Il testo Adolescenti in crisi raccoglie testimonianze, approfondimenti e casi clinici di stampo psicoanalitico che ci spingono ancora una volta a metterci in discussione non solo come adulti, ma anche e soprattutto come terapeuti.
I contributi degli autori, tutti accomunati da una visione dinamica del periodo adolescenziale, ci consentono non solo di confrontare la pratica clinica attuale con i grandi capisaldi della storia passata (es: il concetto di transfert o la visione che Winnicott, per esempio), ma anche di interrogarci rispetto alla nostra posizione all’interno di quel setting con quello specifico paziente, che è “figlio del suo tempo”.
Il lavoro con gli adolescenti necessita di una modalità propria e specifica, che non può essere improvvisata e che per sua natura spinge a guardarsi molto allo specchio e quindi a fare i conti con tutto ciò che è ed è stata l’adolescenza del terapeuta.
Oggigiorno, però, “in seduta con noi” si presenta anche una nuova modalità di pensiero e di comunicazione, più frammentata, più fluida (per utilizzare un termine che da tempo ormai connota la nostra società), anche più precaria se vogliamo (specchio dei tempi e del contesto esterno) e anche molto meno riservata.
Mi colpisce, infatti, tra le tante osservazioni presenti nel primo capitolo, una in particolare: in un contesto sempre più “mediatico”, dove i riti di iniziazione all’età adulta sono ormai agiti e vissuti tramite lo schermo o i social network (e non più la piazza, o la scuola), forse la stanza d’analisi è l’ultimo baluardo della nostra privacy.
E’ importante, ad esempio, tener presente che gli adolescenti di oggi portano in seduta anche il cellulare, oltre ai loro pensieri. L’uso o il non uso di questo strumento è di per sé un dato clinico e il terapeuta non può chiamarsi fuori dai giochi: deve apprendere non solo un nuovo linguaggio, comune, condiviso e comprensibile, ma anche abituarsi ad essere parte di una dialettica comunicativa che passa attraverso gli schermi. Infine, è interessante chiedersi anche come si possa costruire una relazione terapeutica duale con la mente dell’adolescente, che è abituato ormai a “dissociarsi” tra mille compiti e canali comunicativi (es: scrivo un messaggio whatsapp mentre guardo un tutorial su YouTube e studio).
Non esiste forse una risposta univoca, ma quella che possiamo dare è: fornire un’esperienza di senso condivisa e diversa, che consenta all’adolescente di identificarsi e allo stesso tempo di differenziarsi senza paura di rompere il legame e con la certezza che il terapeuta sarà lì, come magari non è stato possibile per altre figure.
Un altro spunto rilevante che emerge dal testo ed è imprescindibile per il lavoro con gli adolescenti è il tener presente che si sta parlando di un processo evolutivo. Il sintomo (che sia circoscritto o un vero e proprio breakdown) va sempre letto come parte di un percorso che si è bloccato/ si sta bloccando/ o rischia di bloccarsi. Questa prospettiva consente agli addetti ai lavori di mettersi nella giusta posizione terapeutica per far ripartire il processo evolutivo o comprendere se e dove si sia arrestato.
Il corpo, in adolescenza, appare quasi come il nemico numero uno da attaccare e da distruggere. Sfugge al controllo (sta cambiando), è fonte di pressioni (sociali e non) e di sensazioni e desideri sconosciuti, che spaventano. E’ importante tenere presente che l’adolescente ha la sensazione che la minaccia arrivi da fuori e quindi rischia di ritrarsi dal mondo (es: si chiude in camera, abbandona la scuola, rifugge la famiglia), quando in realtà la pressione che sente è spesso interna. Il rischio, dunque, si presenta quando non si riesce ad integrare il rapporto con il nuovo corpo all’interno del proprio senso di realtà.
Anche le condotte antisociali o devianti in adolescenza sembrano essere lo specchio di un conflitto interiore spostato all’esterno, e come tali possono e devono non solo essere accolte e contenute, ma anche significate in qualche modo, per poter essere infine sbrogliate.
In adolescenza i sentimenti insostenibili sono spesso seguiti dall’azione: il processo di provare un’emozione, assimilarla ed elaborarla è spesso sostituito da un passaggio all’atto. Anche i disturbi alimentari rispondono ad una difficoltà di mentalizzazione: attraverso il corpo parlo e agisco qualcosa, spesso il rifiuto di una dipendenza e di un legame affettivo.
Ecco perché, indipendentemente dalla ragione per cui un adolescente arriva in consultazione o trattamento, è imprescindibile il lavoro congiunto con i genitori e la famiglia. L’adolescenza è un insieme di legami e “scopo” di questa fase di vita è il cambiamento, sostenibile e sostenuto solo attraverso una buona alleanza terapeutica con i familiari, che giustamente sperimentano una gamma di emozioni e di vissuti che necessitano di trovare spazio e con i quali deve essere sempre chiaro e condiviso l’obiettivo dell’intervento.