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Fine vita: cosa succede in una famiglia? Analisi sistemica degli aspetti psicologici

La morte di un familiare può essere l’evento più sconvolgente e temuto nella vita di una persona, talvolta più terrificante della propria morte o malattia.

Di Serena Romiti

Pubblicato il 22 Gen. 2021

Il concetto di morte è un tema che accompagna l’intero arco della vita e possiamo assistere a diverse rappresentazioni di questo evento dall’infanzia fino all’età adulta. Cosa accade nel sistema familiare nel momento in cui avviene un processo di cambiamento legato alla sofferenza e alla perdita?

 

J. K. Rowling, nota per aver dato vita alla saga di Harry Potter, scrive:

In fin dei conti, per una mente ben organizzata, la morte non è che una nuova, grande avventura.

Quello del fine vita è un argomento molto delicato e studiato per i suoi aspetti psicologici soprattutto nell’ambito della psicologia della salute.

Il concetto di morte è un tema che accompagna l’intero arco della vita e possiamo assistere a diverse rappresentazioni di questo evento dall’infanzia fino all’età adulta. Nella prospettiva della psicologia della salute, la morte costituisce un momento della vita stessa e, come se fossimo protagonisti di un paradosso, non si è più vivi di quando ci avviciniamo alla fine della vita. Questa ottica, a cavallo tra psicologia e filosofia, ci offre una serie di considerazioni importanti, su quanto sia fondamentale la persona che si avvicina alla fine della propria vita e dell’intero nucleo familiare che le sta vicino, con lo scopo di agire per la costruzione del benessere dell’intero sistema familiare.

Le fasi del fine vita

La psicoanalista Elizabeth Kübler-Ross, pioniera nello studio e nella ricerca legati alla morte, ha individuato un modello che espone le cinque fasi che le persone attraversano mentre si avvicinano al momento della loro morte (Taylor, 2018). Queste fasi possiamo osservarle anche nei familiari prima e dopo la perdita del proprio caro. È importante anche affermare che queste non seguono pedissequamente l’ordine stabilito dalla Kübler-Ross usato a scopo esplicativo, ma sono reazioni che vengono comunemente sperimentate anche contemporaneamente e in un ordine diverso o intermittente (Taylor, 2018).
Le cinque fasi sono:

  • Negazione: è un meccanismo di difesa attraverso il quale le persone evitano le implicazioni di una malattia. Queste persone possono agire come se la malattia non fosse grave o non avesse effetti a lungo termine. In casi estremi, il paziente può persino negare di avere la malattia, nonostante gli siano state fornite informazioni chiare sulla diagnosi. È, dunque, un tentativo difensivo di bloccare la piena realizzazione della realtà e della malattia. Questo meccanismo, tuttavia, può essere anche utile dal momento che può proteggere il paziente dalla piena realizzazione della morte imminente (Taylor, 2018).
  • Rabbia: la domanda tipica di questa fase è “Perché io?”. La reazione tipica è quella del risentimento verso chiunque sia sano, come il personale dell’ospedale, i familiari, gli amici. I pazienti che non possono esprimere la loro rabbia direttamente possono farlo indirettamente mostrandosi amareggiati. Questi mostrano risentimento attraverso battute sulla morte o con osservazioni puntuali su tutte le cose eccitanti che non saranno in grado di fare perché avverranno dopo la loro morte. La rabbia è una delle risposte più difficili da affrontare per la famiglia e gli amici, potrebbero sentirsi accusati dal paziente di godere di ottima salute. La famiglia ha bisogno di sapere che il paziente in realtà non è veramente arrabbiato con loro ma con il destino a cui va incontro (Taylor, 2018).
  • Contrattazione: il paziente abbandona la rabbia a favore di una strategia diversa, ovvero quella di adottare una buona condotta in cambio di una buona salute. Qui emerge un forte impatto della sfera spirituale, poiché il paziente accetta di impegnarsi in opere di bene o almeno di abbandonare i modi egoistici in cambio di una salute migliore o di più tempo da vivere (Taylor, 2018).
  • Depressione: è caratterizzata da una perdita del controllo con cui il paziente inizia a fare i conti. Arriva la consapevolezza che il tempo è finito e che si può fare poco per fermare il corso della malattia. Questa presa di coscienza può coincidere con un peggioramento dei sintomi, con la prova tangibile che la malattia non verrà curata. I pazienti possono sentirsi nauseati, senza fiato e stanchi, possono avere difficoltà a mangiare, controllare l’eliminazione, focalizzare l’attenzione e sfuggire al dolore o al disagio. Si definisce questa fase come un momento di “dolore anticipatorio”, in cui i pazienti piangono la prospettiva della propria morte. Questo processo di lutto può avvenire in due tempi, poiché prima si fanno i conti con la perdita di attività passate, poi si inizia ad anticipare la futura perdita di attività e relazioni. La depressione può essere però anche funzionale nei termini di una preparazione a ciò che avverrà (Taylor, 2018).
  • Accettazione: in questa fase, considerata quella finale nella teoria della Kubler-Ross, il paziente potrebbe essere troppo debole per provare rabbia o troppo abituato all’idea di morire per essere depresso. Può scendere una calma stanca, pacifica, anche se non necessariamente piacevole. Alcuni pazienti usano questo tempo per prepararsi all’evento, decidere come dividere i loro beni rimanenti e salutare i vecchi amici e i familiari (Taylor, 2018).

