L’autolesionismo è definito come una strategia di coping maladattiva associata spesso ad una “regolazione emotiva deficitaria”. Esso è descritto attraverso molti termini, definibili come “lesioni intenzionali verso se stessi senza intenti suicidari” o NSSI
Le strategie di coping sono un insieme di strategie che vengono messe in atto per fronteggiare i problemi. Non tutte le strategie di coping sono funzionali, in quanto una regolazione emotiva inefficace può portare il soggetto a crearne alcune maladattive (Brereton e McGlinchey, 2019). L’autolesionismo è definito come una strategia di coping maladattiva associata spesso ad una “regolazione emotiva povera” (Sim et al., 2009; Brereton e McGlinchey, 2019) e a comportamenti autolesionistici come bruciature, tagli, testate o pugni (Mikolajczak, Petrides e Hurry, 2009; Brereton e McGlinchey, 2019). L’autolesionismo è descritto attraverso molti termini, definibili come “lesioni intenzionali verso se stessi senza intenti suicidari” – o NSSI (Klonsky, Oltmanns e Turkheimer, 2003, p. 1501; American Psychiatric Association, 2013).
Le prime forme di autolesionismo si osservano nella prima adolescenza (Jacobson e Gould, 2007) – dove circa l’80% dei soggetti mette in atto forme di autolesionismo per regolare le emozioni (Brereton e McGlinchey, 2019) e con una frequenza maggiore in alcuni disturbi, come il disturbo borderline di personalità (BPD; American Psychiatric Association, 2013; Nock, 2009; Suyemoto, 1998). I tassi di prevalenza nell’arco della vita si stima che vadano dal 13.0% al 23,2% (Jacobson e Gould, 2007). Dato che il disturbo borderline di personalità è raramente diagnosticato negli adolescenti, è importante trovare altri marcatori legati a comportamenti autolesionistici (McKenzie e Gross, 2014; Suyemoto, 1998). I fattori correlati sono molti, come il cercare di evitare un’esperienza emotiva come “l’elusione esperienziale” (Chapman, Gratz e Brown, 2006) o per regolare quelle negative attraverso il dolore (Mikolajczak et al., 2009; Brereton e McGlinchey, 2019). La regolazione emotiva è stata definita da Cole e colleghi (2004) come “cambiamenti associati alle emozioni attivate” (p. 320). Gli stessi autori hanno osservato come tale regolazione dipenda da emozioni come regolamentazione (si riferiscono così a cambiamenti che si sviluppano da emozioni attivate) o da emozioni come regolate (per indicare la trasformazione delle emozioni stesse) (Brereton e McGlinchey, 2019). Per dare una definizione migliore, Eisenberg e Spinrad (2004, p. 338) spiegano la regolazione emotiva come un:
processo di avvio, prevenzione, mantenimento, inibizione o modulazione di forma, intensità e durata degli stati di sentimento interni, inclusi gli stati fisiologici, dei processi di attenzione, di stati motivazionali e/o comportamentali concomitanti alle emozioni con lo scopo di realizzare affetti biologici, l’adattamento sociale o il raggiungimento di obiettivi individuali (Brereton e McGlinchey, 2019, p.6).
L’evitamento esperienziale fa riferimento ad un’ampia gamma di comportamenti di elusione: il termine viene utilizzato per descrivere quando un individuo:
non è disposto a rimanere in contatto con particolari esperienze private come sensazioni corporee, pensieri, memoria, emozioni e predisposizioni comportamentali, di conseguenza agisce prendendo provvedimenti per alterare la forma e la frequenza di questi eventi, nonché i contesti correlati (Hayes et al., 1996, p. 1154; Brereton e McGlinchey, 2019).
Il modello esperienziale dell’autolesionismo spiega come un individuo metta in atto un autolesionismo intenzionale per sfuggire o per evitare determinati fattori: in questo caso l’autolesionismo è mantenuto attraverso il rinforzo negativo nella fuga da emozioni indesiderate (Chapman et al., 2006).
Brereton e McGlinchey (2019) hanno effettuato una revisione sistematica su 17 articoli riguardanti regolazione delle emozioni, evitamento esperienziale e autolesionismo. I risultati ottenuti indicano come il concetto di sopprimere o evitare pensieri, esperienze e contingenze indesiderate è legato a comportamenti autolesionisti (Armey e Crowther, 2008; Gratz et al., 2010; Jutengren et al., 2011, Nielsen et al., 2016). L’autolesionismo è più frequente in soggetti con una difficoltà legata alla regolazione delle emozioni in quanto viene visto come una possibile strategia efficace (Anderson e Crowther, 2012; Armey e Crowther, 2008; Gratz et al., 2016; Nielsen et al., 2016). Tutti gli studi, tranne uno, hanno fornito un sostegno al concetto che la scarsa regolazione delle emozioni e l’evitamento esperienziale siano legati all’autolesionismo (Brereton e McGlinchey, 2019), inoltre gli autori si concentrano sul trattamento che potrebbe ridurre la frequenza di tali comportamenti nocivi. Trattamenti incentrati sul miglioramento delle capacità di regolazione emotiva (Gratz e Gunderson, 2006; Gratz e Tull, 2011) e sul miglioramento della regolazione di comportamenti elusivi (Gratz e Gunderson, 2006) si sono dimostrati utili per ridurre la frequenza di comportamenti autolesionistici.