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Covid-stigmatizzati

Nell'attuale periodo evitare di comunicare la propria positività al Covid-19 diventa un meccanismo di autoprotezione connesso alla paura dello stigma

Di Concetta Papapicco

Pubblicato il 22 Dic. 2020

La paura del contagio, che la società sta vivendo in seguito alla pandemia da Covid-19, crea terreno fertile per la stigmatizzazione di persone o gruppi sociali.

 

Si delinea così un’altra paura: la paura di essere l’oggetto dello stigma. Questo spiega perché risulta così complesso comunicare la propria positività al virus. Questa paura nella paura può essere spiegata alla luce dell’evoluzione della definizione dello stesso ‘stigma’ e delle conseguenti implicazioni psico-sociali.

Anche se diverse definizioni di ‘stigma’ possono essere ricondotte al sociologo Goffman (1922-1982), quella più comune nel panorama delle scienze sociali è quella di un ‘attributo che è profondamente screditante’ e che riduce lo stigmatizzato ‘da persona interna al contesto comunitario ad una esiliata’ (Goffman, 1961, p. 3). Successivamente, Goffman ha definito lo stigma come il rapporto tra un ‘attributo e uno stereotipo’ (Goffman, 1963, p. 4). Lavori più recenti, invece, hanno avuto l’obiettivo di ri-concettualizzare e misurare lo stigma, concentrandosi, ad esempio, sulla dimensione della ‘visibilità’ dello stigma (Jones et al. 1984) o sull’attenzione alla ‘segretezza’ come potenziale meccanismo di fronteggiamento per lo stigmatizzato (Schneider e Conrad 1980; Link et al. 1997). In particolare, la dimensione della segretezza può spiegare perché, in caso di positività al virus, non comunicare di essere affetti da coronavirus diventa un meccanismo di autoprotezione piuttosto che un comportamento irrispettoso.

Seguendo le intuizioni di Goffman, un secondo quadro concettuale è stato sviluppato da Jones e collaboratori (1984). A differenza del sociologo, Jones e colleghi utilizzano il termine ‘marchio’ come un attributo che comprende una vasta gamma di condizioni considerate ‘devianti’ da una società. Ottenendo questo marchio, perciò, la comunità potrebbe avviare il processo di stigmatizzazione della persona marchiata, poiché considerata deviante. Gli autori, però, identificano come elemento indispensabile per lo stigma il valore di ‘scredito’. In più, identificano sei dimensioni dello stigma:

  • l’occultabilità: varia a seconda della ‘natura’ del marchio stigmatizzante. Ad esempio, le persone che vivono una condizione socialmente riconosciuta come stigmatizzante, saranno più portate ad occultarla;
  • la contrapposizione tra condizione reversibile o irreversibile. Le condizioni irreversibili tendono a suscitare atteggiamenti negativi da parte degli altri;
  • la perturbazione, che indica la misura in cui un marchio può creare delle tensioni nelle relazioni interpersonali;
  • l’estetica, che riflette ciò che è attraente o gradito; se collegata allo stigma, questa dimensione riguarda la misura in cui un marchio suscita una reazione istintiva e affettiva di disgusto;
  • l’origine, che si riferisce a come la condizione di stigmatizzazione è stata creata dalla comunità. In particolare, è la responsabilità percepita per la condizione di stigmatizzazione che esercita una grande influenza sul fatto che gli altri rispondano con opinioni sfavorevoli e/o punizioni nei confronti della persona ‘marchiata’;
  • la dimensione di pericolo, che si riferisce a sentimenti di minaccia che il marchio induce in altri. In questo senso, un esempio attuale di minaccia è la paura di un pericolo fisico effettivo, come una malattia contagiosa e/o l’esposizione a sensazioni di vulnerabilità.

Quindi, quali possono essere le conseguenze dello stigma nell’attuale scenario pandemico? Il vissuto del contagio da covid19 come uno stigma, porta la persona ‘colpita’ ad autodifendersi mettendo in atto strategie come l’occultamento della sua positività al virus. La conseguenza di questa strategia di difesa può ricadere proprio sulla condizione di contenimento della pandemia, soprattutto nella fase di ricostruzione della catena di contatti. In tale situazione di stigmatizzazione, importante è l’intervento dello psicologo e psicoterapeuta sociale/comunitario, che andrebbe a decostruire il significato del vissuto del ‘contagio da covid19’ come oggetto di stigma e, quindi, di un’emotività accordata alla vergogna.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Goffman, E. Asylums: Essays on the Social Situation of Mental Patients and Other Inmates. Garden City, NY: Anchor Books, 1961.
  • Goffman, E. Stigma: Notes on the Management of Spoiled Identity. Englewood Cliffs, NJ: Prentice Hall, 1963.
  • Jones, E.E.; Farina, A.; Hastorf, A.H.; Marcus, H.; Miller, D.T.; and Scott, R.A. Social Stigma: The Psychology of Marked Relationships. New York, NY: Freeman and Company, 1984.
  • Link, B.G.; Struening, E.L.; Rahav, M.; Phelan, J.C; and Nuttbrock, L. On stigma and its consequences: Evidence from a longitudinal study of men with dual diagnoses of mental illness and substance abuse. Journal of Health and Social Behavior, 38(2):177-190, 1997.
  • Schneider, J.W., and Conrad, P. In the closet with illness—epilepsy, stigma potential and information control. Social Problems, 28:32^4, 1980.
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