I sopravvissuti: elaborazione della perdita nel sistema famiglia

La morte di un membro della famiglia può essere l’evento più sconvolgente e temuto nella vita di una persona. In alcuni casi, diventa anche una prospettiva più terrificante della propria morte o malattia (Taylor, 2018). Quello che è riscontrabile è che la perdita di un membro della propria famiglia comporta un cambiamento dell’intero sistema familiare (Taylor, 2018).

Un punto di vista interessante è quello di vedere la famiglia come un sistema interpersonale considerato un circuito di retroazione dove il comportamento di ogni persona influenza ed è influenzato dal comportamento degli altri componenti del sistema.

Adesso la domanda da porsi è: cosa accade nel sistema nel momento in cui avviene un processo di cambiamento legato alla sofferenza e alla perdita?

Possiamo rispondere al quesito con alcuni principi esplicativi:

  • Tutti i membri del sistema familiare sono interconnessi e interdipendenti. Con questo si intende che davanti ad una situazione di cambiamento non cambia solo l’individuo ma l’intero sistema di relazioni in cui è inserito. Un sistema è composto da soggetti in costante connessione tra loro: se una persona si ammala nel sistema famiglia questo implica un cambiamento.
  • Le famiglie tendono a mantenere il loro equilibrio omeostatico. Ognuno di noi tende a mantenere il proprio equilibrio, la posizione in cui si trova. Anche all’interno del sistema ognuno ha il proprio ruolo e tutto si muove in funzione del mantenimento del ruolo di ciascuno. La vita, però, è in costante cambiamento e noi tendiamo a resistergli, ad opporci a questo, provocando sofferenza.
  • Quando un membro della famiglia prova dolore tutti i membri della famiglia provano una qualche forma di dolore. Se tutti i membri del sistema sono interconnessi è chiaro che il dolore provato da uno di questi membri coinvolge anche gli altri. Il dolore non sarà mai lo stesso, ognuno avrà la propria dimensione, ma allo stesso tempo ci saranno dei fattori comuni al dolore che prova la persona in questione.
  • Ciascun membro della famiglia ha la sua narrazione da fare e deve essere ascoltato empaticamente. La narrazione è fondamentale per il sistema di credenze. Racconto una serie di esperienze che mi permettono, in qualche modo, di declinare, secondo il mio sistema cognitivo, l’esperienza. Ogni membro della famiglia ha il suo punto di vista e quindi questa narrazione va sempre e comunque considerata e ha bisogno di essere accolta. Le difficoltà emotive e pratiche che un membro della famiglia può incontrare, insieme alle narrazioni, hanno necessità di essere accolte, ascoltate. Uno dei problemi centrali è proprio non elaborare e non narrare, e quindi non sapersi raccontare rispetto all’esperienza che si sta attraversando.
  • Il cambiamento di un membro del sistema favorirà il cambiamento degli altri membri del sistema famiglia. È chiaro, a questo punto, che favorire il cambiamento di uno, favorisce il cambiamento dell’intero sistema.
  • Ciascuna persona è responsabile del proprio comportamento. Spesso l’azione dello psicoterapeuta è quello di togliere il noi, favorire l’io e favorire l’assunzione di responsabilità individuale.

A questi sei principi corrispondono altrettanti possibili interventi in ambito psicologico e terapeutico:

