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Workaholism: le conseguenze della dipendenza da lavoro

La persona con workaholism ha uno stile di vita assolutamente inflessibile e compulsivo, arrivando ad ostacolare e sacrificare i rapporti interpersonali.

Di Erika Virgili

Pubblicato il 20 Nov. 2020

Cosa porta un individuo a sviluppare il bisogno di lavorare incessantemente arrivando addirittura ad oscurare la propria vita privata? E quali potrebbero essere le conseguenze che tale dipendenza comporterebbe nella vita del dipendente da lavoro?

Erika Virgili – OPEN SCHOOL, Studi Cognitivi San Benedetto del Tronto

 

Ebbene, come ogni altra dipendenza anche quella da lavoro è sorretta da particolari meccanismi che comportano conseguenze non solo a livello individuale, ma anche relazionale e lavorativo. E’ interessante riflettere, ad esempio, sul tipo di contributo che un workaholic potrebbe apportare all’interno di un’organizzazione o di un’azienda.

Innanzitutto il termine Workaholism è stato coniato da Oates (1971), il quale definisce tale patologia come una compulsione e un incontrollabile bisogno di lavorare incessantemente. Da allora il termine è divenuto ampiamente conosciuto ed usato sempre più. Considerando che il termine “workaholism” deve la sua derivazione al termine “alcoholism” (alcolismo), è intuitivo dedurre la connotazione negativa del termine.

Il workaholism potrebbe sembrare un concetto ingannevole e sfocato se viene identificato semplicemente con la tendenza di lavorare un numero di ore superiore alla norma. Molteplici, infatti, potrebbero essere le motivazioni che spingono un individuo a lavorare un gran numero di ore: presenza di problemi economici, personali o familiari, desiderio di rispettare le aspettative dei propri superiori, la forte ambizione nel fare carriera (Schaufeli, Taris & Rehnen, 2008); ma non è questo che ci indica la presenza di una dipendenza psicologica dal lavoro. McMillan e O’Driscoll (2006) hanno identificato le caratteristiche principali degli individui affetti da workaholism, individuandone due dimensioni principali:

  • una dimensione comportamentale, riscontrata nel lavorare eccessivamente;
  • una dimensione cognitiva, riscontrata nel lavorare compulsivamente.

Anche Snir e Harpaz (2004) definiscono la Workaholism secondo aspetti su base sia comportamentale che cognitiva, sottolineando come il grande investimento di tempo in attività e pensieri inerenti al lavoro non sia indotto da necessità esterne. Secondo alcuni studi varie sono le conseguenze negative che i workaholics sperimentano in primis su stessi e sulla loro salute, tant’ è che già Oates nel 1971 sottolineò come, in maniera molto simile agli alcolisti, i maniaci del lavoro tendono ad avere problemi non solo legati alla salute, ma anche alla propria serenità e conseguentemente alle relazioni interpersonali e sociali: il tutto a causa dell’incontrollabile bisogno di lavorare. La workaholism è infatti strettamente correlata alle problematiche psico-fisiche dell’individuo dipendente (Andreassen et al., 2007; Burke & Matthiesen, 2004), che presenta uno stile di vita assolutamente inflessibile e compulsivo, arrivando ad ostacolare e sacrificare i rapporti interpersonali come la rete familiare e amicale del soggetto stesso. Le persone dipendenti da lavoro sono infatti assolutamente disposte a sacrificare i rapporti personali allo scopo di poter trascorrere maggior tempo sul posto di lavoro, traendone di conseguenza maggior soddisfazioni possibili (Porter, 2001). Robinson e Post (1997) hanno valutato come le persone dipendenti da lavoro instaurino, solitamente, capacità comunicative inadeguate e inefficienti con la propria rete familiare, all’interno della quale i ruoli non risultano ben consolidati e definiti.

Alcuni studi dimostrano un rapporto positivo tra workaholism e il conflitto lavoro-famiglia. Robinson, Flower e Carroll (2001) hanno evidenziato come le persone con workaholism mostrino attaccamenti emozionali quasi inesistenti, supportati dalla ridotta sperimentazione di sentimenti positivi e di attrazione fisica nei confronti del partner rispetto agli individui non workaholics. Infatti tutte le risorse dei workaholics vengono ossessivamente e compulsivamente spese nel lavoro, non riuscendo quindi ad offrire sostegno emotivo al partner e alla famiglia, per la quale dispone di risorse più consumate e povere di quelle impiegate nel lavoro. Questo punto di vista è dunque coerente con la convinzione che le persone affette da workaholism siano in possesso di risorse limitate e poco flessibili. Di conseguenza la gestione di più ruoli, come quello del coniuge e del lavoratore, diventa molto problematica al punto di provocare ansia e frustrazione, soprattutto nel momento in cui l’individuo è impossibilitato al lavoro.

