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“Assetati di cibo” – La psicologia delle voglie alimentari

Nella nostra alimentazione il desiderio di un cibo è multidimensionale e dipende da fattori cognitivi e associazioni condizionanti, l’educazione in primis

Di Claudio Lombardo

Pubblicato il 21 Dic. 2020

Tramite le informazioni provenienti principalmente dall’educazione familiare o reperite con strumenti tecnologici, dalle conoscenze o dal sapere dei professionisti ‘addomestichiamo’ le sinapsi legate al consumo alimentare e quindi la nostra alimentazione.

 

Il Desiderio è una tensione interiore in simbiosi con le opportunità che si possono ricavare dall’ambiente, dalle scelte che quest’ultimo è in grado di offrirci: bibite gassate, patatine in busta, biscotti, dolciumi… con l’intenzione di consumarli nell’intimo spazio di un armadio o del frigo di casa alla stregua della famosa scena del film Joker.

Isolarsi, nascondersi, rimanere nel buio… per non essere visti da una società che difende i sintomi bulimici e anoressici e concepisce la dieta come un montaggio di un film di epoca vittoriana.

Un collage variegato, e spesso disarmonico, dal sapore di nuovo e di antico: primordiale è l’istinto che si scontra con l’ambiente contemporaneo in cui le ‘scelte non si scelgono’. (Quante scelte abbiamo di resistere davanti ad un barattolo di Nutella?)

Così, veniamo scelti dal prodotto di turno in un vortice alimentare di facile attribuzione: è la definizione di addiction (‘dipendenza’).

L’aspetto multidimensionale del desiderio alimentare

Il desiderio di un cibo è multidimensionale e dipende da fattori cognitivi e associazioni condizionanti, l’educazione in primis: come mangiamo, con quale velocità consumiamo il pasto, quali cibi siamo stati educati a scegliere (educazione gustativa), etc.; biologici/genetici/epigenetici (predisposizioni individuali o, finanche, patologie); ambientali (stress, inquinamento, circostanze che limitano l’attività corporea); sociali… e via dicendo.

In tutti questi fattori emergono due aspetti fondamentali:

  • la causa delle voglie alimentari;
  • il senso che detiene l’attività dello stimolo, il suo ‘comportamento’, ovvero l’intensità e la durata di quella voglia che ci spinge a consumare determinati alimenti.

Fermandoci a discutere su quest’ultimo (dato che il primo punto necessita una trattazione a parte), possiamo concepire il desiderio, la voglia alimentare, come una risposta condizionata (un comportamento appreso nel tempo) che emerge quando i segnali interni o esterni (stati d’animo, emozioni, educazione, pressioni ambientali) sono stati precedentemente associati all’assunzione di determinati comportamenti alimentari (ricordiamo che i fenomeni di fame, sete e sazietà non sono solo innati ma emergono probabilisticamente in funzione dell’esperienza durante lo sviluppo individuale; Harshaw, 2008).

Sei un mangiatore sobrio o assetato?

Il nostro cervello si nutre – oltre che di energia proveniente dagli alimenti – di stimoli esterni. Un prigioniero in isolamento, dopo qualche settimana può andare incontro a vere e proprie allucinazioni. È la capacità del cervello di creare stimoli!

Alimenti sani e Stimoli (esterni e interni) equilibrati sono essenziali per il suo buon funzionamento psico-corporeo. Uno stimolo interno può essere ‘la voglia di un particolare cibo’; uno stimolo esterno ‘la sua estetica, oltre le qualità sensoriali, come il sapore’. Noi tutti siamo provvisti di stimoli/voglie interne variabili che generano peculiarità differenti nella realtà alimentare, dando vita ad esperienze altrettanto variabili e, quindi, a consumi alimentari differenti: veloci o lenti (come assaporare un boccone alla stregua di quel famoso spot pubblicitario sulla mozzarella); distratte o concentrate sui sensi (focusing); ‘calde’, intense ed emozionanti (come nella fame emotiva); fredde (come nella bigoressia) e via dicendo.

Con quali modalità consumerai il tuo prossimo pasto?

L’incontro tra questi due stimoli (interno ed esterno), ripetuto nel tempo, crea dei collegamenti stabili (sinapsi) tra le nostre cellule cerebrali, vere e proprie strade dove passa l’impulso nervoso. Per tale motivi ogni persona ha un modo diverso di consumare il proprio pasto. E questo dipende anche dalle informazioni incamerate capaci di modificare i nostri comportamenti. In altri termini tramite le informazioni – provenienti principalmente dall’educazione familiare o da quelle reperite con strumenti tecnologici; dalle conoscenze o sapere dei professionisti (nutrizionisti, dietologici, psicologici, ecc.) – ‘addomestichiamo’ le sinapsi legate al consumo alimentare.

Questo giustifica, in parte, il suddetto riferimento ai restrained eaters (‘mangiatori sobri’) e food cravers (‘assetati di cibo’). Ad esempio, ricompensare un bambino con del cibo dopo un comportamento ritenuto idoneo (stimolo)  – o spingerlo a consumare tutto quello che c’è nel piatto – svalutando la (sua) sazietà percepita come ‘bussola’ della quantità di cibo da introdurre, rappresenta, a luogo andare, un modo per renderlo incapace di gestire le proprie ‘tensioni’ interiori legate alla voglia di un determinato alimento.

Estinzione dello stimolo legata al sovrappeso

La restrizione calorica, seppur a volte quasi ridicolizzata da molte diete in voga, dal punto di vista psicologico, porta ad una diminuzione del desiderio di cibo, che può essere dovuta a processi di estinzione delle sinapsi legati al comportamento appreso, ovvero all’indebolimento di quei collegamenti cerebrali legati a risposte condizionate precedentemente acquisite.

In linea con questo principio, si pone in evidenza la ridotta frequenza (ma non la quantità) dei pasti consumati che si correla alla riduzione dell’appetito per specifici alimenti (Apolzan e colleghi, 2017). In altri termini, non mangiare determinati cibi per diverse settimane può ‘disaccoppiare’ le associazioni apprese (es., evitare di mangiare la sera il cioccolato, come da abitudine) in modo che determinati segnali (la sera) non attivino più una risposta condizionata (consumare il cioccolato).

La deprivazione edonica

La dieta, spesso basata sulla deprivazione edonica (vietare alcuni cibi e consentirne altri), nel breve periodo può generare voglie nei confronti dei cibi che proibisce. Tali voglie possono essere mediate principalmente da meccanismi fisiologici (e.g. deprivazione nutrizionale) o psicologici (e.g. soppressione della voglia alimentare).

Studi sperimentali suggeriscono che una privazione alimentare selettiva a breve termine sembra effettivamente aumentare il desiderio dei cibi evitati. Tuttavia, gli stessi studi (in calce) dimostrano che il desiderio di cibo può essere inteso come una risposta condizionata che può anche essere disimparata. Ciò è supportato da studi di intervento che indicano che la restrizione energetica a lungo termine si traduce in una riduzione del desiderio di cibo negli adulti in sovrappeso.

 

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