  1. Aiutare a districarsi dai sentimenti troppo interconnessi e a lasciare il senso di essere un sé separato. Dato che esiste un’interconnessione eccessiva che diventa molto vincolante tra i membri di una famiglia, l’intervento terapeutico è quello di districarsi dai sentimenti e iniziare ad essere un Sé separato, favorire l’uso dell’Io. L’Io è l’assunzione di una responsabilità. L’uso del Noi è confusivo, nasconde l’Io e il mito della simbiosi di coppia è fonte di nevrosi che impedisce al Sé separato di scegliere e di agire. Il compito del terapeuta è quello di districare il groviglio del Noi a vantaggio del filo dell’Io. Proprio perché Sé separato, questo è in grado di legarsi all’altro.
  2. Tentare di rompere un equilibrio che ha avuto conseguenze negative. Lo sforzo nel mantenere l’equilibrio del sistema, spesso, implica delle sofferenze e meccanismi di tipo disadattivo. È nell’ambivalenza delle cose che c’è lo sforzo. Cercare di mantenere un equilibrio che non può essere più mantenuto è fonte di grande sofferenza. Allora, questa rigidità nell’essere ancorati al sistema che non è più funzionale alla nuova situazione va infranta, perché lo sforzo non è quello di mantenere l’equilibrio ma di trovarne uno nuovo che risponda ad aspetti adattivi e funzionali. Districare il groviglio del Noi a favore del Sé va nella direzione di un nuovo equilibrio. Si possono negare i cambiamenti proprio perché il nostro sistema cognitivo è ancorato ad uno stadio antecedente rispetto ai cambiamenti, ad esempio, i figli che vedono il genitore che non è più autonomo possono rispondere a questo cambiamento rimproverandolo. È un lavoro faticoso perché significa rivedere tutta l’organizzazione della famiglia, anche dell’assistenza della persona. L’eccessivo coinvolgimento è, comunque, fonte di sofferenza.
  3. Incoraggiare la condivisione del dolore. Incoraggiare la condivisione significa verbalizzare il dolore, parlare a me stesso e agli altri perché ci sia ascolto ed espressione del dolore ed accoglierne le diverse declinazioni che la famiglia esprime ed elabora. Il dolore ha bisogno di essere ascoltato. La specie umana ha bisogno per sopravvivere di essere gruppo e comunità, di solidarietà. Lo spazio di condivisione del dolore è importante perché favorisce l’espressione del Sé in una dimensione di ascolto. Il fatto di affermare, da parte di tutti i membri della famiglia di provare lo stesso dolore, può essere considerato un meccanismo difensivo, perché si favorisce il Noi al posto del Sé. Per questo si richiede un racconto personale a tutti i membri della famiglia, di narrare in senso personale la propria esperienza.
  4. Richiedere un racconto personale. Il racconto personale che è anche il senso personale che si attribuisce all’esperienza permette di dire a sé stessi cosa si sta attraversando, di aprire lo spazio alla crescita e non mantenere lo status quo, ma affacciarsi alla dimensione iniziale soggettiva.
  5. Il cambiamento della persona anticipa e può essere concomitante con quello degli altri. Il cambiamento dei comportamenti e dei sistemi di credenze di uno dei membri della famiglia implica il cambiamento degli altri, lo anticipa, può essere concomitante e lo può favorire. Significa che il lavoro dello psicologo con una persona, comporta un cambiamento in quella persona e di conseguenza può favorire quello dell’intero sistema. Cambiare significa muoversi in una direzione e questo implica che tutto il sistema si muova, a meno che non si manifestino condizioni psicopatologiche per cui l’intero sistema resiste al cambiamento. Allora, compito dello psicologo è quello di favorire e promuovere i processi di cambiamento.
  6. Incoraggiare l’indipendenza, la responsabilità e la padronanza. Ogni persona è responsabile del proprio comportamento. L’uso dell’Io significa assumersi l’unica responsabilità dell’essere Sé e quindi assumere padronanza di Sé.

Conclusioni

Per elaborare i vissuti di perdita appare molto utile la narrazione che il soggetto fa di questa esperienza. La narrazione permette di elaborare storie attraverso le quali costruiamo una versione di noi stessi nel mondo, una versione verosimile con cui ricostruiamo il significato delle nostre azioni e le leghiamo al senso della vita vissuta (Cardinale, 2012).

Le strutture narrative sono forme universali attraverso cui le persone comprendono la realtà e comunicano su di essa. Il racconto permette di costruire significati che consentono agli uomini di interagire con il sistema di convenzioni culturali all’interno del quale essi vivono (Cardinale, 2012).

Il pensiero narrativo consiste nel raccontarsi all’altro e a sé stessi. Narrare significa saper dare forma all’esperienza, organizzarla, interpretarla in modo da poterla comunicare e condividere con chi ci ascolta. Diventa uno strumento per creare una memoria (Cardinale, 2012).

In ambito terapeutico, la narrazione dell’esperienza personale dovrebbe avere un ruolo significativo nelle relazioni di cura perché la sofferenza richiede di essere inserita in racconti reali per acquisire un senso preciso, diventare condivisibile e trasformarsi in risorsa (Cardinale, 2012).

Il modo in cui il paziente racconta la propria esperienza è un metodo che può essere applicato ad ogni forma patologica.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Cardinale, R. (2012). La morte in culla: Il vissuto e la narrazione. Università degli Studi di Firenze, Firenze, Italia.
  • Elisabeth Kübler-Ross, On death and dying, Macmillan, 1969. Trad. it.: La morte e il morire, Assisi, Cittadella, 1976.
  • Taylor, S. E. (2018). Health Psychology. New York: McGraw-Hill Education.
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