Lo stile di vita inflessibile e compulsivo fa in modo che l’individuo sviluppi rapporti difficili non soltanto con i componenti della famiglia, ma anche con i colleghi di lavoro.

La workaholism apporta dunque conseguenze negative sia psicofisiche sia sociali, che impatto avrà sull’individuo a livello lavorativo e sull’azienda a livello produttivo?

La workaholism, che sia alimentata o meno da determinate impostazioni lavorative dell’organizzazione in cui la persona workaholic opera ed interagisce, oltre ad avere un notevole impatto sul benessere psico-fisico dell’individuo stesso, comporta anche determinate conseguenze all’interno delle organizzazioni, in termini di produzione e non solo.

Sicuramente la cultura e l’impostazione dell’organizzazione lavorativa, ovvero valori condivisi, norme e credenze che vigono tra i membri della stessa, è rilevante poiché alcune aziende o industrie basandosi su determinati principi, potrebbero sostenere o addirittura provocare la dipendenza da lavoro, andando ad esempio a rinforzare e promuovere il lavoro eccessivo e la competitività (Schein, 1990)

Come già anticipato inizialmente, il ruolo e l’utilizzo della tecnologia in azienda ha una grande influenza nello sfondo socio-lavorativo della dipendenza da lavoro, poiché la correlazione tra tecnologie e workaholism può presentarsi secondo diverse sfaccettature: da un lato, il progresso della tecnologia potrebbe permettere ai lavoratori di integrare più facilmente le esigenze lavorative con le esigenze della comune vita privata, concedendo agli individui maggior flessibilità sulla gestione del tempo di lavoro, andando a ridurre i comportamenti dei workaholics; dall’altro lato però, come inizialmente sottolineato, lo sviluppo delle tecnologie nel mondo del lavoro ha reso più labile il confine tra lavoro stesso e vita privata, rendendone i margini più facilmente permeabili e andando conseguentemente ad alimentare comportamenti compulsivi verso il lavoro stesso dati dalla possibilità di “connettersi” al lavoro in qualsiasi momento e in qualunque luogo (Porter, 2001). Da uno studio portato avanti nel 2004 da Ammons e Markham è risultato che coloro che sfruttano la possibilità di lavorare da casa sviluppano una maggior vulnerabilità alla dipendenza da lavoro. Motivo per cui si potrebbe pensare che lo sviluppo della tecnologia potrebbe fornire un costante stimolo per evocare comportamenti di dipendenza.

Solitamente, all’interno di un’organizzazione, i dipendenti che lavorano un maggiore numero di ore con dedizione, sono poi coloro che ottengono promozioni con conseguente aumento di stipendio, in quanto dedicare molto tempo al lavoro viene considerato come un vero e proprio investimento, spesso premiato dal mercato stesso. I dirigenti tendono dunque a “sponsorizzare” coloro che mostrano tale diligenza. Infatti, secondo Burke (2001) gli individui con workaholism, inizialmente, sono spesso i primi a ricevere promozioni. Ma la carriera che i workaholics riescono ad ottenere non è assolutamente senza costi, poiché se da un lato il lavoro porta grandi soddisfazioni, dall’altro, come già detto, non si può che assistere ad un impoverimento della salute fisica, psicologica e della vita privata (Ng, Sorensen & Feldman, 2006). Se è vero che i workaholics possono ottenere risultati lavorativi positivi a breve termine, arrivando quindi ad alimentare ed incrementare i propri comportamenti di dipendenza, cosa potrebbe accadere prendendo in considerazione la prestazione dello stesso in periodi di tempo più lunghi? In realtà i ritmi lavorativi sempre molto elevati, il sostenuto perfezionismo, l’incapacità di delegare, il tutto con conseguente stanchezza fisica e mentale e la sfiducia nell’operato degli altri, interferiscono con il corretto funzionamento lavorativo sia del workaholic stesso e sia del workaholic in relazione ai colleghi (basti pensare a compiti che necessitano del lavoro di squadra), con probabile rendimento scadente causato dalla mancanza di risorse comunicative adeguate e necessarie allo svolgimento del compito (Ng, Sorensen & Feldman, 2006).

Per questo motivo Ng, Sorensen e Feldman (2006) sostengono che la workaholism sia correlata per brevi intervalli di tempo ad una propria soddisfazione lavorativa alimentata da buone performance, mentre per intervalli di tempo più ampi a stanchezza fisica e mentale nutrita da un esasperato perfezionismo e problemi comunicativi tra colleghi.

