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Il Morbo di Parkinson, la Deep Brain Stimulation e lo sviluppo di strategie di intervento integrato nella gestione della malattia

La Deep Brain Stimulation (DBS) si è rilevata efficace per migliorare le capacità motorie nel morbo di Parkinson stimolando alcune aree cerebrali coinvolte

Di Giacinto D`Urso

Pubblicato il 25 Nov. 2020

Il morbo di Parkinson è il più frequente dei disordini del movimento che colpiscono l’individuo nell’età adulta fra i quaranta ed i settanta anni.

 

Questa è una malattia neurodegenerativa cronica che si manifesta allorquando la perdita di neuroni nella substantia nigra determina un calo nella produzione di dopamina e la comparsa di accumuli della proteina ‘alfa-sinucleina’ in varie aree del cervello.

La patologia causa progressivamente forme più gravi di acinesia, malfunzionamenti di diverse funzioni motorie e vegetative, irrigidimento della muscolatura, tremori e disturbi psichici (principalmente di natura depressiva, ansiosa e cognitiva) che limitano e logorano la qualità di vita del malato.

Ad oggi non esiste una cura che consenta di guarire dal morbo di Parkinson ed i principali trattamenti sono solo capaci di limitarne la manifestazione sintomatologica. In tale quadro, la Deep Brain Stimulation (DBS) si è rilevata particolarmente efficace per migliorare le capacità motorie attraverso la stimolazione elettrica delle aree cerebrali coinvolte nella modulazione del movimento. Tale terapia è stata oggetto di particolare attenzione nell’ambito del mondo della ricerca scientifica e sembra che in futuro potrà essere ulteriormente perfezionata.

Infatti, la rivista Brain Stimulation ha recentemente pubblicato gli esiti di uno studio (Canessa A.et al., 2020) che ha consentito di identificare dei biomarcatori specifici dello stato di deambulazione. Nel merito, i ricercatori, analizzando il funzionamento del nucleo subtalamico (STN) in malati con impianto di stimolazione profonda, sono addivenuti alla conclusione che quando l’individuo incomincia a camminare, l’attività di questa area cerebrale tende a caratterizzarsi per una variazione di frequenza della banda beta. L’identificazione di questi segnali ha consentito agli esperti di sviluppare algoritmi matematici che permetteranno in futuro di realizzare dispositivi capaci di modulare la DBS adattandola allo stato ed al bisogno del singolo, migliorandone quindi la capacità di deambulazione.

Il perfezionamento delle terapie a disposizione per il trattamento del morbo di Parkinson risulta determinante per accrescere le aspettative e la qualità della vita oltre che per il mantenimento di un adeguato livello di inclusione sociale dei pazienti e del loro nucleo familiare.

Resta, tuttavia, imprescindibile ricercare forme d’intervento multi professionali che coinvolgano il medico (ad esempio il neurologo, il geriatra ed il medico di famiglia), lo psicologo, il nutrizionista e l’assistente sociale. In particolare, lo psicologo risulta determinante per lo sviluppo di interventi mirati alla gestione dello stress (che come noto è causa del peggioramento dei sintomi della malattia come ad esempio i tremori), dell’ansia, dei disturbi del sonno (di cui sono conosciute le implicazioni sulla gestione delle emozioni, sul tono dell’umore, sulla memoria e in generarle sulla funzionalità della corteccia prefrontale, sede di tutte le funzioni neurocognitive di ordine superiore), allo sviluppo delle life skills e al rafforzamento dei fattori di protezione della resilienza individuale e familiare. Affrontare, dunque, la malattia con un approccio biopsicosociale può contribuire allo sviluppo di strategie di gestione del paziente più efficaci perché finalizzate, anche in situazioni di crisi come quella conseguente alla pandemia da COVID-19, al suo completo benessere fisico, mentale e sociale.

 

 

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