e sociali dell’essere sessuato realizzata in maniera che valorizzi la personalità, la comunicazione e l’amore” (1975). Tra i presupposti per un’adeguata salute sessuale vi sono, dunque, l’assenza di sentimenti di vergogna, colpa, timore e false credenze che compromettano la relazione sessuale.
Fondamentale è anche la Dichiarazione dei diritti sessuali (World Association of Sexology, 1999), secondo cui essi sono diritti umani fondamentali e universali, basati sulla libertà, sulla dignità e sull’uguaglianza propri di ogni essere umano. Tale documento, inoltre, afferma che “la sessualità è parte integrante di ogni essere umano. Il suo pieno sviluppo dipende dalla soddisfazione dei bisogni umani basilari come il desiderio di contatto, intimità, espressione emozionale, piacere, tenerezza, amore”.
Il diritto all’intimità, in tutte le sue forme, dura tutta la vita ma spesso viene negato agli anziani, la cui sessualità viene sottostimata o ignorata. L’anziano viene generalmente considerato asessuato o, se manifesta il desiderio di contatto, un “vecchio sporcaccione”. Questi stereotipi sono una forma di ageismo (Butler, 1969), ovvero di discriminazione nei confronti di individui di età differente dalla propria.
La causa principale di questi stereotipi è indubbiamente culturale: da una parte, il presupposto che vede la sessualità legata esclusivamente alla procreazione e alla vita coniugale, dall’altra, una società che esalta la bellezza dei corpi giovanili e ripudia quelli più vecchi.
Come è noto, gli stereotipi vengono interiorizzati e, in questo caso, è comune riscontrare nella popolazione anziana la cosiddetta sindrome da breakdown sessuale a causa della quale l’anziano, percependo sé stesso come asessuato, sviluppa problemi di autostima e sicurezza, minando il proprio benessere psicologico (Aveni Casucci, 1992).
Come sottolineato da Ashton Applewhite (2017), esperta di ageismo, “sia per scelta che per necessità il sesso e l’eccitazione cambiano nel tempo. […] Adattarsi ai corpi che cambiano potrebbe essere un catalizzatore per l’esplorazione erotica”.
È normale che con l’invecchiamento l’attività sessuale possa essere limitata dalla presenza di malattie croniche, rigidità muscolare, patologie che causano dolore o terapie farmacologiche che interferiscono con i meccanismi di desiderio/eccitazione (De Beni & Borella, 2015), ma è anche vero che le persone possono essere coinvolte in relazioni intime soddisfacenti in cui il sesso non è determinante ai fini della salute sessuale. Sempre citando la Applewhite (2017), è bene tenere a mente l’importanza del contatto fisico, de “l’essere toccati da un altro essere umano”, nell’intero arco di vita e del suo ruolo gratificante. Esso, all’interno di una relazione intima, fornisce conforto, sicurezza emotiva, aumenta l’autostima e allevia il dolore fisico (Umidi et al., 2007). Nel caso di deterioramento cognitivo, invece, esso rappresenta un mezzo di comunicazione e una forma di relazione (Goldschmidt & van Meines, 2011).
In aggiunta, questi stereotipi spesso possono presentarsi anche in ambito sanitario, manifestati da professionisti che, occupandosi di anziani, non prendono in considerazione la sfera intima e sessuale neanche in sede di anamnesi. Dando, dunque, per scontato che non siano sessualmente attivi, i medici non controllano di routine nel paziente geriatrico la presenza di malattie sessualmente trasmissibili, i cui sintomi (stanchezza, perdita di peso, confusione) possono essere scambiati per “normali sofferenze dovute all’età” (Applewhite, 2017).
I dati sulla sessualità della popolazione anziana
Nonostante lo stereotipo diffuso dell’anziano asessuato, i dati dicono tutt’altro. Sono stati, infatti, osservati orgasmi sia in uomini che in donne anche dopo il compimento del novantesimo anno d’età (Kaplan, 1976).
Inoltre, una rassegna condotta da ricercatori italiani mostra come circa un terzo degli anziani intervistati tra i 65 e i 106 anni si dichiari ancora interessato al sesso anche quando la possibilità di farlo diminuisce, indipendentemente dall’età (Dello Buono et al., 1998).
Infine, una ricerca del Censis (Centro Studi Investimenti Sociali; 2000) ha intervistato 1.298 anziani italiani, rilevando come molti di essi siano sessualmente soddisfatti: sono risultati sessualmente attivi il 73,4% degli italiani tra i 61-70 anni e il 39,1% degli ultrasettantenni.