Si pensi ai dipendenti che, all’interno di un’azienda, devono collaborare con un collega workaholic che dedica al lavoro molte ore, in modo ossessivamente perfezionistico: questo potrebbe esercitare indirettamente pressione sugli altri dipendenti. In alcuni casi la pressione lavorativa può aiutare a mantenere o aumentare la concentrazione e l’impegno sul lavoro, ma nella collaborazione con i workaholics la pressione intensa e continua potrebbe avere un impatto negativo sul piacere e sulla dedizione al lavoro degli altri dipendenti coinvolti. Se l’assetto organizzativo favorisce e premia i workaholics, saranno conseguentemente penalizzati i dipendenti che utilizzano il proprio tempo in maniera efficiente e sufficiente.

Considerando che gli individui con workaholism ricevono un accrescimento del proprio ego sulla base del coinvolgimento che hanno nei confronti del lavoro, il bene dell’organizzazione, dell’azienda o del team dei lavoratori risulterà secondario all’attuazione di comportamenti e meccanismi finalizzati ad accrescere e salvaguardare la propria autostima. Ciò vuol dire che il risultato finale del lavoro sarà secondario alla tutela del proprio ego, nonostante la risposta comune a qualsiasi tipo di problematica che si presenterà sia in ambito lavorativo che nella vita privata, sarà quella di lavorare un maggiore numero di ore. I workaholics troveranno molteplici motivazioni per giustificare la grande quantità di tempo trascorso a lavoro, in quanto avranno bisogno di organizzare scrupolosamente le proprie attività, di verificare i risultati ottenuti, e di programmare come raggiungere gli obiettivi preposti secondo le loro modalità. Gli errori o le mancanze nel lavoro svolto, verranno utilizzati come ulteriore motivazione per trascorrere ulteriore tempo a lavoro, affinché il proprio operato possa risultare corretto ed apprezzato. Per tutte le motivazioni fin qui elencate, spesso i lavori in team in presenza di un workaholic risultano inefficienti e il lavoro di squadra tra il dipendente da lavoro e gli altri colleghi improduttivo: ecco come vengono così persi i potenziali guadagni di un lavoro portato avanti secondo una collaborazione tra colleghi, andando a danneggiare l’efficacia dell’azienda. I colleghi, evitando i workaholics, tentano di operare senza il beneficio del contributo di un membro dell’organizzazione, assumendosi di conseguenza maggiori responsabilità del lavoro da svolgere e con la possibilità di aumentare pressioni sui colleghi di pari livello o su quelli con mansioni inferiori, creando un effetto a catena; questa è la modalità secondo la quale la problematica si diffonde attraverso tutta l’organizzazione. Ulteriore caso è quello in cui un manager o un superiore soffra di workaholism: ciò implicherà la grande difficoltà dell’individuo di delegare il lavoro, la richiesta esigente rivolta al personale, il controllo totale sulle attività svolte, le influenze che sia i colleghi che i subordinati potrebbero subire dalla messa in atto delle strategie del workaholic. Tutti aspetti che creano grandi problematiche all’interno di un’azienda, sia in termini di salute psico-fisica degli individui sia in termini di perdita più strettamente economica.

A lungo termine il workaholic è lasciato senza alcun beneficio, nonostante tali individui tendano a fissarsi obiettivi sempre più elevati, con la speranza che, una volta raggiunto, il senso di benessere e di fierezza durerà (Porter, 1996).

Le organizzazioni lavorative oggi sembrano essersi rese conto che i continui cambiamenti nel mondo del lavoro richiedono senza dubbio lavoratori flessibili, pronti a cambiare le proprie strategie e ad adattarle alle richieste del mercato in continuo mutamento. L’inflessibilità dei maniaci del lavoro non può essere in sintonia con questo approccio continuamente ri-adattivo, ragione per cui gli individui con tale dipendenza potrebbero non risultare all’altezza di lavorare in un’azienda che vada al passo con i tempi.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Ammons, S. K., & Markham, W. T. (2004). Working at home: Experiences of skilled white collar workers. Sociological Forum, 24, 191–238.
  • Andreassen, C. S., Ursin, H., & Eriksen, H. R. (2007). The relationship between strong motivation to work, ‘‘workaholism’’, and health. Psychology and Health, 22, 615–629.
  • Burke, R.J. (2001). Workaholism components, job satisfaction, and career progress. Journal of Applied Social Psychology, 31, 2339–2356. Burke, R.J., & Koksal, H. (2002). Workaholism among a sample.
  • Burke, R. J., & Matthiesen, S. B. (2004). Workaholism among Norwegian journalists: Antecedents and consequences. Stress and Health, 20, 301-308.
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  • Snir, R., & Harpaz, I. (2004). Attitudinal and demographic antecedents of workaholism. Journal of Organizational Change Management, 17, 520–536.
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